il manifesto - 11 Luglio 2003
La Siria giura: «Al Shakri è ancora vivo»
L'ambasciatore siriano assicura che un diplomatico italiano potrà incontrare «in tempi brevi» l'ingegnere espulso illegalmente dall'aeroporto di Malpensa. «Purtroppo so che non è vero»: parla l'uomo che ha diffuso la notizia della morte
CINZIA GUBBINI
ROMA
«Il signor al-Shakri sta bene ed è detenuto in condizioni normali». Lo ha comunicato ieri mattina l'ambasciatore siriano in Italia, signora Nabila Chaalan, convocata d'urgenza alla Farnesina per avere notizie su Muhammad al-Shakri, l'ingegnere siriano espulso con tutta la sua famiglia nel 2002 dall'aeroporto di Malpensa, dove aveva tentato invano di chiedere asilo politico in Italia. L'uomo fu arrestato appena arrivato in Siria: era infatti ricercato per la sua militanza nella formazione dei «Fratelli musulmani», duramente perseguitata dal regime siriano. Qualche giorno fa si era diffusa la notizia che l'uomo fosse morto, stroncato dalle torture subìte in carcere. La notizia rilasciata dall'ambasciata siriana è stata accolta con sollievo e soddisfazione negli ambienti della Farnesina, che hanno strappato un'ulteriore rassicurazione alle autorità di Damasco: l'ambasciatore italiano in Siria, Laura Mirachian, potrà incontrare al-Shakri «in tempi ravvicinati», come era stato chiesto dal governo italiano la scorsa settimana. A questo punto, l'incontro con al-Shakri diventa ancora più urgente, quanto meno per avere una prova inoppugnabile del fatto che sia effettivamente ancora in vita. Le persone che avevano diramato la notizia della morte dell'uomo, infatti, dicono di non essere per nulla convinte delle rassicurazioni di parte siriana.

Proprio ieri la famosa «fonte» che nei giorni scorsi era stata indicata dal Consiglio italiano rifugiati (Cir) come punto di partenza delle notizie sulla sorte di al-Shakri, ha deciso di parlare con la stampa, rilasciando ulteriori particolari sulle circostanze che avrebbero portato l'uomo alla morte. La persona che ha ricevuto le informazioni vuole rimanere anonima: «Per ora non ho interesse a dire il mio nome - spiega al telefono - ho il dovere di proteggere i miei parenti in Siria, ma ho anche il dovere di spiegare da dove mi giungono le informazioni sulla morte di al-Shakri». L'uomo che parla al telefono vive in Italia, anche lui è fuggito dalla Siria ed è in contatto con parenti molto stretti di al-Shakri, che vivono a Londra. Parenti diretti dell'ingegnere e non i fratelli della moglie, Moisun Lambadidi, che accorsero a Malpensa cercando di salvare la famiglia dall'espulsione. «Ho incontrato questa persona - continua a spiegare l'uomo - una settimana fa. Ho affrontato il viaggio perché ho saputo che erano arrivate delle nuove sulla sorte di al-Shakri. Quando ci siamo visti mi ha detto che suo cugino, che lavora in un carcere duro siriano, ha visto con i suoi occhi morire al-Shakri, sotto le torture praticate con dei cavi elettrici. Non ce l'ha fatta, semplicemente». La persona con cui parliamo rileva anche il nome del carcere in cui sarebbe morto al-Shakri: «Si tratta del carcere di Kasar-Fousa, che si trova vicino Damasco».

Insomma, la «fonte» non crede alla versione del governo siriano: «Il mio interesse è che al-Shakri sia vivo, non ho alcun motivo per rilasciare notizie false. Ovviamente non ho la prova al 100%, visto che non ho né un certificato di morte, né un corpo da mostrare. Ma stiamo parlando di una dittatura senza pietà, che ha tenuto per due mesi in carcere la moglie di al-Shakri con i suoi quattro figli, compresa la minore, che ha solo tre anni. E anche adesso la signora Lambadidi non è semplicemente `sotto sorveglianza', ma agli arresti domiciliari, senza alcuna possibilità di sostentarsi».

Una storia molto complicata, su cui però ci sono alcuni punti fermi, a partire dalle illegali condizioni di detenzione di al-Shakri in Siria: nessuno sa dove sia rinchiuso e finora non ha mai potuto incontrare né un legale, né un dottore. «Ci auguriamo che quanto detto dall'ambasciata siriana sia vero - commenta il direttore del Cir, Cristopher Hein - ma la visita ad al-Shakri deve essere concessa il prima possibile. Rimane scoperto, ovviamente, tutto il resto: e cioè che il governo italiano deve necessariamente ricreare una situazione `ex ante', cioè far tornare la famiglia al-Shakri in Italia, concedere diritto di asilo e semmai chiedere al governo siriano di avviare le pratiche per l'estradizione». Anche Amnesty International, per bocca del presidente Marco Bertotto, mette i puntini sulle i. «Le condizioni `normali' di detenzione - dice riferendosi alle parole dell'ambasciatore Chaalan - sono forse considerate tali in Siria, dove spesso gli oppositori politici non possono incontrare la famiglia, gli avvocati, i medici, ma non lo sono in base al diritto internazionale. Continuiamo a sottolineare che il governo italiano è responsabile di quanto sta accadendo ad al-Shakri, per aver respinto lui e la famiglia, violando le norme internazionali».

Questo è l'altro punto fermo della vicenda: le innegabili responsabilità del governo italiano, che sul fronte interno non ha alcuna giustificazione per l'inerzia con cui ha affrontato la questione, continuando ad autoassolversi dall'accusa di aver violato il diritto internazionale e nazionale senza dar cenno di voler almeno sanzionare i funzionari che rispedirono indietro al-Shakri e la sua famiglia. Sentiremo cosa risponderà il governo, che martedì riferirà in aula in seguito alle numerose interrogazioni parlamentari presentate sul caso.