Senza
rifugio L'Italia espelle 113 profughi. Il Cir: violate le norme
sul diritto d'asilo TIZIANA BARRUCCI
Sei giorni di speranza, e poi il ritorno
forzato a casa, nella lontana città di Colombo, in un paese
dilaniato da anni di guerra civile. E' la storia di 113
cittadini dello Sri Lanka, tutti di etnia tamil, arrivati a
Portopalo, in provincia di Siracusa, lo scorso 28 settembre,
velocemente trasferiti dalla polizia nel centro di permanenza
temporanea Regina Pacis di Lecce. Ad aspettarli già il console
dello Sri Lanka. Accertata la loro provenienza, nel primo
pomeriggio di giovedì scorso i 113 sono stati scortati da più
di cinquanta agenti della polizia verso l'aeroporto di
Brindisi e da qui rispediti in patria, con molta probabilità
con un aereo militare. "Dai commissariati ci è stato negato
qualsiasi accesso a informazioni e allo stesso centro",
denuncia il Consiglio italiano per i rifugiati, che parla di
aperta violazione delle norme di diritto internazionale,
nazionale e in generale del principio fondamentale di non
respingimento. Velocità di trasferimenti, divieto di accesso
agli operatori - non solo Cir - ai centri d'accoglienza e
l'immediato contatto con il consele, fanno pensare, secondo i
funzionari del Consiglio per i rifugiati, che un'eventuale
volontà di richiedere protezione al governo italiano non
sarebbe potuta essere realizzata. Eppure è arcinoto che nello
Sri Lanka è in corso da anni una guerra. "Non siamo stati
avvisati degli eventi e solo tramite una nostra indagine siamo
riusciti ad avere notizie di quanto accaduto - spiegano gli
operatori Cir - queste persone non hanno avuto neanche la
possibilità di essere informate del loro diritto a chiedere
asilo". Attualmente ci sono più di 100 cittadini dello Sri
Lanka nel centro Regina Pacis di Lecce, in circostanze
identiche a quelle dei loro connazionali rimpatriati giovedì,
e il Cir ora teme che i commissariati e le questure riservino
lo stesso trattamento anche a loro. Per questo lo stesso
direttore del consiglio, Christopher Hein, ha scritto una
lettera al ministro degli Interni, ma non ha ricevuto ancora
nessuna risposta. Mentre la versione della questura di
Siracusa e dello stesso dipartimento di pubblica sicurezza
sono abbastanza vaghe e non riescono a giustificare una
situazione che non ha nulla di legale. "Durante gli
interrogatori fatti per conoscere le loro generalità nessuno
delle 113 persone ha chiesto l'asilo politico, mentre tutti
hanno dichiarato di essere nel nostro paese per cercare lavoro
- ha spiegato Corrado Basile dalla questura di Siracusa -
essendo clandestini, sono stati tutti rimpatriati". E perché
le organizzazioni umanitarie non hanno potuto incontrarli? "Di
queste cose non sono informato, non posso dirle nulla". Stessa
musica dal dipartimento di pubblica sicurezza presso il
Viminale per il quale i "clandestini non avrebbero presentato
nessuna domanda di asilo politico e per questo sarebbero stati
rimpatriati". E sulla questione della denuncia da parte delle
organizzazioni la confusione è ancora maggiore: "posso dire
che c'è stato un contatto e pare che si sia ragiunto un
accordo", spiega un funzionario, peccato che il contatto venga
smentito dalle organizzazioni interessate. Intanto, sul
pericolo di un utilizzo strumentale della guerra al terrorismo
come pretesto per non concedere asilo politico a chi ne ha
veramente diritto, si è espresso ieri lo stesso commissario
Acnur, Ruud Lubbers: "La convenzione, quando correttamente
applicata, non salva i criminali, non si devono isrtaurare
ingiustificati legami tra rifugiati e terrorismo, tra
rifugiati e crimine".
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