DIVINO
Turoldo,
il poeta
degli ultimi
FILIPPO GENTILONI
La sua terra natale, il Friuli, ha voluto ricordarlo, nel
decennale della morte, con un progetto, "David Maria Turoldo. Una
voce per il Friuli", cadenzato in due momenti: dal 4 al 7
dicembre e dal 4 al 7 febbraio. Ideato e curato dall'associazione
culturale Forum di Aquileia con l'assessorato alla cultura della
regione Friuli Venezia-Giulia ha riunito e riunirà le voci di
artisti, di studiosi, di poeti e di uomini e donne di fede, tra i
quali Michele Ranchetti, Andrea Zanzotto, Sergio Zavoli, Mario
Rigoni Stern, Franco Loi, Ettore Masina, Rigoberta Mechù... Un
appuntamento prezioso per trarre un bilancio di quello che
Turoldo è stato, come poeta, come testimone civile, come uomo di
Chiesa e poi uomo di teatro e di cinema, e per ricordare, insieme
a lui, la stagione ecclesiale che fu, dieci anni fa, di Padre
Davide Maria Turoldo, come anche di Padre Balducci e di qualche
altro. Una stagione, purtroppo, ormai lontana.
Vorrei qui ricordare due fra i molti aspetti per i quali Turoldo,
nonostante la lontananza, ci è più vicino che mai: la condanna
della guerra e quella di una metafisica che pretenda di conoscere
Dio, di identificarlo, forse di possederlo (concetto, concepito).
Il linguaggio è quello della poesia: ecco una caratteristica
profonda di Turoldo, convinto come era che soltanto la poesia può
- forse - arrivare a parlare, al di là della logica, là dove si
annuncia ma non si spiega, si spera ma non si constata. Si veda,
fra l'altro, il suo bellissimo Mie notti con Qohelet
(Garzanti, 1992, poco prima di morire), uno dei testi biblici
che, insieme a Giobbe, Turoldo ha maggiormente amato e
frequentato. Ha scritto Carlo Bo: "Padre Davide ha avuto da Dio
due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto
di cantarla tutti i giorni".
La guerra, dunque, e la pace. Oggi, dopo le recenti tragedie del
terrorismo e dell'Afghanistan rileggiamo con commozione i versi
scritti nel 1982, in un altro dei momenti di scontro tragico fra
Oriente e Occidente. "Primo comandamento di tutti gli eserciti:/
tu non avrai altra ragione/ al di fuori della ragione
(impazzita)/ di colui che ti manda./ I soldati devono solo
uccidere/ ed essere uccisi". Sui problemi del Medio Oriente, si
rileggano questi versi, scritti al tempo di una crisi analoga a
quella dei nostri giorni: "Uomini, è notte / è notte per ogni
cuore, / per ogni casa e paese e chiesa. / Israele -o almeno
Begin - / tornasse, per una breve visita, a Mauthausen / in quel
capannone delle scarpette / - un monte di scarpette e bambole e
giocattoli... Poi torni pure a continuare / con la sua feroce
baldanza / la concordata (oh, America) / 'operazione pace in
Galilea'". Sembra che Turoldo non possa parlare - e riflettere -
se non in poesia.
L'altro grande tema interessa direttamente il divino, la cui
inafferrabilità ritorna continuamente nei suoi versi, fino alla
fine. Si vedano i Canti ultimi (Garzanti 1991; ne ho una
copia che Turoldo mi ha firmato, quando sono andato a trovarlo,
l'ultima volta, insieme a Don Ciotti, in una casa di riposo
vicino a Milano): "Oltre la foresta. / Fratello ateo, nobilmente
pensoso / alla ricerca di un Dio che io non so darti, /
attraversiamo insieme il deserto. / Di deserto in deserto andiamo
/ oltre la foresta delle fedi / liberi e nudi verso / il nudo
Essere / e là / dove la Parola muore / abbia fine il nostro
cammino".
Un tema, questo, che aveva attraversato tutta la sua vita e la
sua poesia. Sono di pochi anni prima questi versi che il "divino"
potrebbe assumere come programma: "Appena uno pensi. Di falso in
falso andiamo / appena uno pensi: ecco / questo sei tu, Signore.
/ Nessuna definizione tu sei, / lucidità è nostra illusione; /
questo predicarti, quando tu / ci frani nelle mani / come nuvola.
/ E non sarà soluzione / neppure la morte : / la soluzione è qui,
/ il silenzio".
Questo silenzio è la preziosa eredità che Turoldo ci ha lasciato,
ma è difficile ascoltarlo nel frastuono attuale di tutte le
religioni.
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