IMMIGRAZIONE Un bel passo indietro nella continuità
La riforma
della legge 40 non è né civile né efficace, ma si inserisce
nel solco tracciato dal precedente governo. Ecco perché non
c'è nessuna rivolta da parte dei cattolici, come lamenta l'ex
ministro Livia Turco. Detto questo, le ulteriori chiusure
dell'attuale maggioranza, al di là dei suoi propositi,
determineranno più immigrazione clandestina
SERGIO
BRIGUGLIO
Il governo Berlusconi ha presentato la sua
proposta di revisione della normativa sull'immigrazione. Livia
Turco si chiede - piuttosto alterata - perché mai le
associazioni cattoliche non insorgano. Vengo in suo soccorso
con due ipotesi. La prima è che questi giorni siano stati
segnati da cose più gravi a cui pensare. La seconda è che
quelle associazioni si siano addestrate alla pazienza per
cinque lunghi anni, e che non vedano motivi sostanziali per
maledire un disegno di legge che, in fondo, si limita ad
aggravare un po' l'eredità già pesantissima in fatto di legge
e di prassi lasciata dalla Turco e dai suoi colleghi. Intendo
dire, con questo, che la riforma proposta da Berlusconi appaia
civile ed efficace? Assolutamente no. Dico solo che non sarà
il passaggio da pane ammuffito a gallette ammuffite a fare
ammutinare la truppa. Che cosa non funziona oggi
nell'immigrazione? La faccenda è molto semplice, ma pare che
un requisito per fare i politici, da noi, sia il non capirla.
L'immigrazione è oggi essenzialmente un'immigrazione per
lavoro; e per lavoro a bassa qualificazione. Di lavoratori di
questo genere il nostro mercato ha un bisogno estremo. Ma, per
assumerli, i nostri datori di lavoro vogliono vederli prima in
faccia. Non è un capriccio; si tratta solo del fatto che un
conto è assumere un ingegnere informatico un curriculum su
Internet va benissimo altro conto è una colf: il curriculum
non serve a niente; serve la fiducia. E la fiducia si
stabilisce quando le parti si guardano in faccia. Perché
possano farlo, o mandiamo i datori di lavoro in gita a
Capoverde, o lasciamo che le capoverdiane entrino in Italia
prima di avere un contratto di lavoro. Quest'ultima è
palesemente la soluzione più semplice, benché la tendenza dei
governanti europei sia quella di strapparsi le vesti di fronte
a questa prospettiva. In Italia, fino al 1999 ci si è attenuti
rigorosamente alla tendenza strappa-vesti, consentendo
formalmente l'ingresso ai soli lavoratori preventivamente
assunti da un datore di lavoro. La legge Turco-Napolitano
lascia spazio a possibilità di ingresso diverse: la più nota
di queste è prevista dall'articolo 23, che consente, in
particolare, al lavoratore cui uno sponsor garantisca un anno
di mantenimento di entrare in Italia a cercare lavoro sul
posto. Questo meccanismo di ingresso per ricerca di lavoro
ha avuto, tra gli immigrati, ma anche tra i cittadini
italiani, un successo enorme: le domande di sponsorizzazione
presentate in favore di lavoratori stranieri sono state
numerosissime, a dispetto dei molti ostacoli burocratici
imposti dalla normativa. Se ne può concludere che la legge
Turco-Napolitano e i governi di centrosinistra hanno superato
la vecchia chiusura sugli ingressi per lavoro? Neanche per
idea: un conto è la legge, un conto è la sua
applicazione. Per il 2001 il governo Amato ha fissato un
tetto massimo di sole quindicimila sponsorizzazioni. Sono
andate esaurite in poche ore, a fronte dei due mesi previsti
dal Legislatore per la presentazione delle domande. Decine
di migliaia di domande hanno ricevuto un diniego grazie alla
miopia di quel governo. La stessa affermazione della Turco
d'altra parte - secondo la quale Caritas e Migrantes
l'avrebbero pregata in ginocchio, a suo tempo, di inserire
nella legge l'istituto dello sponsor - la dice lunga su quanto
piacesse ai nostri governanti questa modalità di
ingresso. Il governo Berlusconi, ora, propone di
cancellarla del tutto, limitando al caso di preventiva
assunzione la possibilità di ingresso legale di lavoratori
stranieri. E' una sciocchezza, evidentemente: una sciocchezza
nel solco della gestione precedente. Indurrà un numero più
alto di lavoratori stranieri a percorrere vie di migrazione
illegale. Ciascuno di loro osserverà infatti come, piuttosto
che aspettare nel proprio paese una chiamata che non arriverà
mai, convenga tentare la sorte, nella speranza di incontrare
la fiducia di un datore di lavoro e di guadagnare, a valle
della stipula di un contratto e di un temporaneo ritorno in
patria, un reingresso legale in Italia. La destra può
obiettare: no, questo escamotage sarà stroncato
dall'inasprimento delle sanzioni contro l'immigrazione
clandestina. Può darsi ribatto io, ma questo equivale a dire
che di immigrati per lavoro non ne entrerà più neanche uno
(ingegneri informatici esclusi): non diciamo allora perché
tutti i politici lo dicono fino alla nausea che l'Italia è ben
disposta verso chi viene qui per lavorare. Altro che Caritas e
Migrantes: dovrebbero protestare Confindustria, Confcommercio
e Coldiretti! C'è qualche speranza che l'approvazione di
questo disegno di legge non si traduca in una banale
accentuazione degli errori fatti dal precedente governo? Ce
n'è una: la maggioranza che sostiene il governo non è affatto
unita sul tema. La stessa assenza di macroscopiche chiusure
rispetto alla legge attualmente in vigore è frutto di un
dibattito acceso tra le diverse anime della coalizione di
governo: quella moderata liberale o leghista (ex Dc, Forza
Italia, Maroni) e quella fascista onesta (Tremaglia) da una
parte; quella con la schiuma alla bocca (Bossi) o con i denti
aguzzi (Fini) dall'altra. La speranza è che la prima anima
abbia un sussulto; che ritrovi l'orgoglio di un patrimonio di
ideali che non coincidono ovviamente con gli ideali della
sinistra, ma ideali sono, e degni di considerazione. E che
imponga all'anima tetra e inutile un semplice emendamento al
disegno di legge: possano accedere, di norma, a un permesso di
soggiorno per lavoro anche quanti si trovino legalmente in
Italia ad altro titolo, turismo incluso. Che significa?
Significa consentire a chi voglia migrare per lavoro in Italia
di venire, alla luce del sole, ad esplorare il nostro mercato
con le proprie forze o con le forze di parenti o amici - da
"turista", appunto - senza che il nostro sistema sociale se ne
debba fare carico; senza che lo si debba annoverare tra i
disoccupati per cui angosciarsi. Quando trovi sul posto,
entro i termini del soggiorno legale, una possibilità di
occupazione non saturata dall'offerta di lavoro già presente
gli si consenta di trasformarsi senza dover tornare prima in
patria e senza vincoli di inutili quote in un migrante per
lavoro. Questa soluzione - per inciso - è caldeggiata da tempo
dalle associazioni che si occupano di immigrazione; ma è anche
contemplata dalla direttiva da poco proposta dalla Commissione
europea. La stessa soluzione era stata approvata dalla Camera,
alla fine della scorsa legislatura, con il voto del
centrosinistra e il parere favorevole di Forza Italia. Dal
1986 ad oggi abbiamo regolarizzato, con sanatorie, quasi
novecentomila immigrati. Nessuno di loro sarebbe venuto
clandestinamente se avesse potuto usare un dispositivo come
quello che suggerisco: venire in Italia con gli scafisti costa
molto di più che venirci da turisti. I politici di tutte le
parti sembrano avere come massimo obiettivo quello di
coniugare solidarietà e rigore. Propongo qualcosa di più:
coniughino solidarietà e intelligenza. Lasciando il rigore a
Bossi, a Fini, alla Turco e a Napolitano.
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