il manifesto - 01 Settembre 2002
Il campo nomade di Dachau
Nessuna motivazione storica consente di giustificare il modo in cui alcuni studiosi si affannano a distinguere tra genocidio e persecuzione. Ovvero tra la sorte toccata agli ebrei durante il Terzo Reich e quella che segnò il destino di Sinti e Rom. Nuove critiche al libro di Guenter Lewy su «La persecuzione nazista degli zingari»
GIANNI MORIANI
Numerose sono le polemiche suscitate dal libro di Guenter Lewy, La persecuzione degli zingari, come ha già segnalato Giovanna Boursier su queste pagine ( Il Manifesto, sabato 24 agosto). Il punto controverso è la considerazione delle motivazione razziali come secondarie nel progetto di sterminio nazista di Sinti e Rom. Una teoria, quella di Lewy, per smontare la quale basterebbe citare la lunga serie di circolari emesse dal regime nazista. Già in quella del 6 giugno 1936, infatti, i Sinti e i Rom erano definiti come «popolo zingaro eterogeneo alla popolazione tedesca». Si aggiungevano poi le disposizioni sulla «Centrale del Reich per la lotta all'imperversare degli zingari» del 16 maggio 1938 che contenevano riferimenti sulle «ricerche di biologia delle razze» i cui risultati andavano valutati. Ancora, più precisamente, la circolare dell'8 dicembre 1938 che affermava: «le conseguenze raggiunte attraverso le ricerche di biologia delle razze» esigevano una regolamentazione della questione inerente gli zingari partendo dalla natura di questa razza». La divisione in «zingari di razza pura», «zingari mezzo sangue» e «persone nomadi secondo la maniera degli zingari» predisposta in vista di una «soluzione definitiva della questione inerente gli zingari», si concretò momentaneamente nel 1939 nella emissione di carte d'identità di colori diversi. Tutta questa sequela di atti amministrativi costituisce la conferma di come il genocidio di una popolazione richieda il lavoro di una capillare organizzazione. Nel 1936, il medico e psicologo Robert Ritter, fondò e diresse a Berlino, nell'ambito dell'Ufficio d'igiene del Reich, l'Istituto di ricerca e di igiene razziale ed ereditarietà. Ma come aggirare la contraddizione posta dal fatto che gli zingari, essendo originari dell'India, erano anch'essi ariani, appartenenti quindi alla stessa razza del popolo tedesco? Con metodi genealogici e antropologici Ritter e i suoi collaboratori indagarono su quasi tutti gli zingari presenti in Germania, stabilendo il loro grado di purezza razziale, partendo dal presupposto che essi, durante la loro migrazione, erano stati contaminati da altre razze.

Nello stesso 1936 Dachau accolse le prime deportazioni di zingari inclusi tra gli «asociali». Ritter rivolse il suo attacco più forte all'interno dell'intero gruppo dei Sinti: non colpì gli zingari «puri», ma si accanì contro gli zingari di «sangue misto» tra i quali aveva fatto rientrare più del 90% delle persone classificate «zingari» e che lui stigmatizzava come individui inutili e asociali, come proletariato cencioso e privo di struttura e di carattere. Ma quale criterio seguire per discriminare uno zingaro «puro» da uno con il «sangue misto», visto che non ci si poteva appellare alla religione come era successo per gli ebrei? Ritter ricorse alla genealogia, al grado di conoscenza del romancio (la lingua degli zingari) e all'osservazione delle usanze tramandate dai Sinti. Ritter non definitiva però neanche i Sinti «puri» come razza pura, bensì come una popolazione che aveva preso del sangue straniero sulla strada che li aveva condotti dal paese d'origine, l'India, all'Europa. Non solo, con un'altra delle sue speculazioni razziali, Ritter affermò che gli «antenati» indiani degli zingari sarebbero appartenuti alla casta dei paria. Così, Sinti e Rom vennero allo stesso modo confinati biologicamente al di fuori del mondo ariano che il mito nazista collocava proprio nell'India. Quanto all'attribuita appartenenza degli zingari di «sangue misto» al proletariato cencioso, si dimostra una volta di più come la persecuzione di Sinti e Rom si basasse su diffusi pregiudizi antropologico-razziali. Il «topos» della minaccia alla comunità popolare, con la quale gli zingari di «sangue misto» vennero collocati nel sottoproletariato, era simmetrico all'opposto «topos» antisemita secondo il quale gli ebrei rappresentavano una minaccia perché appartenevano (in alta percentuale) all'élite. Oltre a questo - scrive Michael Zimmermann - i biologi razziali erano convinti che gli zingari di «sangue misto» fossero portati a una straordinaria criminalità.

Come i Sinti di «sangue misto», anche il piccolo gruppo di Rom, emigrato dall'Ungheria in Germania, venne stigmatizzato come razza costituita da un pericoloso miscuglio e accostata all'immagine dell'ebreo rapace per di più a causa di una presunta astuta attitudine agli affari, di caratteristiche fisiche vagamente asiatico-orientali e di una evidente gesticolazione.

E' Himmler a preparare la macchina dello sterminio degli zingari, emanando l'8 dicembre 1938, la circolare per la lotta alla «nocività» degli zingari, con cui ordinava «che tutti gli zingari insediati o meno, e tutti i vagabondi che conducono una esistenza da zingari si registrino presso l'Ufficio centrale della polizia criminale del Reich per la lotta contro la nocività degli zingari».Il 21 settembre 1939, nel corso di un convegno organizzato da Heydrich a Berlino, fu innescata la soluzione finale della «questione zingari»attraverso il trasferimento dei 30.000 zingari in Polonia. Per Adolf Eichmann, che dal RSHA, Ufficio V B 4, organizzava i treni della deportazione, la «questione zingari» andava affrontata assieme a quella degli ebrei agganciando «tre o quattro vagoni» ai treni che trasportavano gli ebrei nei Lager del Governatorato generale. Nell'aprile-maggio 1940 ci fu la prima deportazione di 2.500 zingari dalla Germania occidentale in Polonia. Il 16 dicembre 1942, con l'Auschwitzerlass (Decreto di Auschwitz) tutti gli zingari dovevano essere internati nei campi di concentramento per la loro «soluzione finale». Il 26 febbraio 1943, giunse ad Auschwitz il primo treno di zingari, poi ne seguirono molti altri. Dei 23.000 zingari internati nel campo BIIe di Auschwitz, 20.078 furono uccisi. Eichmann, davanti a un giudice istruttore ebreo dichiarò che «non vi furono da nessuna parte interventi di qualsiasi tipo a favore degli zingari». Il genocidio nazista degli zingari fece circa 500.000 vittime in undici paesi dell'Europa. Perché certi storici continuano ad affaticarsi per disgiungere, nel comune genocidio, la sorte degli ebrei da quella degli zingari? Forse perché altrimenti la «purezza dell'olocausto» del popolo ebraico risulterebbe macchiata dai pregiudizievoli Sinti e Rom?

No, non ci sono motivazioni, né storiche né tantomeno morali, per separare quei cari piombati che Eichmann aveva voluto agganciati gli uni agli altri, per spedire la «merce» umana verso un unico infausto destino. Si tratta di una precisazione ancora più doverosa, in giorni nei quali la Lega, dalla profonda e cinica provincia veneta, invoca una «Bossi-Fini» anche contro gli zingari. I pregiudizi, come la gramigna, sono purtroppo infestanti e duri a morire.