Il bilancio della
fame Presentato ieri il rapporto annuale della Fao
sull'insicurezza alimentare. Avverte che nel mondo ci sono 815
milioni di persone denutrite: 777 milioni sono nei paesi in
via di sviluppo. Dice poi che la diminuzione del numero degli
affamati rallenta. E che il problema è garantire un equo
accesso al cibo. MARINA FORTI
Se è vero che la povertà e le ineguaglianze
sono una delle cause profonde del senso di frustrazione che
alimenta estremismi e violenza, allora i grandi del pianeta
dovrebbero prestare una grande attenzione al rapporto diffuso
ieri dalla Fao, l'organizzazione delle Nazioni unite per
l'agricoltura. E' l'annuale Rapporto sulla sicurezza
alimentare, e avverte che il numero di persone affamate
nel mondo diminuisce sempre più lentamente. Il nuovo rapporto
della Fao arriva a meno di 3 settimane dal Vertice mondiale
sull'alimentazione che si terrà (si terra?) a Roma in 11
novembre, 5 anni dopo un analogo summit che si era concluso
con il solenne impegno dei governi del mondo a dimezzare il
numero di affamati nel mondo entro il 2015. Allora ci sembrava
un impegno scandalosamente modesto, ma la verità è che era
anche irrealistico: la Fao avverte che al ritmo attuale
serviranno 60 anni per raggiungere l'obiettivo. Le cifre
sono chiare: la Fao stima 815 milioni di persone siano
denutrite in tutto il mondo (nel periodo 1997-'99), di cui 777
milioni in paesi in via di sviluppo, 27 milioni nei paesi "in
transizione" (il blocco ex sovietico) e 11 milioni nei paesi
industrializzati. Rispetto al periodo 1090-'92 (preso a
riferimento durante il vertice Fao del 1996), gli affamati
diminuiscono in media di 6 milioni all'anno. Per rispettare
gli impegni presi 5 anni fa ci vorrebbe una riduzione di 22
milioni all'anno. Le cifre globali nascondono differenze
significative. La Fao analizza 99 paesi in via di sviluppo e
nota che solo 32 hanno diminuito il numero di persone
denutrite tra il '90-'92 e il '97-'99. In questi 32 paesi le
persone considerate denutrite sono 116 milioni di meno. Ma
negli altri il numero è rimasto stabile o addirittura
aumentato, nel complesso di 77 milioni. La riduzione netta è
di 39 milioni: poco, molto poco. Se poi andiamo a vedere quali
paesi hanno migliorato la situazione alimentare, e quali
l'hanno peggiorata, troviamo qualche sorpresa. Nella lista dei
32 troviamo paesi popolosi come Cina, Indonesia, Thailandia,
Nigeria o Brasile. In qualche caso ci si chiede se le
statistiche riflettano appieno gli ultimi dati: dopo il '97 ad
esempio in paesi colpiti dalla crisi finanziaria asiatica,
come l'Indonesia, la situazione alimentare è peggiorata e sono
aumentate le disegueglianze interne. Tra i paesi che
registrano una significativa riduzione del numero di affamati
troviamo poi il Sudan: ma, fa notare la Fao, il dato riflette
il cambiamento tra il '91 e il '98, dunque non registra ancora
l'impatto degli ultimi due anni di siccità. Ai due estremi la
Fao cita la Cina - che negli anni '90 ha avuto
un'impressionante crescita dell'economia agricola e ha ridotto
il numero dei suoi affamati di 76 milioni di persone - e la
Repubblica democratica del Congo, potenzialmente ricca ma con
17 milioni di affamati in più, su una popolazione totale di 48
milioni. Non si tratta però solo di contare quanti mangiano
a sufficenza (cioè la quantità di calorie quotidiane
considerata ottimale) e quanti no. Il punto è che la
fame è correlata non tanto alla disponibilità generale
di cibo ma alla possibilità di averlo. Nel mondo non c'è
penuria di cibo. La disponibilità globale teorica è sufficente
a sfamare tutti, e la Fao afferma che negli ultimi trent'anni
la produzione alimentare mondiale è cresciuta più della
popolazione (la disponibilità pro capite è passata da 2.410 a
2.800 kilocalorie pro capite al giorno nel mondo intero, e da
2.110 a 2.680 nei paesi in via di sviluppo). Aumentare la
produzione resta necessario, stima la Fao, di fronte a una
popolazione mondiale che continua a crescere, ma non è tutto.
Leggiamo: "In teoria un piccolo aumento nella produzione
sarebbe sufficente se la crescita fosse accompagnata da un più
equo accesso al cibo. Questo potrebbe essere ottenuto
attraverso la redistribuzione - del cibo stesso, dei mezzi per
produrlo o del potere d'acquisto necessario a comperarlo - a
coloro che si trovano negli scalini più bassi della scala
dell'accesso al cibo". Per garantire la "sicurezza
alimentare" dunque non basta lanciare aiuti, intervenire nelle
emergenze. La Fao elenca diversi tipi di "insidie" alla
sicurezza alimentare: disgrazie naturali (siccità, alluvioni,
cicloni, temperature estreme, terremoti) o umane (conflitti e
guerre). Si pensi che solo tra l'ottobre 1999 e il giugno 2001
ventidue paesi hanno sofferto grave siccità, 17 alluvioni e
uragani, 14 sono stati coinvolti in guerre o conflitti
interni, 2 sono stati colpiti da terremoti e 3 hanno avuto
inverni eccezionalmente freddi. L'elenco è impressionante: in
Etiopia e Kenya la siccità che avvolge da tre anni l'Africa
orientale ha portato alla morte per fame di umani e bestiame;
in Sierra Leone la guerra civile ha prodotto oltre 1,2 milioni
di sfollati interni da regioni rurali (dunque gente che non
può più coltivare). In Angola la guerra civile che dura da 25
anni ha costretto a sfollare 2,7 milioni di persone, per lo
più esposte a malnustrizione e malattie. In Congo un terzo
della popolazione (16 milioni) sono malnutriti a causa del
continuo sfollare interno dovuto al conflitto. In Asia
centrale la Fao segnala 4 milioni di persone dipendenti dagli
aiuti alimentari in tre paesi colpiti da siccità (Armenia,
Georgia e Tajikistan). La siccità ha decimato bestiame e
raccolti in sfghanistan, dove già prima dei bombardamenti le
agenzie Onu contavano 6 milioni di persone alla fame,
letteralmente. La siccità ha colpito persone e distrutto
raccolti dall'Iran al Pakistan meridionale all'India
occidentale. Allo stesso tempo dal Bengala occidentale al
Bangladesh fino alla penisola indocinese alluvioni e cicloni
hanno distrutto raccolti, infrastrutture, strade. In Mongolia
due inverni consecutivi di gelo hanno distrutto il 10% delle
mandrie, base dell'economia rurale e fonte quasi unica di
cibo. Ma per riparare non bastano gli interventi
d'emergenza: "servono strategie a lungo termine". Meccanismi
più equi di accesso al cibo e ai mezzi di produzione
garanbtiscono anche protezione migliore dagli incerti della
natura. Servono investimenti nelle economie rurali, accesso
alla terra, al credito, all'istruzione e alla salute, e poi
ricerca di varietà adattate ai
terreni...
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