03 Ottobre 2001
 
 
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L'accumulazione dell'odio
I poveri del mondo non hanno nulla da perdere, questa è la loro unica ricchezza. Intervista all'economista Serge Latouche, esperto dei rapporti nord sud nel quadro della mondializzazione
ANNA MARIA MERLO - PARIGI

L' occidente è stato colpito al cuore con gli attentati dell'11 settembre, ma i tre quarti del mondo reagiscono con indifferenza, se non con soddisfazione. Non sono i "poveri" che hanno organizzato l'attentato di New York, ma non è questa crescente povertà che, in un certo senso, ha reso possibili gli avvenimenti, che fa da sfondo a tutto ciò che succede? Ne discutiamo con l'economista Serge Latouche, che nei suoi libri si è occupato dei rapporti nord-sud nell'ambito della mondializzazione dominata dall'occidente.
"Al momento degli attentati ero a casa e stavo prendendo un té con mia moglie e una studentesa del Benin, che sta facendo la tesi con me. Mia figlia è arrivata e ci ha informati di quello che stava succedendo. Sul momento, mi è sembrato impossibile. Poi abbiamo visto le immagini in tv. Mia moglie ha chiesto alla ragazza come vengono vissuti in Africa dei problemi del genere. E la ragazza ha risposto che gli africani sono completamente al di fuori da tutto ciò, che non ci sono quasi giornali e quei pochi sono scritti in lingue che solo una minoranza capisce. Le informazioni arrivano dalla radio, ma la maggioranza è tagliata fuori. Qui i media dicevano che tutto il mondo era sincronizzato sull'ora americana. Ma questo non è vero, almeno per l'Africa".L'occidente ha reagito in modo compatto, come se fosse preso d'assalto in quanto occidente?

Questo mi ha colpito in questa tragedia terribile. Immediatamente l'attentato è stato percepito come un atto contro l'occidente, più che contro gli Stati uniti. Immediatamente, tutti i paesi ricchi hanno fatto blocco dietro gli Stati uniti. Chirac ha detto: siamo tutti americani. Ma io non mi sento americano. Sarebbe stata un'occasione per l'Europa di segnare la propria differenza, visto che non è stata l'Europa ad essere attaccata e questo ha un significato. Quando ho scritto il libro sull'"occidentalizzazione del mondo" (L'occidentalisation du monde: essai sur la signification, la portée, et les limites de l'unification planétaire, La Découverte, 1989) molti mi avevano criticato. Eppure, la solidarietà di tutto l'occidente, che è subito scattata, prova che questa occidentalizzazione esiste. Il termine è stato utilizzato. Bisogna tener presente che il termine "occidente" ha un senso ben preciso per i non-occidentali. La Jihad è una guerra dichiarata contro l'occidente, contro ciò che significa l'occidentalizzazione del mondo. Di rimbalzo, anche noi ci riconosciamo, siamo uniti come occidente dallo sguardo dell'altro. Non ci siamo interrogati a fondo sul fatto che i terroristi sono giovani sovente con un'elevata istruzione. Abbiamo detto che è il fanatismo a spingerli. Ma come si spiega questo fanatismo? Con l'accumulazione dell'odio.

E' l'ultraliberismo che, facendo aumentare le differenze economiche e la povertà nel mondo, è all'origine di questo odio, che non sembra mai stato così forte come oggi?

C'è un'enorme ingiustizia fatta dall'occidente al resto del mondo, sia in politica che in economia. In politica è flagrante, a cominciare dalla situazione tra Israele e i palestinesi. La situazione palestinese non è la sola causa, ma si può dire che se ci fosse stata la pace in Medioriente questi attentati non avrebbero avuto luogo. C'è poi l'ingiustizia che riguarda l'Iraq, per esempio, dove 100mila morti iracheni sembrano alere lo stesso peso di un morto americano, dove tra 500mila e un milione di bambini sono vittime dell'embargo. Questo è sentito come un'ingiustizia, anche se non c'è nessuna ragione per avere simpatia per Saddam Hussein. Tutto ciò alimenta la frustrazione nel mondo arabo-musulmano. E dietro, c'è una più profonda ingiustizia economica. Nel sistema dei rapporti economici mondiali le ineguaglianze nord-sud hanno raggiunto proporzioni assolutamente insopportabili. L'ultimo rapporto del Pnud (Programma per lo sviluppo delle Nazioni unite) sottolinea che il patrimonio dei 15 uomini più ricchi al mondo è eguale al pil dell'Africa sub-sahariana, cioè di 700-800 milioni di persone. Gli scarti sono enormi, perpetrati e aggravati dalle leggi del mercato e dalla mondializzazione. Si può dire che gli attentati sono una risposta, certo perversa, a questa mondializzaazione ingiusta. E succede che un miliardario del sud, sempre che sia Bin Laden il responsabile, possa essere visto come un eroe da parte dei poveri, come uno che infligge una specie di punizione ai ricchi. Brutto sentimento, ma il fatto è che i paesi del sud vivono l'arroganza degli Stati uniti e dell'occidente come qualcosa di insopportabile. n altro grave problema è la cecità degli Stati uniti: a differenza degli europei, l'americano medio ignora il resto del mondo. Non vengono tradotti libri, non vengono mostrati film o programmi tv del resto del mondo, mentre loro invadono il mondo con i loro. Così non possono mai mettersi dal punto di vista dell'altro.

C'è chi sostiene che una delle conseguenze di questa crisi, potrebbe essere un ritorno del ruolo dello stato. Lei lo crede?

Quello che è certo è che non sembra esserci un orientamento verso una diminuzione delle frustrazioni e delle tensioni. E' vero che il sistema del capitalismo mondiale è in difficoltà. Non è la prima volta che succede. In questi casi, c'è la tendenza a rinunciare ad alcuni principi. Eravamo entrati in una fase di ultra-liberismo, di completa deregulation, su pressione statunitense. Ma ora alcuni settori dell'economia statunitense sono in gravi difficoltà. E qui vale la vecchia legge del capitale, in vigore anche quando predomina l'ideologia più liberista: privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Cioè, la liberalizzazione va bene per gli altri - gli Usa lo hanno già dimostrato con i negoziati al Gatt e al Wto - ma loro sono il paese maggiormente protezionista. Per questo ritengo che l'affermazione "ci sarà più stato", sia ambigua. Non va intesa certamente nel senso che lo stato tornerà ad essere più sociale e più umano. Del resto l'appello allo stato arriva ora, perché venga in aiuto alle imprese in difficoltà, ma non è stato lanciato prima, perché venisse in aiuto ai 20-30 milioni di persone che negli Usa vivono sotto la soglia della povertà. In altri termini: l'affermazione "più stato" non significa che non continuerà lo smantellamento delle protezione sociale, dei servizi pubblici, ma solo che verranno dati decine di miliardi all'aviazione, alle assicurazioni, ecc. I fondi pensione privati ne usciranno rafforzati. Nel ritorno dello stato di cui si parla attualmente non credo che si debba vedere qualcosa di positivo, che va controcorrente. Per gli economisti, è semplicemente la rinuncia al dogmatismo teorico, ma in nome della difesa degli interessi interni degli Stati uniti.

La volontà dichiarata di scovare i soldi del terrorismo, potrà essere il granello di sabbia nell'ingranaggio che frenerà in parte la finanziarizzazione dell'economia?

Gli Usa riconsiderano la loro posizione almeno su due punti: sui paradisi fiscali, perché uno dei mezzi per la lotta al terrorismo è bloccare le fonti finanziarie, cioè lottare contro determinati circuiti finanziari illegali. Qui, però, gli Usa sono vittime delle proprie contraddizioni. Succede la stessa cosa nella lotta alla droga, quando cercano di distruggere le fonti, mentre il mercato principale della droga sono gli Usa stessi. E' molto difficile distinguere tra un dollaro pulito e uno sporco. I paradisi fiscali sono strumenti importanti delle multinazionali. Viene gettato molto fumo negli occhi su questo fronte perché la volontà di controllare i flussi finanziari criminali finirà con lo scontrarsi con interessi molto grossi. Sono scettico sui risultati, perché mi sembra che non ci sia nessuna volontà di bloccare i paradisi fiscali in quanto tali, ma solo certi flussi finanziari illeciti, al momento per esempio quelli di Ben Laden.

Il mondo che conosciamo è finito, ne esce sconvolto dagli attentati?

viamo in un mondo dove il rischio è ormai generalizzato. Rischio tecnologico, per esempio, come è successo a Tolosa con l'esplosione della fabbrica petrol-chimica Azf (e secondo Greenpeace avrebbe potuto essere ancora molto peggio). Quello che è successo a New York mette in luce la fragilità dei sistemi di protezione iper-sofisticati di cui disponiamo, incapaci di impedire a un aereo di linea di schiantarsi contro un grattacielo, mentre gli Usa volevano il sistema anti-missili. Fragilità architettonica, anche. Fragilità, insomma della mega-macchina che abbiamo costruito. All'uomo contemporaneo, e la cosa non è mai stata così forte nella storia come ora, può succedere in ogni momento qualcosa di totalmente imprevisto. Il nostro sistema di vita può essere rimesso in questione da un secondo all'altro. Abbiamo, insomma, tutto da perdere. E questo fa la forza del sud, dei deboli: loro non hanno nulla da perdere.

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