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Alessandra Ballerini | Alessandro Benna
Il muro invisibile
Immigrazione e
legge Bossi - Fini
prefazione
di
Erri De Luca
Le leggi razziali contro gli
ebrei furono un servile omaggio di Mussolini all'ossessione del potente alleato
nazista. Si aggiunsero come paragrafo di provincia alla legislatura antiebraica
del Terzo Reich.
Infami come ogni pretesa di isolare razze dentro il corpo dell'umanità, da noi,
terre di sangue misto, furono particolarmente assurde. Quale razza era l'italica
se non la sede di ogni ovulazione del mare di mezzo? Un riassunto di semi che
non può escluderne alcuno, questo è il ceppo genetico del nostro luogo
impiantato nel mare come un albero di corallo. Da noi ogni famiglia e stirpe del
Mediterraneo ha diritto di cercare un parente. Le leggi razziali presumevano una
razza, la nostra, inesistente. Erano un articolo di fede, anzi di malafede. Ma,
volendo colpire gli ebrei, li perseguitavano tutti, ricchi e poveri. Le nuove
leggi sull'immigrazione, la Bossi-Fini oggi e la Turco-Napolitano ieri,
perseguitano solo i poveri. Li rinchiudono in campi di quarantena, li detengono
senza causa di reato. Perché entrare senza permesso nel nostro paese non è
reato, altrimenti sarebbe reato la storia. Dai banchi di scuola sappiamo che da
noi sono arrivati senza invito i popoli, gli eserciti, le epidemie, i pirati, i
santi, i mercanti, i marinai, le religioni. La storia non è un pranzo di gala,
se ne sbatte di inviti e di controlli all'ingresso. E noi siamo in un punto di
passo della storia e della geografia. Siamo da sempre sponda di sosta per
migratori.
Oggi profittiamo del bisogno e del sudore di stranieri offrendo in cambio
un'ospitalità strozzina e clandestina, venduta pure cara. Ho poco più di
cinquant'anni e ho fatto in tempo a vedere i miei coetanei del sud andare ad
affollare le brande di sottoscale e di abbaino di Torino. Quando la Fiat
rastrellava manodopera muta e docile dai campi del meridione e gli affittacamere
di Torino davano a noleggio le brande ad ore. Ho fatto in tempo a vedere il
razzismo, il meschino senso di superiorità e di arbitrio, degli italiani verso
se stessi. Non mi sorprende vederlo applicato ad altri subalterni che hanno
rilevato il posto di noialtri ultimi.
Siamo diventati un paese di nuovi arricchiti che ha conseguentemente votato per
il più ricco, credendo nella proprietà transitiva della ricchezza. Ma la
ricchezza ha bisogno di divario, di maggiore e non di minore povertà intorno.
Questo dicono le cifre del mondo. Da arricchiti recenti vogliamo dimenticare le
povere origini. Inutile perciò ricordare che veniamo dalle stesse umiliazioni
che imponiamo agli stranieri ospiti. Costruiamo leggi per rendere il loro
passaggio più penoso. Intanto le braccia di mare più battuto riempiono i fondali
di annegati. Un articolo di legge pretende di impedire il soccorso ai naufraghi.
E' solo seguito normativo di quella nostra nave da guerra che speronò a morte un
barcone albanese nel Canale di Otranto una notte di Pasqua. Si, era di notte,
illuminata dalle fotocellule la prua d'acciaio due volte fu spinta a urtare una
fiancata di legno, grande vittoria navale della marina italiana. Per pura
ingratitudine il comandante non è stato decorato al valore. Era il tempo del
centrosinistra e del governo Prodi, con la P maiuscola. I prodi con la p
minuscola infangavano la tradizione marinara di un popolo di mare, quale siamo.
Ma tutte queste miserabili e losche misure di ostacolo, di contenimento: sono
servite, servono, serviranno ad arrestare l'alta marea dei migratori? È così
ovvio che no, che nessuna legge, per quanto infame sia, può mettere i cancelli
alla storia e alla geografia. Noi saremo comunque attraversati da una disarmata
folla di popoli. I nostri connotati, i figli, le città, le canzoni, i libri,
saranno rigirati da questo cucchiaio. Allora tutti gli sbarramenti saranno
ricordati come canaglierie inutili, come gratuiti sfregi alla figura della
nostra terra aperta e messa apposta in mezzo al mare a coste spalancate.
Fuori dalle nostre stanze addobbate per un perpetuo Natale, la piccola
fiammiferaia della fiaba di Andersen sta consumando tutti i suoi fiammiferi,
esaurendo la riserva di fuoco, di lume, di pazienza. Mi affido ai versi di un
poeta di Sarajevo, Izet Sarajlic che così chiude una sua poesia sui traslochi
forzati degli uomini: "O il mondo sarà presto popolato esclusivamente da
emigrati, o dovrà diventare l'unica patria universale degli uomini."
Grazie Alessandra e Alessandro di ospitare questa nota approssimativa dentro le
vostre pagine sagge di argomenti e documenti.
Erri De Luca
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