il manifesto - 15 Novembre 2002
Sulla sanatoria è caos giuridico
I giudici divisi di fronte alle vertenze dei clandestini contro i padroni che li licenziano. Secondo alcuni, quei rapporti di lavoro, illegali, «non esistono»
CINZIA GUBBINI
Il caos regna sovrano. L'interpretazione della legge Bossi-Fini assomiglia sempre di più a un rebus, e i magistrati si comportano di conseguenza. Così, dopo alcune ordinanze favorevoli alla regolarizzazione di immigrati licenziati dai datori di lavoro, che chiedevano di essere «sanati», ora i tribunali inziano a respingere i ricorsi. Non si può parlare, ovviamente, di un orientamento generale. Ma leggere motivazioni tanto diverse - diametralmente diverse - su casi tanto simili, lascia di sasso. Secondo alcuni giudici di Torino e Genova, infatti, non solo il datore di lavoro non ha l'obbligo di sanare (mentre altre sentenze spiegano che, invece, il datore di lavoro ha proprio l'obbligo di farlo), ma in alcune ordinanze si legge addirittura che il rapporto di lavoro tra un «clandestino» e un datore di lavoro è nullo. «E' una negazione gravissima della tutela sul lavoro agli extracomunitari - commentano gli avvocati genovesi Ballerini e Vano - frutto di una regolarizzazione che per la prima volta mette tutto in mano al datore di lavoro».

I problemi sono due: uno riguarda la strana regolarizzazione inventata dal centrodestra, che ha aperto la porta a precedenti giuridici preoccupanti, come stabilire che un privato cittadino può continuare a commettere un illecito nonostante la legge voglia sanarlo. L'altro riguarda invece la natura di un rapporto di lavoro tra cittadini extracomunitari «clandestini» e datori di lavoro, problema che non riguarda più la regolarizzazione terminata l'11 novembre ma il martoriato campo dei diritti del lavoro.

E' pure vero, come spiega l'avvocato Marco Paggi che «finora non è mai stato applicato, nel caso di uno straniero irregolarmente presente sul territorio italiano, né il reintegro né la riparazione del danno. Nel caso di questi ricorsi, però, avviati durante una regolarizzazione e quindi di un provvedimento straordinario, non capisco perché il giudice affronti il problema. Anche fosse accertato che i rapporti di lavoro al nero stipulati con `clandestini' siano nulli, la regolarizzazione si rivolgeva proprio a questi». Ma anche sulla questione della nullità di rapporti di lavoro di questo tipo (e la sanatoria ha dimostrato quanto sia esteso il fenomeno), le interpretazioni sono molteplici. I giudici che sostengono questa tesi dicono: una prestazione lavorativa al nero viola i termini di legge, in pratica è vietata, quindi non esiste.

«Ma la nullità deve essere accertata caso per caso - spiega l'avvocato Roberto Faure - Altrimenti, è come stabilire che gli extracomunitari 'clandestini' non possono neanche chiedere il risarcimento dei danni». Una bella discriminazione, perché a pensarci bene, nelle case italiane ci hanno insegnato sin da piccoli che se il «padrone» ti sfrutta e ti tiene al nero, tu puoi fare vertenza e chiedere un sacco di soldi. Ora viene fuori che se sei «clandestino» questo diritto è molto meno solido. «Il problema è che ormai i giudici del lavoro tendono a fare le loro sentenze senza considerare che avranno delle ricadute molto più ampie - osserva l'avvocato Sergio Bonetto - al di là delle singole ordinanze, è questo il dato più preoccupante».

E, a una settimana dalla fine della regolarizzazione, non si può escludere che non sapremo mai se questa regolarizzazione era obbligatoria o meno per il datore di lavoro. E' cruciale capire se può essere affidata completamente nelle mani del datore di lavoro la possibilità di dare un permesso di soggiorno al lavoratore straniero. L'argomento è talmente scabroso che il governo ha preferito delegare tutto a proclami televisivi, sostenendo che «certamente è obbligatorio». Ma mai una parola scritta.