I radicali dell'Islamismo
I fratelli
musulmani nascono nel '28 in Egitto, e il movimento islamista
si fa più movimentista. I primi atti terroristi avvengono
durante la II guerra mondiale. Repressi duramente, riemergono.
E si rafforzano dopo la sconfitta nella guerra dei "Sei
giorni", nel '67. La questione nazionale palestinese ne è una
forte componente MASSIMO CAMPANINI
Radicalismo o fondamentalismo? Il primo
equivoco da risolvere è terminologico. Quando si definiscono i
gruppi musulmani radicali come fondamentalisti o integralisti,
si compie un indebito trasferimento nell'Islam di categorie
mutuate dal cristianesimo, soprattutto protestante. Certo, il
radicalismo islamico invoca un ritorno ai fondamenti della
religione, ovvero al Libro - il Corano - e alle tradizioni del
comportamento del Profeta Maometto - la sunna. Tuttavia, è
abbastanza improprio considerare i radicali come
fondamentalisti in quanto, come è stato da molti notato, anche
se teoricamente spesso contrari alla modernità, essi ne sono
figli e la loro prospettiva di riforma è rivolta al moderno.
Si consideri il problema dello stato: l'idea stessa della
fondazione dello stato islamico è un'innovazione rispetto alla
dottrina politica islamica classica, in cui pure il sistema
del califfato, soprattutto dei primi quattro "ben guidati"
successori di Maometto (e basti citare al proposito il grande
filosofo della politica Ibn Khaldun, morto nel 1406)
rappresentava l'ideale politico da realizzare sulla
terra. Di fatto, l'ideologia politica radicale si incentra
su un certo numero di idee forti che ne qualificano
peculiarmente la ideologia. La prima è che l'Islam è
"religione e stato", ossia che è possibile una identificazione
o almeno una stretta collaborazione tra politica e religione,
le cui dimensioni non sono separate ma interagenti. Molti
studiosi occidentali dell'Islam considerano questa espressione
infondata, in quanto lungo la millenaria storia delle società
islamiche, il potere politico avrebbe sempre, o per lo più,
prevaricato la religione; ma, e questo è quanto più importa,
non è condivisa nemmeno da tutti i musulmani, a partire dal
primo avvocato della separazione tra sfera religiosa e sfera
politica nell'Islam, il giurista egiziano Ali abd ar-Raziq
(1925). In ogni caso, la locuzione non significa
propriamente che l'Islam sia una teocrazia, in quanto
nell'Islam manca un clero e una istituzione centrale docente
come la Chiesa cattolica. Implica però che la sovranità
appartenga a Dio: il termine arabo è hakimiyyah, ed è
un termine centrale nel lessico politico radicale. Dio è il
sovrano legislatore e nessuna autorità umana può pretendere di
modificare le leggi di Dio né sostituirsi a lui in questa
attività essenziale per l'umana convivenza civile. Se la
società islamica e lo stato islamico sono istituzioni dove
vige la legge di Dio, è evidente che tutto il resto sia
oscurità e barbarie, ovvero "ignoranza" (jahiliyyah).
E' questa la situazione del mondo occidentale, ovviamente,
sordo alla verità, ma anche di gran parte del mondo musulmano
stesso in cui il secolarismo e l'edonismo hanno prevaricato
l'autentico messaggio etico dell'Islam provocando, nei fatti,
una rottura con la religione. Contro lo stato di ignoranza, di
inconsapevolezza e di apostasia è lecito il combattimento o
meglio lo "sforzo" sulla via di Dio (jihad): secondo
una celebre espressione del Profeta, prima con la mano, quindi
con la lingua e infine col cuore, a dimostrazione del fatto
che la testimonianza di fede non è esclusivamente, o almeno
non solo, violenta. Questi princìpi basilari dell'islamismo
radicale sono stati codificati dai due principali teorici del
movimento, il pakistano Abu'l-Ala al-Mawdudi e l'egiziano
Sayyid Qutb. In effetti, il Pakistan e l'Egitto hanno
rappresentato i due poli e le due fonti dell'islamismo
radicale. E' opportuno però sottolineare come, anche se le
dottrine di Mawdudi e Qutb sono state elaborate soprattutto
negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, tuttavia
l'islamismo radicale è emerso, nella sua variante estremista e
pronta al rovesciamento rivoluzionario della situazione
politica vigente, soltanto durante e dopo gli anni Settanta. A
buon diritto si può considerare - e il ragionamento è valido
soprattutto per il mondo arabo e il Vicino Oriente - come data
discriminante la guerra del Sei Giorni del 1967 e la
disastrosa disfatta dell'Egitto contro Israele. La sconfitta
del laicismo di Nasser, del socialismo e del panarabismo di
cui Nasser era il portavoce, hanno provocato una grave crisi
di identità ideologica nel mondo arabo. Da un lato, filosofi
marxisti come Jalal al-Azm hanno imputato all'Islam
l'arretratezza dei paesi arabi. Dall'altro, predicatori
islamisti come lo sceicco Kishk hanno visto nella crisi
dell'arabismo laico la rivi ncita di Dio. Comincia così
la parabola di radicalizzazione dell'Islamismo e il problema
palestinese ne costituisce una variabile non secondaria. Una
prima avvisaglia si era avuta peraltro già nel XVIII secolo e
poi agli inizi del XX, quando il movimento puritano e
rigorista dei Wahhabiti aveva prima aiutato il sorgere
dell'emirato saudita in Arabia e poi fornito il retroterra
ideologico alla monarchia di Abd al-Aziz Ibn Saud.
Nell'Ottocento, però, e nei primi decenni del Novecento, il
modernismo musulmano si era confrontato con l'Occidente
soprattutto sul piano della cultura. I salafisti, come
l'egiziano Muhammad Abduh o il siriano Rashid Rida o
l'algerino Ben Badis, erano convinti della sostanziale
razionalità del Corano e impegnati in un'opera di diffusione
dell'educazione e dei valori spirituali dell'Islam - e non
alieni da una prospettiva nazionalistica contro il
predominante imperialismo. Non si sottolineerà mai
abbastanza come la presenza coloniale nei paesi arabi, e
musulmani in genere, sia da considerarsi come una causa remota
decisiva del sorgere dell'islamismo, radicale e no. Molti
islamisti hanno giudicato (e tuttora taluni giudicano) gli
Occidentali come nuovi crociati, venuti a combattere l'Islam
nelle sue terre (e basti ricordare la reazione dell'opinione
pubblica araba alla presenza degli Americani in Arabia Saudita
durante e dopo la Guerra del Golfo). Del resto, la reazione
salafista, come poi la stessa reazione islamista radicale sono
innescate dal confronto non sempre pacifico, anzi il più delle
volte contraddittorio, della mentalità araba e musulmana con
la modernità, scientista e tecnologica, di cui l'Occidente è
il rappresentante per eccellenza. I salafisti hanno
rivendicato all'Islam la paternità del razionalismo, anche
scientifico; ma gli islamisti radicali hanno assunto
frequentemente un atteggiamento di rifiuto nei confronti della
modernità, anche se, come si è detto, qualche volta ne sono
stati araldi per quanto riguarda certe scelte politiche o
ideologiche. E' con la nascita in Egitto dei Fratelli
Musulmani (nel 1928) che il movimento islamista acquista una
caratteristica più movimentista, impegnandosi attivamente nel
sociale, lottando contro il colonialismo in nome del ritorno a
una visione politica e onnicomprensiva dell'Islam autentico.
La solidarietà sociale e l'educazione, come per la salafiyyah,
sono pilastri che ispirano l'azione dei Fratelli Musulmani,
che agli inizi è del tutto aliena da ogni manifestazione
violenta. Durante la seconda guerra mondiale o subito dopo, si
sviluppa però un apparato segreto dell'organizzazione che
presto sfugge al controllo del fondatore, Hasan al-Banna, e
che effettua isolati atti terroristici. I Fratelli Musulmani
sono poi spietatamente repressi sotto Nasser (Qutb venne
impiccato nel 1966), ma riemergono negli anni Settanta sotto
Sadat, che si appoggia su di loro per combattere la sinistra
interna. Dai Fratelli Musulmani sono germinate, si può dire,
quasi tutte le organizzazioni radicali del Vicino Oriente
arabo: quelle egiziane, ovviamente, come "al-Jihad",
responsabile dell'assassinio di Sadat nel 1981 o "Takfir wa
Hijrah" ("dichiarazione di miscredenza ed emigrazione", due
atti che avevano qualificato l'azione del Profeta Maometto
contro i pagani della Mecca). Tuttavia, in certo modo figli
dei Fratelli Musulmani sono anche i gruppi radicali tunisini
(come il Movimento della Tendenza Islamica di Rashid
Ghannushi) o algerini come il Fis (poi scavalcato, "a destra",
dall'ala militarista e terroristica del Gia, i "gruppi
islamici armati"). In Egitto o in altri paesi arabi, le
organizzazioni radicali sono sempre rimaste marginali rispetto
allo stato e sostanzialmente represse. Uno studio recente ha
evidenziato come nella maggior parte dei paesi arabi (Siria,
Egitto, Iraq, Libia, Tunisia), le organizzazioni radicali
siano andate incontro a una esclusione totale dal contatto col
potere, o almeno a una emarginazione che tende a
delegittimarle di fronte all'opinione pubblica. In Egitto, per
esempio, i Fratelli Musulmani sono ufficialmente fuorilegge,
anche se sono attualmente su posizioni moderate e favorevoli
alla dialettica parlamentare. In Pakistan, la "Jamaat-i
Islami", fondata da Mawdudi, è invece profondamente radicata
nella società ed è stata in taluni momenti integrata nelle
strutture istituzionali del paese, per esempio all'epoca della
dittatura del generale Zia ul-Haqq. E' in certo senso vero che
la rete di scuole e di istituzioni che fanno capo alla
"Jamaat-i Islami" ha favorito il sorgere del movimento dei
Talebani. Altri tre paesi in cui è in opera una integrazione
dell'Islam con le strutture politiche sono l'Arabia saudita,
ovviamente, ma anche l'Iran e il Sudan. L'esperienza
iraniana ha origini in parte diverse rispetto all'esperienza
dei gruppi radicali arabi. Anche qui, si può dire che Khomeini
abbia combattuto, con la rivoluzione contro lo scià, la
modernità e l'occidentalizzazione. Tuttavia, la dottrina
politica di Khomeini si incentra su un concetto del tutto
peculiare al mondo sciita, quello di "vicariato dei
giureconsulti". Secondo questa dottrina, che ha remote origini
nel pensiero politico sciita medievale, gli ulema, i
dottori della Legge, hanno il diritto di intervenire nella
legislazione in attesa del ritorno dell'imam nascosto, il
Mahdi atteso, una sorta di messia che tornerà alla fine dei
tempi a riportare la giustizia sulla terra. L'islamismo
radicale sunnita e l'islamismo sciita presentano dunque alcune
differenze di base, anche se in entrambi si può dire che operi
la prospettiva di una lettura eminentemente politica della
religione.
Docente all'università di Milano e autore
del volume "Islam e politica", edizione il Mulino
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