il manifesto - 09 Aprile 2002
Lungarno gitano contro la guerra
I rom italiani festeggiano il loro «Baro Dives» sul fiume di Firenze
GIOVANNA BOURSIER
FIRENZE
Pomeriggio ventoso in piazza della Signoria. I soliti, enormi, gruppi di turisti, soprattutto americani e giapponesi, capitanati da ombrelli o improbabili bandierine, fanno ressa davanti a Palazzo Vecchio o si incamminano verso gli Uffizi. Qualcuno, a un certo punto, si ferma e osserva. Evidentemente si chiede cosa stia succedendo. I rom arrivano a piccoli gruppi, tentennanti, come non sapessero dove andare e cosa fare. Si cercano. E si trovano subito. Così, insieme, sembrano più tranquilli, anche se i turisti li guardano insistenti. Chiacchierano e aspettano. Alcuni chiedono cosa succederà, altri glielo spiegano: «una festa», dicono, «e dovremmo essere in tanti». «Arrivano, arrivano», dice un altro, «basta aspettare». Alle cinque e mezza sono già moltissimi, nonostante il corteo parta alle sei. Il centro della piazza è già invaso. E arrivano i bambini: scendono da uno scuolabus del Comune ed è subito festa. Come lo è l'8 aprile per i rom di tutto il mondo. E' «Baro Dives», giornata in ricordo del loro primo congresso internazionale, nel 1971, quando per la prima voltà si riunì a Londra la Romani Union, riconosciuta poi anche dall'Onu come associazione mondiale non governativa. Allora i rom di tutto il mondo scelsero anche un inno e una bandiera, non per nazionalismo - visto che non hanno mai avuto nè rivendicato una terra - ma forse solo a dire che si può essere comunità anche sparsi ovunque e senza confini. La manifestazione di oggi la spiega Demir Mustafà, coordinatore dell'associazione Amalipé Romanò che, qui a Firenze, ha organizzato tutto. «In realtà - ci dice - quest'anno l'8 aprile assume anche una rilevanza particolare, è il nostro giubileo millenario. Festeggiamo il primo millennio dalla partenza dei nostri antenati dall'India. E abbiamo deciso di celebrarlo solennemente, sperando che d'ora in avanti diventi giornata di orgoglio rom, vale a dire di difesa dei nostri diritti». Così si festeggia, in Italia, anche a Verona e poi nel resto del mondo: Argentina, India, Stati Uniti, Yugoslavia, Bulgaria, Inghilterra, Russia, Olanda, Francia. I rom arrivano sui fiumi delle loro città con candele accese e fiori, per lasciarli nella corrente. I fiumi rappresentano il loro lungo cammino, i fiori le anime dei loro antenati e i lumini la luce che viaggia con loro.

La bandiera dei rom si apre sulla piazza. E' divisa in due, una striscia verde e una blu, e in mezzo una grande ruota rossa. «Il blu è il colore del cielo, il verde quello del prato e della terra e il rosso simboleggia la libertà, che per noi è la ruota, perchè i rom girano dappertutto», dice Bajram, giubbotto di jeans e capelli appena tinti di biondo. Vive all'Olmatello ma viene dal Kosovo, da dove è scappato con la famiglia e dove non vuole più tornare «perchè là abbiamo perso tutto». «A Firenze - aggiunge - faccio l'autista in una cooperativa, mi piace e sto bene. Vorremmo fermarci ma è difficile perchè nessuno ci vuole». La moglie, Bedria sorride con in braccio Armina, l'ultima nata, di soli cinque mesi. Da via Calzaioli arriva un altro gruppo. Saranno un centinaio con in testa una bandiera dell'Arci e la scritta pace. Si uniscono agli altri e ci si muove. Con loro anche la polizia, troppa, che guiderà il corteo fino alla fine.

Davanti la bandiera e dietro un cartello, scritto a mano, una riga rossa, una verde e una blu, appunto: «il popolo rom (senza nazione) dice: no al nazionalismo e no alla guerra». «Con la punteggiatura e le parentesi - dice Osmani - perchè così impariamo a scuola». Accanto a lui c'è Bajram, occhi vispi e intelligenti: «Anch'io vado a scuola ma sono stato bocciato perchè facevo casino. Però mi piace e ho anche degli amici. Loro hanno una casa e io no e questo non mi va. No. Non ci vorrei più stare al campo ma non chiedermi perchè, vieni a vederlo». Abita al Masini uno dei peggiori nella città. «Però adesso voglio andare avanti e non posso parlare se no perdo gli altri», conclude.

Il corteo avanza. Di cartelli ce ne sono tanti. Li tengono donne e bambini: «Anche i rom sono cittadini. Basta campi», «Diritti anche per noi», «Pace per tutti». E «pace, pace!» lo urlano in tanti, le ragazze vestite con gli abiti tradizionali in prima fila, stufe dei fotografi che gli chiediono di mettersi in posa.

Lungarno, si sfila davanti a negozi e botteghe. I commercianti osservano. Se gli chiedi cosa pensano rispondono «niente». I commenti delle scolaresche italiane non sono gentili: «Che puzza», dice un ragazzino, e «che schifo», gli fa eco un altro. «Attenti al portafoglio», il terzo. Ma i rom non se ne accorgono.

Arrivano in piazza Poggi. C'è la musica e i bambini corrono. Buttati gli striscioni sul prato si comincia a ballare. Poi la grande cerimonia. Si scende sul fiume, in tanti, e non solo rom. Come un'enorme carovana sul sentiero. Si cammina nel fango e ci si ferma. Poi si posano sull'acqua fiori e candele. Dall'alto è molto bello: quasi cinquecento persone, uomini, donne e bambini sull'Arno, la bandiera della pace che sventola e le luci che il fiume, piano piano, si porta via.