L'accumulazione dell'odio
I poveri
del mondo non hanno nulla da perdere, questa è la loro unica
ricchezza. Intervista all'economista Serge Latouche, esperto
dei rapporti nord sud nel quadro della mondializzazione
ANNA
MARIA MERLO - PARIGI
L' occidente è stato colpito al cuore con gli
attentati dell'11 settembre, ma i tre quarti del mondo
reagiscono con indifferenza, se non con soddisfazione. Non
sono i "poveri" che hanno organizzato l'attentato di New York,
ma non è questa crescente povertà che, in un certo senso, ha
reso possibili gli avvenimenti, che fa da sfondo a tutto ciò
che succede? Ne discutiamo con l'economista Serge Latouche,
che nei suoi libri si è occupato dei rapporti nord-sud
nell'ambito della mondializzazione dominata
dall'occidente. "Al momento degli attentati ero a casa e
stavo prendendo un té con mia moglie e una studentesa del
Benin, che sta facendo la tesi con me. Mia figlia è arrivata e
ci ha informati di quello che stava succedendo. Sul momento,
mi è sembrato impossibile. Poi abbiamo visto le immagini in
tv. Mia moglie ha chiesto alla ragazza come vengono vissuti in
Africa dei problemi del genere. E la ragazza ha risposto che
gli africani sono completamente al di fuori da tutto ciò, che
non ci sono quasi giornali e quei pochi sono scritti in lingue
che solo una minoranza capisce. Le informazioni arrivano dalla
radio, ma la maggioranza è tagliata fuori. Qui i media
dicevano che tutto il mondo era sincronizzato sull'ora
americana. Ma questo non è vero, almeno per
l'Africa".L'occidente ha reagito in modo compatto, come
se fosse preso d'assalto in quanto occidente?
Questo mi ha colpito in questa tragedia terribile.
Immediatamente l'attentato è stato percepito come un atto
contro l'occidente, più che contro gli Stati uniti.
Immediatamente, tutti i paesi ricchi hanno fatto blocco dietro
gli Stati uniti. Chirac ha detto: siamo tutti americani. Ma io
non mi sento americano. Sarebbe stata un'occasione per
l'Europa di segnare la propria differenza, visto che non è
stata l'Europa ad essere attaccata e questo ha un significato.
Quando ho scritto il libro sull'"occidentalizzazione del
mondo" (L'occidentalisation du monde: essai sur la
signification, la portée, et les limites de l'unification
planétaire, La Découverte, 1989) molti mi avevano
criticato. Eppure, la solidarietà di tutto l'occidente, che è
subito scattata, prova che questa occidentalizzazione esiste.
Il termine è stato utilizzato. Bisogna tener presente che il
termine "occidente" ha un senso ben preciso per i
non-occidentali. La Jihad è una guerra dichiarata
contro l'occidente, contro ciò che significa
l'occidentalizzazione del mondo. Di rimbalzo, anche noi ci
riconosciamo, siamo uniti come occidente dallo sguardo
dell'altro. Non ci siamo interrogati a fondo sul fatto che i
terroristi sono giovani sovente con un'elevata istruzione.
Abbiamo detto che è il fanatismo a spingerli. Ma come si
spiega questo fanatismo? Con l'accumulazione dell'odio.
E' l'ultraliberismo che, facendo aumentare le differenze
economiche e la povertà nel mondo, è all'origine di questo
odio, che non sembra mai stato così forte come oggi?
C'è un'enorme ingiustizia fatta dall'occidente al resto del
mondo, sia in politica che in economia. In politica è
flagrante, a cominciare dalla situazione tra Israele e i
palestinesi. La situazione palestinese non è la sola causa, ma
si può dire che se ci fosse stata la pace in Medioriente
questi attentati non avrebbero avuto luogo. C'è poi
l'ingiustizia che riguarda l'Iraq, per esempio, dove 100mila
morti iracheni sembrano alere lo stesso peso di un morto
americano, dove tra 500mila e un milione di bambini sono
vittime dell'embargo. Questo è sentito come un'ingiustizia,
anche se non c'è nessuna ragione per avere simpatia per Saddam
Hussein. Tutto ciò alimenta la frustrazione nel mondo
arabo-musulmano. E dietro, c'è una più profonda ingiustizia
economica. Nel sistema dei rapporti economici mondiali le
ineguaglianze nord-sud hanno raggiunto proporzioni
assolutamente insopportabili. L'ultimo rapporto del Pnud
(Programma per lo sviluppo delle Nazioni unite) sottolinea che
il patrimonio dei 15 uomini più ricchi al mondo è eguale al
pil dell'Africa sub-sahariana, cioè di 700-800 milioni di
persone. Gli scarti sono enormi, perpetrati e aggravati dalle
leggi del mercato e dalla mondializzazione. Si può dire che
gli attentati sono una risposta, certo perversa, a questa
mondializzaazione ingiusta. E succede che un miliardario del
sud, sempre che sia Bin Laden il responsabile, possa essere
visto come un eroe da parte dei poveri, come uno che infligge
una specie di punizione ai ricchi. Brutto sentimento, ma il
fatto è che i paesi del sud vivono l'arroganza degli Stati
uniti e dell'occidente come qualcosa di insopportabile. n
altro grave problema è la cecità degli Stati uniti: a
differenza degli europei, l'americano medio ignora il resto
del mondo. Non vengono tradotti libri, non vengono mostrati
film o programmi tv del resto del mondo, mentre loro invadono
il mondo con i loro. Così non possono mai mettersi dal punto
di vista dell'altro.
C'è chi sostiene che una delle conseguenze di questa crisi,
potrebbe essere un ritorno del ruolo dello stato. Lei lo
crede?
Quello che è certo è che non sembra esserci un orientamento
verso una diminuzione delle frustrazioni e delle tensioni. E'
vero che il sistema del capitalismo mondiale è in difficoltà.
Non è la prima volta che succede. In questi casi, c'è la
tendenza a rinunciare ad alcuni principi. Eravamo entrati in
una fase di ultra-liberismo, di completa deregulation,
su pressione statunitense. Ma ora alcuni settori dell'economia
statunitense sono in gravi difficoltà. E qui vale la vecchia
legge del capitale, in vigore anche quando predomina
l'ideologia più liberista: privatizzare i profitti e
socializzare le perdite. Cioè, la liberalizzazione va bene per
gli altri - gli Usa lo hanno già dimostrato con i negoziati al
Gatt e al Wto - ma loro sono il paese maggiormente
protezionista. Per questo ritengo che l'affermazione "ci sarà
più stato", sia ambigua. Non va intesa certamente nel senso
che lo stato tornerà ad essere più sociale e più umano. Del
resto l'appello allo stato arriva ora, perché venga in aiuto
alle imprese in difficoltà, ma non è stato lanciato prima,
perché venisse in aiuto ai 20-30 milioni di persone che negli
Usa vivono sotto la soglia della povertà. In altri termini:
l'affermazione "più stato" non significa che non continuerà lo
smantellamento delle protezione sociale, dei servizi pubblici,
ma solo che verranno dati decine di miliardi all'aviazione,
alle assicurazioni, ecc. I fondi pensione privati ne usciranno
rafforzati. Nel ritorno dello stato di cui si parla
attualmente non credo che si debba vedere qualcosa di
positivo, che va controcorrente. Per gli economisti, è
semplicemente la rinuncia al dogmatismo teorico, ma in nome
della difesa degli interessi interni degli Stati uniti.
La volontà dichiarata di scovare i soldi del terrorismo,
potrà essere il granello di sabbia nell'ingranaggio che
frenerà in parte la finanziarizzazione dell'economia?
Gli Usa riconsiderano la loro posizione almeno su due
punti: sui paradisi fiscali, perché uno dei mezzi per la lotta
al terrorismo è bloccare le fonti finanziarie, cioè lottare
contro determinati circuiti finanziari illegali. Qui, però,
gli Usa sono vittime delle proprie contraddizioni. Succede la
stessa cosa nella lotta alla droga, quando cercano di
distruggere le fonti, mentre il mercato principale della droga
sono gli Usa stessi. E' molto difficile distinguere tra un
dollaro pulito e uno sporco. I paradisi fiscali sono strumenti
importanti delle multinazionali. Viene gettato molto fumo
negli occhi su questo fronte perché la volontà di controllare
i flussi finanziari criminali finirà con lo scontrarsi con
interessi molto grossi. Sono scettico sui risultati, perché mi
sembra che non ci sia nessuna volontà di bloccare i paradisi
fiscali in quanto tali, ma solo certi flussi finanziari
illeciti, al momento per esempio quelli di Ben Laden.
Il mondo che conosciamo è finito, ne esce sconvolto dagli
attentati?
viamo in un mondo dove il rischio è ormai generalizzato.
Rischio tecnologico, per esempio, come è successo a Tolosa con
l'esplosione della fabbrica petrol-chimica Azf (e secondo
Greenpeace avrebbe potuto essere ancora molto peggio). Quello
che è successo a New York mette in luce la fragilità dei
sistemi di protezione iper-sofisticati di cui disponiamo,
incapaci di impedire a un aereo di linea di schiantarsi contro
un grattacielo, mentre gli Usa volevano il sistema
anti-missili. Fragilità architettonica, anche. Fragilità,
insomma della mega-macchina che abbiamo costruito. All'uomo
contemporaneo, e la cosa non è mai stata così forte nella
storia come ora, può succedere in ogni momento qualcosa di
totalmente imprevisto. Il nostro sistema di vita può essere
rimesso in questione da un secondo all'altro. Abbiamo,
insomma, tutto da perdere. E questo fa la forza del sud, dei
deboli: loro non hanno nulla da perdere.
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