il manifesto - 06 Febbraio 2003
I richiedenti asilo? «Li protegga l'Onu»
Anticipato il piano del governo inglese per i rifugiati: rimpatrio in «zone di protezione» controllate dalle Nazioni unite, vicine ai paesi di provenienza. Così la Gran Bretagna si prepara a respingere i profughi e a ritirarsi dalla Convenzione di Ginevra
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
Il governo laburista ha deciso di contrastare con ogni mezzo necessario l'afflusso di profughi che arrivano in Gran Bretagna in cerca di asilo politico. In un documento riservato sul quale è riuscito a mettere le mani il quotidiano The Guardian si legge che il governo ha pronto un piano per ridurre drasticamente il numero di richiedenti asilo rimpatriando in cosiddette «zone di protezione» controllate dalle Nazioni unite la maggior parte dei profughi che arriveranno in Gran Bretagna. Il piano dovrebbe essere presentato al premier Tony Blair nel fine settimana e giunge al termine di una settimana di polemiche scatenate dalle dichiarazioni del ministro degli interni David Blunkett e dallo stesso Blair. Il premier aveva detto che «la convenzione di Ginevra sull'asilo del 1951 è ormai datata. Pensata in un periodo quando non c'era l'immigrazione di massa a cui stiamo assistendo in questi anni - aveva aggiunto Blair - contiene una serie di obblighi che le nazioni firmatarie devono rispettare che oggi sono francamente discutibili». La proposta di Blair e del suo ministro è quella di «rivedere il ruolo della Gran Bretagna all'interno della convenzione». Dove una possibilità è «ritirarsi dal trattato». Il piano di ieri dunque per molti versi non sorprende, anche se colpisce la determinazione (in termini repressivi) del new Labour nei confronti della questione asilo e più in generale immigrazione. Redatto dall'ufficio di gabinetto assieme al ministero degli interni, il documento passato al Guardian rivela che la maggior parte dei richiedenti asilo perderebbero il diritto di chiedere asilo in Gran Bretagna e verrebbero deportati in «aree regionali protette» dove le loro domande saranno esaminate. Per esplicitare il concetto di «aree protette» il documento che delinea la politica per un «nuovo sistema di asilo globale» fornisce anche degli esempi e, se la cosa non fosse seria e drammatica, si potrebbe pensare a un bluff. La Turchia, l'Iran e il Kurdistan iracheno vengono indicate infatti come «aree protette» per i profughi iracheni.. Mentre per quelli algerini si pensa al Marocco e per quelli provenienti dal sud della Somalia si pensa a regioni nel nord della stessa Somalia. Inoltre si suggeriscono aree protette in Ucraina o Russia dove rimandare i «migranti economici» provenienti dai paesi dell'Est. Gli estensori del piano si preoccupano di non far apparire lo schema come «uno scaricare i richiedenti asilo nelle nazioni più povere» e nemmeno come «un utilizzo di soldi che ci permetta di lavarci le mani del problema dei profughi». Ma a leggere il documento è esattamente questa la sensazione. Come confermano i piani per il «dopo deportazione». Infatti nelle aree protette (dalle Nazioni unite) i profughi potranno rimanere al massimo sei mesi, durante i quali verrà valutata la situazione nel paese d'origine. E se proprio le cose dovessero buttare male, allora si provvederà a una spartizione equa tra i vari paesi europei di quei profughi che hanno bisogno di più protezione. Per affrontare poi il problema delle migrazioni alla radice il piano prevede una serie di interventi diretti nei paesi da cui proviene il maggior numero dei profughi. Si potrà decidere se inviare aiuti economici, emanare sanzioni o intervenire militarmente. La gamma di possibilità si chiama una «nuova visione per i profughi» e, anche se «un intervento coercitivo in altri stati sarebbe naturalmente controverso», il documento sottolinea che è importante che a livello internazionale si riconosca la necessità di ridurre i flussi migratori. E se per fare questo sarà necessario l'intervento militare (anche se «come ultima risorsa»), così sia. Il documento è raggelante nella sua lucidità ed è forse uno dei migliori esempi della deriva (per altro teorizzata) del new Labour.

Il documento sarà presentato lunedì all'alto commissario dell'Onu per i profughi, Ruud Lubbers. Se l'Onu accetterà il primo schema pilota potrebbe partire già in estate. Coinvolgerebbe all'inizio cinque stati europei disposti a finanziare il programma, ma si parla anche di un possibile coinvolgimento dell'Australia. Nell'unico accenno ai diritti dei profughi il documento dice che le aree protette dovranno soddisfare criteri stabiliti dai paesi coinvolti nello schema.