L'Australia condannata in casa
Per il governo australiano è una
severa batosta: "Impedire lo sbarco dei 433 afghani è stata
un'azione illegale", ha sentenziato la corte federale di
Canberra accogliendo il ricorso di un'associazione umanitaria.
Ma le autorità di Sidney non ci sentono. Respingono il
verdetto dei giudici e intimano alla nave di proseguire il
viaggio verso la Nuova Zelanda SIMONA MANNA
Il governo australiano è stato riconosciuto
colpevole dalla Corte federale. Secondo il giudice Tony North,
Canberra "ha agito illegalmente" quando ha vietato alla
Tampa, la nave norvegese che ha soccorso i 433 profughi
afghani il 26 agosto scorso, di far sbarcare i rifugiati
sull'isola di Christmas, e "ha agito "illegalmente quando",
inviando le teste di cuoio sul mercantile, ha di fatto "posto
boat people in stato di detenzione". E' un duro
colpo per il primo ministro australiano John Howard che,
sottraendosi ai doveri umanitari sanciti da una convenzione
dell'Onu nei confronti dei profughi, aveva cominciato, proprio
dopo il rifiuto degli immigrati, una feroce campagna
anti-immigrazione. Ora è costretto a pagare la "pena del
contrappasso", perché il magistrato della corte federale ha
deciso ieri mattina che i 433 profughi afgani devono fare
rientro in Australia. Una penale che il governo di Canberra
non sembra però voler pagare. Nonostante il tribunale federale
abbia stabilito venerdì prossimo come tempo massimo per
effettuare l'operazione di rientro dei profughi in Australia,
l'esecutivo di John Howard ha già annunciato che presenterà
ricorso in appello, fatto che contribuirà a congelare
ulteriormente l'iter giudiziario, al quale il destino dei
profughi è appeso. A difendere la legittimità dell'operato
australiano è stato soprattutto il ministro della Difesa Peter
Reith che, respingendo il verdetto della corte, ha affermato
che "è il governo a dover decidere se far entrare o no in
territorio australiano persone che non ne hanno il diritto". E
non solo l'Australia ricorre in appello, ma dà ordini alla sua
nave militare, la Manoora, di proseguire verso la Nuova
Guinea. "Procederemo come previsto - ha affermato il ministro
dell'immigrazione Philip Ruddock - gli ordini che abbiamo dato
fin dall'inizio prevedevano la possibilità di un
ricorso". Così in balia di onde e di un governo che non si
arrende neanche all'evidenza di una sentenza della Corte
federale, i profughi continuano a vivere l'odissea, nella più
totale ignoranza di quanto ancora sia incerto il loro destino.
Loro sono ancora convinti che arriveranno a Port Moresby, e da
lì prenderanno una delle due strade, o la Nuova Zelanda o
Nauru, la più piccola isola stato della Micronesia.
Probabilmente non sanno neanche che "sono stati venduti"
dall'Australia a Nauru, che riceverà 24 miliardi di aiuti in
cambio dell'accoglienza dei profughi. Il presidente dello
Stato di Nauru ha ricevuto subito dopo la sentenza della corte
la telefonata del ministro degli esteri australiano Alexander
Downer, che ha chiesto di andare avanti con i piani "fino a
ordine contrario". L'Australia, dunque, non si arrende. Non
le è bastato l'ordine del tribunale, che ha emesso questa
condanna dopo aver accolto l'istanza presentata dai gruppi per
la tutela dei diritti umani. Il premier John Howard continua a
tenere illegalmente prigionieri i profughi. Questa "detenzione
illecita" degli immigrati da parte del governo australiano è
cominciata quando le teste di cuoio sono state mandate a bordo
della Tampa per controllare i boat people, che
minacciavano di buttarsi in acqua se il cargo norvegese avesse
abbandonato le acque australiane. E ora i profughi vengono
trasportati illecitamente verso la Nuova Guinea, rischiando
però di rimanere al largo chissà quanto giorni se la Corte
fermerà l'operazione in attesa di un verdetto
finale. L'Australia sta pagando cara la sua manovra
diplomatica. Gli ultimi provvedimenti contro gli immigrati,
molto più duri rispetto a una politica che ha sempre
combattuto la migrazione clandestina ma mai aveva negato
diritto d'asilo come è successo coi 433 profughi afghani, sono
frutto di espedienti da campagna elettorale (le prossime
elezioni in Australia saranno a dicembre). I cittadini
australiani, infatti, esigono leggi intransigenti che riducano
le ondate migratorie che ogni anno invadono il paese. Anche se
poi lo Stato è costretto a sborsare miliardi, a mobilitare la
marina militare e le teste di cuoio, a esigere che altri
quattro paesi si prendano gli oneri della vicenda, ad andare
contro le proprie leggi.
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