La galera al tempo del
terrore STATI UNITI Pestati, trasferiti di continuo,
privati della difesa: la vita di 700 "arabi" arrestati dopo
gli attentati MARCO D'ERAMO - INVIATO A SAN FRANCISCO
Tra bombe sull'Afghanistan e spore di antrace,
il mondo dimentica le 744 persone detenute nelle carceri
americane dopo l'11 settembre, anche se per costoro le
autorità sembrano aver gettato la chiave dopo aver chiuso la
cella. Alcuni sono rinchiusi in quanto testimoni, altri per
aver violato la legge sull'immigrazione, altri per imputazioni
locali. Sempre più numerose si levano le proteeste contro le
percosse, le angherie, la violazione di tutti i diritti
civili, e gli ostacoli frapposti agli avvocati
difensori. In Mississippi, riporta il Los Angeles
Times, uno studente pakistano di 20 anni è stato spogliato
e percosso nella sua cella dagli altri prigionieri che gli
hanno spaccato i denti, furiosi per gli attacchi alle Twin
Towers, mentre i secondini stavano a guardare senza poi
fornirgli assistenza medica. A New York, un numero imprecisato
di detenuti è rinchiuso nel Metropolitan Correctional Center a
Manhattan. Secondo gli avvocati, molti detenuti non hanno
contatti con le famiglie: soprattutto, non esistono verbali
dei reati di cui sono accusati. Sempre a New York, la procura
indaga sulle violenze subite da un detenuto egiziano di cui un
carceriere avrebbe abusato. Il consolato d'Israele ha
protestato perché cinque israeliani in prigione sono stati
bendati, ammanettati e costretti a sottoporsi alla macchina
della verità. In Wisconsin, Illinois e Indiana, i funzionari
dell'Immigration and Naturalization Service (Ins) di 26
carceri provinciali hanno bloccato visite degli avvocati e
telefonate dei detenuti: secondo l'Ins, i carcerieri avevano
"mal interpretato" le direttive. In Texas, a un saudita è
stato negato l'avvocato, gli hanno tolto materasso, coperta e
orologio impedirgli di dire le sue preghiere. In Florida un
pakistano, Obaid Usmani, è stato arrestato all'alba dall'Fbi e
interrogato sugli attacchi, perché il suo visto di studente
era scaduto. In tempi normali sarebbe stato rilasciato su
cauzione, invece è ancora rinchuso in cella con assassini e
stupratori. Il cugino di Osmani, Farhat Kahn, devoto
musulmano, per divieti religiosi non può mangiare quasi nulla
del cibo che gli viene dato in prigione e ha già perso dieci
chili, non può lavarsi e viene angariato quando prega. La
maggioranza è in prigione per violazione della lege
sull'immigrazione, per visto scaduto, per visto turistico
usato invece per lavorare, per documenti falsi. Sono
pochissimi i casi effettivamente connessi al terrorismo.
Perciò quasi tutti avrebbero dovuto essere già liberi su
cauzione o sulla parola. Invece, come scrive il Wall Street
Journa, "un alone di segreto avvolge queste detenzioni":
l'Fbi si rifiuta di comunicare persino il numero esatto dei
detenuti attuali. A protestare più forte sono gli avvocati.
Un panettiere siriano che vive a Jersey City è stato
imprigionato dal 15 settembre per essere rimasto negli Usa
dopo che il visto era scaduto da 19 giorni, un reato minore
per cui dovrebbe essere già stato rilasciato. "Sua moglie è al
nono mese - ha detto al LA Times il suo avvocato - e ha
una figlia di un anno che è nata qui (e quindi è cittadina
Usa), e lei non ha nessuno tranne lui, non sa nemmeno come
andare all'ospedale per partorire". Qui in California la
voce più ascoltata, e più richiesta dalle tv, è quella
dell'avvocato Randall Hamud, un ex consulente del gigante
petrolifero Atlantic Richfield che ha aperto un suo studio a
San Diego e ora difende dieci dei 700 prigionieri. Hamud è
nipote di immigrati libanesi, è musulmano, anche se parla solo
inglese e spagnolo e non conosce l'arabo: "Non penso che una
democrazia possa tollerare arresti di massa e processi a porte
chiuse. Il governo ha sguinzagliato i cani della repressione
contro arabi e chiunque sia di fede islamica", dice Hamu. E
in effetti i giudici continuano a negare la libertà
provvisoria, processano a porte chiuse, sigillano i documenti.
Le procure rifiutano di rendere pubblico ciò che succede in
tribunali e prigioni. Gli avvocati non sanno cosa accade ai
loro clienti, spesso non sanno neanche dove sono rinchiusi. I
funzionari federali dicono che stanno investigando sugli abusi
e ammettono che in alcuni casi sono stati "commessi errori".
Invece il ministro della giustizia John Ashcroft ha negato gli
abusi: "Rispetteremo la legge e i diritti costituzionali e
puniremo chiunque li violerà". A dimostrazione
dell'imparzialità federale, secondo Ashcroft sono state
avviate 170 indagini per "crimini dell'odio", cioè omicidi,
minacce di morte, incendi, distruzione di moschee. Ma un
avvocato del Kentucky, Dennis Clare, racconta la storia di 40
mauritani rifugiatisi negli Usa per sfuggire alla brutalità
della propria polizia e arrestati in blocco vicino a
Cincinnati il 25 settembre, per irregolarità nei visti, due
soli giorni dopo essere arrivati negli Usa. Le autorità erano
insospettite perché tra loro c'era un pilota d'aereo. Poi 37
sono stati liberati. L'avvocato Clare difende gli altri tre,
ma non ha ancora potuto incontrarli perché i detenuti - che
non parlano inglese - vengono spostati da prigione in
prigione, dall'Indiana, al Kentucky, al Tennessee, alla
Louisiana. Gli arresti indiscriminati hanno già provocato
un incidente diplomatico: fermati per schiamazzi nella notte
del 15 settembre all'aeroporto di Denver, Colorado, due
sauditi, Sani (28 anni) e Sattan (23 anni) Alshaalan sono
stati quindi trasferiti nelle prigioni dell'Ins per aver
violato i termini dei propri visti di studenti. Lì sono stati
interrogati dall'Fbi, finché sono intervenuti gli avvocati che
li hanno fatti liberare dopo ben 25 giorni, quando l'Fbi si è
accorto di aver arrestato due membri della famiglia reale
saudita. Certo è che dopo l'11 settembre gli Stati uniti si
stanno interrogando sulla propria politica migratoria. Per
decenni hanno spalancato le proprie frontiere e lasciato
entrare 30 milioni di immigrati (di cui 5 milioni
clandestini), allo specifico scopo di per tenere basso il
costo del lavoro e neutralizzare i sindacati. Ora questa
strategia è diventata un problema. Ma invertire rotta può a
medio termine aumentare il costo del lavoro, prospettiva
indesiderabile per il padronato. C'è poi uno specifico
risvolto mediorientale. Può darsi che l'ondata di ostilità
verso gli arabi non arrivi al livello di quella scatenatasi
contro gli immigrati giapponesi dopo Pearl Harbour, quando
furono internati 7.000 nipponici. Certo però che si sta
diffondendo se non un'aperta ostilità, almeno una generale
difidenza, un sospetto nei confronti di chiunque abbia
lineamenti mediorientali. E' vero quel che dice l'avvocato
Hamud - peraltro grande ammiratore del generale Patton e
adamantino fautore della guerra in Afghanistan: "Questo paese
non impara mai dalla propria storia. Quando noi discriminiamo
alcune precise minoranze, poi passiamo i cento anni successivi
a scusarci".
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