"Non sono un terrorista, quella voce non è mia"
Negano tutto i sei musulmani arrestati a Roma in base a
intercettazioni. Perquisite due giornaliste
ALESSANDRO MANTOVANI -
ROMA
Negano tutto i presunti terroristi. Ieri, nel carcere romano di
Regina Coeli, il gip Di Donato e i pm Amelio e Ionta hanno
sentito il pakistano Ahmet Naseer, il tunisino Ben Khalifa
Mansour detto Naim e l'algerino Chaid Goumri, finiti in carcere
venerdì con l'accusa di aver costituito un'organizzazione legata
ad Al Quaeda e alle formazioni islamiste algerine. Lunedì erano
stati interrogati i tre "iracheni", tre profughi curdi con
passaporto iracheno, catturati nell'ambito della stessa
inchiesta. Sono tutti accusati di associazione sovversiva e di
violazione della legge sulle armi. Armi, però, i carabinieri non
ne hanno trovate. Circa venti perquisizioni, venerdì, hanno
portato solo al rinvenimento di videocassette inneggianti alla
guerra santa. Le ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip
Rando, sono basate su intercettazioni in cui gli indagati
accennano a pistole, mitra, fucili, bombe e cianuro. Nelle
trascrizioni non si trovano mai discorsi compiuti, eppure il gip
ipotizza l'esistenza a Roma di un "nucleo integralista islamico
del quale Naseer e Naim costituiscono i referenti".
Le intercettazioni sono state contestate durante gli
interrogatori, prima dei quali gli indagati non hanno potuto
parlare con i legali per decisione della procura. Ahmet Naseer,
il pakistano 39enne ritenuto il capo del gruppo, titolare del
contratto d'affitto del locale adibito a moschea ("al Hamini") in
via Gioberti (nel quartiere multietnico dell'Esquilino, accanto
alla stazione Termini), è stato sentito per ultimo con
l'assistenza dell'avvocato Simonetta Crisci, che farà ricorso al
tribunale del riesame. "Non ho mai sentito parlare di armi, né
partecipato a riunioni in cui si sarebbe parlato di atti
terroristici", ha detto ieri il pakistano. Naseer sostiene che la
voce intercettata non sia la sua. Non ha bisogno dell'interprete,
è laureato in fisica e in matematica e vive in Italia da dieci
anni. Gestisce un'agenzia di viaggi (la Raval international,
sempre all'Esquilino), è piuttosto noto tra i pakistani di Roma,
ha collaborato in passato con l'associazione Senzaconfine ed è
considerato "un uomo religioso, ma non certo un fanatico, né un
politico". Lo dicono anche i pakistani cattolici.
Naseer ha confermato di conoscere i due interrogati prima di lui:
il tunisino detto Naim e l'algerino Chaid Goumri, entrambi poco
più che trentenni e gravemente handicappati. Il primo ha le gambe
fuori uso e cammina a fatica: incensurato, è difeso anche
dall'imam Samir Khaldi della moschea "al Huta" di Centocelle, un
centro islamico per nulla "chiacchierato" attivo dal `94. Il
secondo, l'algerino Goumri, ha subito anni fa l'amputazione della
gamba sinistra: gli inquirenti ritengono che abbia contatti con
un esponente del Gia, il Gruppo islamico armato algerino,
Ferdjani Mouloud. Secondo l'ordinanza, Goumri era "un mero
partecipe dell'associazione, probabilmente impiegato nel recapito
di messaggi, ma non per questo meno importante per il rapporto di
fiducia che lo lega a Naim e, per suo tramite, a Naseer".
Naim, per l'accusa, si occupava delle armi. Il 12 dicembre scorso
parlava di una pistola con un uomo non identificato. Il 14
gennaio diceva a Naseer: "...quell'uomo non ci tiene al fucile",
il pakistano rispondeva "neanche al mitra, tienilo nascosto", e
un terzo aggiungeva "Oh, io uccido Bush". Il 17 febbraio Naim
accennava a un attentato: "Il colpo sul carabiniere lo spari
te... lo devi fa'". Ieri il tunisimo, difeso dall'avvocato
Cynthia De Conciliis, ha respinto ogni addebito: "Non ho mai
parlato di armi, né di un colpo da sparare a un carabiniere". Si
è definito invalido civile. "Ha problemi gravi, è affetto da un
tremolio costante", ha detto il suo legale dopo averlo
incontrato. Ha negato tutto anche l'algerino: "Alla moschea
andavo per pregare e per l'assistenza di cui avevo bisogno per i
miei problemi fisici", ha spiegato Goumri. E lunedì i tre curdi
iracheni - impauriti perché clandestini e semi-analfabeti, spiega
l'avvocato Manuela Lupo - erano caduti dalle nuvole di fronte
alle intercettazioni in cui avrebbero parlato di vestiti e...
cianuro. Era l'unico filo con i nove marocchini in prigione da
quindici giorni, accusati di voler attentare all'ambasciata Usa
con il ferrocianuro trovato dai carabinieri.
Ieri, intanto, i militari, su iniziativa del procuratore di Roma
Vecchione, hanno perquisito le redazioni di Corriere e
Repubblica e le abitazioni delle giornaliste Fiorenza
Sarzanini e Claudia Fusani, che avevano pubblicato stralci delle
ordinanze e brani delle intercettazioni. Non si è trattato di
perquisizioni amichevoli, sono stati sequestrati computer e
cellulari. Una spiegazione seria è difficile: gli atti erano già
a disposizione dei legali, non si può certo parlare di fuga di
notizie.
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