Voci che vengono dal
mare Bari,
viaggio tra i profughi kurdi alloggiati nell'aeroporto
militare ANTONIO ROLLI - BARI
Montagne di acqua minerale e cibo per
ritrovare la forza dopo un viaggio che non finiva mai. La
prima giornata dei 928 profughi all'interno della roulottopoli
dell'aeroporto militare di Bari Palese è trascorsa tra le
operazioni di censimento e identificazione avviate degli
uomini dell'ufficio stranieri della questura e le procedure
per le richieste di asilo politico. Seduti nel grande
tendone, tutti gli immigrati hanno atteso con pazienza
l'assegnazione del proprio cartellino di riconoscimento e di
un kit di prima necessità differente per uomini e donne.
Mosul, Arbil, Karkuk, soprattutto queste le provenienze. Gli
interpreti ascoltano increduli e annotano le loro
testimonianze. "Mia moglie era incinta - racconta Hassan - ma
abbiamo deciso di partire ugualmente. Avevamo paura, perché
sapevamo di affrontare non poche difficoltà, ma noi con la
paura abbiamo imparato a conviverci". Forse è proprio la paura
il tema generale di questa ennesima odissea. Paura che si
scateni una nuova guerra in Iraq, con le inevitabili e
tragiche ripercussioni sulla comunità kurda, paura delle
violenze sistematiche da parte dei militari di Sadddam
Hussein, paura delle continue repressioni. "Sono partito
senza i miei genitori - dice il giovane Khalid - perché non
c'erano soldi per pagare il biglietto a tutti, così mio padre
ha deciso di far partire me e mia sorella. Durante il viaggio
- spiega Khalid - abbiamo temuto di morire; quando il
comandante della nave se n'è andato su un motoscafo
potentissimo, siamo rimasti per due giorni alla deriva prima
che voi italiani ci trovaste. A bordo della nave c'era
pochissima acqua e veniva dispensata soprattutto ai bambini e
alle donne". La maggior parte di loro vuole chiedere lo
status di rifugiato politico, tant'è che un'apposita
commissione sarà nei prossimi giorni a Bari per esaminare
direttamente le richieste. Molti profughi hanno intenzione di
raggiungere il nord Europa (Germania e Svezia) e il Canada,
dove spesso ad attenderli ci sono amici o parenti. "L'Italia è
molto bella - racconta Tharek, 26 anni - ma io e la mia
famiglia vogliamo raggiungere la Germania. Lì ci sono dei
nostri parenti che hanno aperto un piccolo negozio di
tessuti". Tra gli immigrati giunti a Bari ci sono anche due
bambini di etnia yasidi, senza genitori, si tratta di Hamid e
Ahmed Bashar, di 4 e 5 anni. Con loro ad assisterli c'è lo zio
Fayed di 19 anni, "i loro genitori - racconta Fayed - al
momento della partenza erano con noi. Poi, nella confusione,
li abbiamo persi di vista. Chissà, forse arriveranno con la
prossima nave". Intanto, il responsabile del servizio
medico del centro di accoglienza fa sapere che le condizioni
generali dei profughi sono buone. "Abbiamo censito - spiega il
dottor Capece - 5 disabili, 15 donne incinte, due delle quali
trasportate in ospedale per accertamenti, e qualche bambino
con infiammazioni alle vie respiratorie". Nel frattempo,
continuano le indagini da parte degli investigatori per
ricostruire le tappe del viaggio della "Monica", la nave
giunta nei giorni scorsi a Catania. Le ipotesi da vagliare
sembrerebbero due: quella raccontata dai profughi, secondo i
quali sarebbero partiti dal porto turco di Mersin, e quella
della polizia europea di Ankara che respinge tali voci e
replica sostenendo che la nave sia partita la notte dell'11
marzo da un porto libanese. Ieri mattina il questore di Bari
Franco Malvano ha dato disposizione ai suoi uomini di
sorvegliare il centro "in modo discreto" e non offensivo. "La
Puglia - ha spiegato il questore - è ormai collaudata ad
affrontare emergenze di questo tipo. Qui c'è una tradizione di
accoglienza che non ha eguali, e credo sia stato dimostrato
dalla rapidità con cui siamo riusciti ad allestire in modo
dignitoso il centro di accoglienza". Preoccupato, invece, il
sindaco di Bari Simone di Cagno Abbrescia. "Fermo restando il
nostro spirito di accoglienza - ha dichiarato il sindaco del
Polo - mi chiedo perché questi carichi di disperati siano
scoperti solo quando entrano in acque italiane. Ci sono canali
diplomatici che non funzionano perché non è possibile
attraversare il Mediterraneo indisturbati".
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