il manifesto - 15 Ottobre 2003
Bossi suona la carica
La Lega grida al complotto, guidato da An e dall'Udc ma spalleggiato dai «palazzi romani e da Ciampi». Lo racconta la «Padania» di buon mattino, lo giura Alessandro Cè nel pomeriggio e lo conferma Umberto Bossi alla sera, dicendo che «An e i democristiani associati volevano buttar fuori la Lega dal governo». I centristi difendono il Quirinale, ma Buttiglione ribadisce che nel mirino c'è anche Giulio Tremonti «che non può avere un rapporto privilegiato con Bossi»
GIOVANNA PAJETTA
«Io non so se il complotto c'era, ma se c'era l'hanno presa in quel posto. La verità è che i palazzi romani non vogliono le riforme, il Colle parla, parlano gli ex dc...». Quando la bomba è ormai scoppiata, Umberto Bossi finge di ritirare la mano. Persino quando gli raccontano la protesta di Gianfranco Fini per «l'aggressione della Lega», fa spallucce e veste i panni di Giobbe. «Lui si lamenta? Io piuttosto ho sopportato con pazienza, con enorme pazienza, gli attacchi di An e dei democristiani associati che volevano buttarci fuori dal governo». Ma basta entrare nel merito per sentire tuonare di nuovo il senatur. «Quanto alla questione del voto agli immigrati, ribadisco che mai passerà - alza subito il tono Umberto Bossi - Il voto e la cittadinanza sono patti sacri tra cittadini e stato, non possono essere sciolti da un segretario di partito. Se la questione dovesse arrivare in parlamento, farei presentare migliaia di emendamenti, interverrei sistematicamente per riaprire il dibattito». E forse non solo quello, visto che da ieri la Lega ha messo i piedi nel piatto, dichiarando apertamente che l'oggetto del contendere è uno solo, il governo di Silvio Berlusconi. Quantomeno nella forma in cui l'abbiamo sin qui conosciuto. Il compito di tirare il sasso, per non dire il macigno, spetta ad Alessandro Cè. Approfittando della conferenza stampa sui dazi e contro il pericolo cinese, il capogruppo del Carroccio comincia a sparare di primo pomeriggio. E man mano che passano le ore punta sempre più in alto. «E' ormai chiaro che dietro l'offensiva di Fini c'è il tentativo di preparare una specie di nuova vecchia Dc per il dopo Berlusconi - spiega Cè a Montecitorio - E la dinamica dei fatti e delle dichiarazioni di questi giorni sembrerebbe dimostrare che Ciampi era dietro questo disegno». E' la teoria del complotto, da sempre tanto cara alla Lega. Ma il primo a credere alla sua realtà, al di là di chi via via venga inserito nella lista dei congiurati, è proprio Umberto Bossi («nelle congiure non ci sono prove - dirà in serata a Telepadania - però uno certe sensazioni le avverte»). E' questo il rovello che lo tormenta già dalla prima clamorosa uscita di Fini, quello che lo ha spinto per giorni alla prudenza, o a uscite isolate. Fino all'altro ieri. Perché dopo lo show, con applausi, caprese di Giulio Tremonti contro il governatore della Banca d'Italia, il leader della Lega si era convinto che la manovra era stata sventata, o quanto meno rinviata. Così sono venute le battute su Berlusconi-Carlo Magno e, ormai a cuor leggero, è stata suonata la carica. Scegliendo malignamente proprio quello che, complice Bruno Vespa, doveva essere il gran giorno di Gianfranco Fini.

Ancor prima delle dichiarazioni di Alessandro Cè, il là l'aveva dato infatti la Padania. «Un complotto contro il Nord parte dai palazzi romani» titolava ieri mattina il quotidiano leghista, coinvolgendo nelle trame infinite persino la riforma delle pensioni. Per concludere con la teoria, spiegata poi da Cè, del governo tecnico. «Nei fatti la fusione tra An e Udc è già iniziata - dice convinto il capogruppo di Bossi - Ed è sempre più evidente la manovra concertata per un passaggio di consegne immediato a un governo tecnico che porterebbe Berlusconi fuori dal governo per un anno. Vogliono continuare a banchettare con i soldi del Nord». Ma poi, uscito dalla fantapolitica, è lo stesso Cè a indicare l'obiettivo più semplice dei nemici del Carroccio, e decisamente più a portata di mano. «An si illude che la Lega strappi e vada fuori - dichiara furioso - Se c'è qualcuno che deve strappare sono loro, non noi».

Un sogno, quest'ultimo, che gli accusati si guardano bene dallo smentire. Perché se Ignazio La Russa giura (come farà poi Fini a Porta a porta) che «nessuno vuole spingere la Lega fuori dalla coalizione», a dirlo senza remore è Rocco Buttiglione. «Bossi non può stare nel governo con due piedi fuori e un pugno dentro - dice al Tempo il presidente dell'Udc, ricordando una mirabolante definizione del senatur - Perché è evidente che il pugno verrà restituito e la Lega finirà fuori dal governo». E non solo la Lega, visto che Buttiglione spara direttamente contro il ministro dell'Economia, perché «Tremonti non può avere un rapporto privilegiato con Bossi». Poi, quando la Lega è ormai scatenata, toccherà a Luca Volontè indignarsi per l'accusa al Quirinale. Per il prestigio dell'istituzione, ma anche, aggiunge il capogruppo centrista tirando a sè Ciampi, «per la persona che è e per come fa il presidente».