Primo confronto, in Cassazione, tra la nuova legge
sull’immigrazione (la cd. Bossi-Fini, 189/02) e la normativa precedente (la
Turco-Napolitano, legge 40/1998): il rapporto tra i due provvedimenti
legislativi – varati rispettivamente dai governi di centrodestra e di
centrosinistra) per colpire l’immigrazione clandestina - è analizzato nella
sentenza 3162 della Terza sezione penale, depositata il 23 gennaio e leggibile
nei correlati allegati.
La conclusione alla quale pervengono i supremi giudici è che la legge n. 189/02
è volta esclusivamente alla repressione del fenomeno, e ha messo da parte la
visione più solidale presente nel testo precedente 40/1998.
Tuttavia alcune comportamenti illegali sono ugualmente punite da entrambe le
previsioni normative, come l’agevolazione dell’ingresso clandestino anche nel
caso in cui sia attuato con l’aiuto di un altro clandestino. In sostanza, la
condizione di immigrato irregolare non ostacola l’imputazione di
favoreggiamento per aver aiutato qualcun altro ad arrivare senza permesso nel
nostro paese. In sintesi non solo gli scafisti possono essere imputati per aver
agevolato l’ingresso di clandestini, ma anche extracomunitari irregolari che
pagano il viaggio per l’Italia alle ragazze per poi metterle sul marciapiede e
vivere sfruttandone la prostituzione.
Venendo all’analisi condotta dai supremi giudici, essa rileva come da un excursus
delle due leggi emerga che le ultime modifiche «hanno solo accentuato il
carattere di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica di alcune
disposizioni, in parte capovolgendo la visione solidaristica in una
esclusivamente repressiva». In pratica il nuovo Testo unico sull’immigrazione,
accentuando la funzione di sicurezza e ordine pubblico, finisce col dare una
«unilaterale lettura della normativa europea». Invece il testo precedente, pur
rispondendo ad esigenze di tutela, predisponeva misure di «politica attiva» per
favorire l’accoglienza degli extracomunitari tenendo presente i principi di
solidarietà espressi dalla Costituzione e il legame esistente tra immigrazione,
povertà e lavoro nero.
Scrive la Suprema corte: «in generale, può affermarsi che la legge 40/1998
aveva ulteriormente marcato alcuni caratteri peculiari rilevabili già nella
legge 943/86, sicchè le finalità di ordine pubblico, di sicurezza e di
razionalizzazione, di controllo e di regolamentazione della presenza e
dell’attività dei cosiddetti extracomunitari, venivano filtrate attraverso i
principi di pari opportunità e trattamento, di regolamentazione del mercato del
lavoro al di fuori degli schemi di pubblica sicurezza, di generale impegno
degli Stati aderenti alle Convenzioni internazionali e comunitarie di cui è
attuazione per combattere le migrazioni clandestine, l’occupazione illegale ed
i responsabili dei traffici illegali mediante la predisposizione di misure di
politica attiva ed attraverso strumenti sanzionatori di vario tipo».
In poche parole – evidenzia la sentenza 3162 – la legge Turco-Napolitano, pur
mettendo in campo norme di prevenzione della tutela dell’ordine pubblico e
della pubblica economia collegate «ad un fenomeno di illegalità di massa e di
rilevanti dimensioni», non «perdeva neppure di vista il legame esistente fra
immigrazione, povertà o indigenza e il cosiddetto lavoro nero ed i principi
solidaristici espressi dalla nostra Costituzione». Mentre la funzione di ordine
pubblico e di sicurezza sono divenute «il tema centrale con la legge 189/02,
con una unilaterale lettura della normativa europea». Ovvero dell’accordo di
Schengen e del Trattato di Amsterdam.