Tre buone notizie per il regime turco: gli
elogi sperticati del portavoce del Dipartimento di stato Usa
Phil Reeker all'"alleato numero uno nella lotta al
terrorismo", l'annuncio di un incontro euro-turco per spianare
la strada alla Turchia nel futuro esercito europeo, la
partecipazione dell'Eni alla progettazione della
pipeline caucasica Baku-Ceyhan.
Pessime notizie per
i kurdi: altri trenta arresti nella sede del partito Hadep di
Smirne per sostegno al terrorismo. L'accusa: propaganda della
"serhildan", la strategia di resistenza civile del Pkk.
A
Smirne s'era imbarcata due settimane fa la giovane Milli
Gullu, per sfuggire alla stessa prigione che ora reclude i
suoi compagni di partito. Ieri l'autopsia ha confermato la
causa della morte: asfissia. Ora suo marito Huseyin Alturk
chiede solo che il corpo di Milli riposi a Istanbul, dove
vivono i suoi genitori. Provvederanno, pare, la prefettura e
la Croce rossa di Crotone, e gli esuli kurdi si preparano a
darle l'estremo saluto a Fiumicino.
La voce di Huseyin è
ferma mentre dal campo di Sant'Anna a Crotone rivive al
telefono l'agonia di sua moglie. Nella stiva della nave
negriera "Ackan 1" -in cui sono stati imprigionati per sette
giorni 416 migranti viaggiando in condizioni terribili -
Huseyin, insieme alla moglie e alle loro bambine di otto e
dodici anni, deve aver attraversato tutti gl'inferni del
dolore umano.
Ma perché un'intera famiglia mette a rischio la vita per
venire in Italia?
Perché senza libertà non c'è vita. Da Sirnak, dove
spadroneggiano i Jandarma, per non sparire anch'io in
un commissariato ero stato costretto a trasferirmi a Gebze,
presso Istanbul. Ma la mia origine kurda mi bollava. Ogni
volta che a Gebze c'era un problema la polizia veniva da noi,
soprattutto dopo che nel '99 mia moglie Milli fu arrestata
durante lo sciopero della fame delle donne dell'Hadep contro
il sequestro di Ocalan in Kenya. La torturarono per una
settimana nella caserma di Gebze, fino a lasciarla esanime sul
nudo cemento di una cella. Nessun medico volle firmare il
referto. Da allora la nostra vita fu in inferno. Mia figlia a
undici anni dovette lasciare la scuola perché gli insegnanti
la schernivano come figlia di terroristi. Quando abbiamo
deciso di espatriare, Milli attendeva la sentenza del
tribunale speciale per quello sciopero della fame: fino a
quindici anni di prigione per sostegno al Pkk.
Come siete partiti?
Dopo aver dato a un mediatore mafioso 4850 dollari, tutto
ciò che avevo, ci hanno chiamati. Di notte, stipati in
settanta in un autobus da cinquanta posti, abbiamo viaggiato
da Istanbul fino a Cesme, il porto di Smirne. Agenti di
polizia, in borghese ma con pistole e radiotelefoni, ci
aprivano la strada su una macchina civile. A un posto di
blocco a Bursa hanno preso dall'autista del bus un pacco di
banconote e l'hanno passato ai loro colleghi in divisa. Ci
hanno scortati fino all'imbarco su un gommone che dopo quattro
ore, forse in prossimità della costa greca, ci ha trasbordati
su quella maledetta nave.
Puoi raccontarci del viaggio?
Appena a bordo ci hanno scaraventati nella stiva e hanno
sbarrato i portelloni su di noi. Eravamo l'ultimo carico,
stipati su uno strato di terriccio e letame insieme a
centinaia di uomini, donne e bambini, anche neonati. Erano
kurdi irakeni, afghani, pakistani. Nelle diverse lingue
parlavano tutti della guerra. C'erano solo tinozze d'acqua
fetida e forme di formaggio e pane che nessuno toccava, perché
erano ammucchiate accanto alle latrine. Si socializzava il
cibo che ciascuno aveva con sé, ma non durò a lungo. Alla fine
mangiammo quel pane e bevemmo quell'acqua, e l'ultimo giorno
non rimase nulla da mangiare. Stavamo ammucchiati come bestie
nel buio, senza un filo d'aria. Dopo due giorni Milli cominciò
a vomitare. Il suo corpo si gonfiava, sembrava incinta.
Abbiamo chiesto per pietà di aprire, ma si sono limitati a
gettarci qualche scatola di antibiotici. E'morta quella notte
stessa, e per due giorni abbiamo vegliato il suo cadavere.
Alle nostre urla rispondevano le risate dell'equipaggio turco.
Molti altri sarebbero morti, se i finanzieri italiani ci
avessero liberati solo qualche ora più tardi. E ora siamo
qui...