Brescia contro la legge
sull'immigrazione In 10 mila scendono in piazza. Sale la protesta: il
testo del governo riduce il diritto al lavoro
CI. GU.
Una manifestazione partecipatissima quella di
ieri a Brescia, dove circa 10 mila persone hanno protestato
contro la legge sull'immigrazione, approvata giovedì dal
governo in via definitiva. Pakistani, bangladeshi, indiani,
srilankesi, senegalesi, nigeriani, persino i cinesi. Al fianco
dei lavoratori italiani, come quelli della Ocean, reduci dallo
sciopero di giovedì contro gli 870 licenziamenti. "No alla
legge Bossi-Fini, per i diritti di cittadinanza" diceva lo
striscione d'apertura, firmato dal Brescia social forum, dal
Coordinamento immigrati in lotta e dal Forum delle
associazioni dei migranti. Al centro della protesta i
cambiamenti stabiliti dal nuovo ddl, che irrigidissce la legge
Turco-Napolitano, introducendo norme dubbie sul piano
costituzionale. Forse il dibattito parlamentare riuscirà a
mitigare alcuni aspetti, visto che l'approvazione del testo ha
una storia travagliata: difficile è stata la gestazione
all'interno dello stesso Consiglio dei ministri e altrettanto
arduo è stato il passaggio nella Conferenza Stato-Regioni,
dove ben 11 Enti hanno votato contro, compresa la Calabria del
forzista Chiaravalloti. Di certo sarà faticoso intervenire
sulla novità per eccellenza del ddl governativo: il contratto
di lavoro. Il permesso di soggiornare in Italia sarà legato a
doppio filo con la situazione lavorativa. E anche in caso di
assunzione a tempo indeterminato il permesso (rinnovabile)
durerà solo due anni. Insomma, una sorta di ricatto nei
confronti del lavoratore immigrato. Non basta: prima di
assumere un immigrato, occorre accertare l'indisponibilità
degli italiani a quel lavoro. E' stata abrogata inoltre la
possibilità di trasferire nel paese di provenienza i
contributi previdenziali maturati in Italia tranne per gli
immigrati da paesi che hanno firmato convenzioni
bilaterali. Tempi duri anche per i cosiddetti vu
cumprà: che saranno addirittura espulsi se colti a
commerciare "merce contraffatta". Abolito l'istituto dello
sponsor, unica via legale per entrare in Italia in mancanza di
una promessa di lavoro. Ristretto il ricongiungimento
familiare: consentito ai figli minori e ai genitori, sempre
che non abbiano un altro figlio in grado di provvedere per
loro nel paese d'origine. Viene introdotto, inoltre, una
sorta di "reato di permenenza clandestina". Al secondo rientro
dopo l'espulsione scatta il carcere da 1 a 4 anni, pur
rimanendo - giuridicamente - l'ingresso irregolare un reato
amministrativo. La reclusione nei centri di permanenza
temporanea è stata innalzata a due mesi, rispetto ai 30 giorni
precedenti.
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