DA NORDEST Crimini oltre il giardino
GIANFRANCO BETTIN
Ilvo Diamanti, che conosce a fondo il Nordest
e sa di cosa parla, ha scritto sul Gazzettino di
domenica uno dei pochissimi articoli utili e sinceri su questa
faccenda dei furti nelle ville. La cosa va segnalata, perché
bisognerebbe vivere da queste parti per avere un quadro
completo della paranoia, delle sciocchezze e delle vere e
proprie infamie che intorno a questa storia si vanno
inanellando. La peggiore è quella che ha visto Bossi collegare
strettamente i furti nelle ville con la necessità di una nuova
legge sull'immigrazione, alla quale sta egli stesso
provvedendo. Diamanti, come ogni persona dotata di buon
senso, non nega affatto che vi siano bande straniere o, più
spesso, bande miste di stranieri e di italiani dedite a questo
e ad altri crimini. E neppure si può negare il carattere
particolarmente odioso e, per così dire, emotivamente più
incisivo, dell'irruzione dentro casa. In un territorio che
della casa di proprietà, la casa unifamiliare, la "villetta"
che si alterna al campanile e al capannone, ha fatto più che
un obiettivo uno stile di vita, un attacco notturno a
domicilio significa qualcosa come un attacco al cuore, un
rischio che penetra il luogo più caro, laddove casa e
proprietà fanno tutt'uno con famiglia e sicurezza. Ciò che
Diamanti mette in evidenza - sulla scorta di analisi e di
riflessioni consolidate e approfondite - è il nesso tra il
modello di sviluppo che ha distinto il Nordest negli ultimi
quindici o vent'anni e alcuni fenomeni degenerativi, tra i
quali questa fattispecie criminale. E' un discorso che anche
su queste pagine è stato svolto spesso, a commento di molti
episodi locali. Diamanti sottolinea, a partire dal fatto più
eclatante di questi giorni, l'impatto sconvolgente che questo
modello ha avuto sullo stesso paesaggio fisico e antropologico
della regione. Nelle case, oggi, c'è molta ricchezza. Per
questo diventano un bersaglio, come le banche. Nella vasta
provincia urbanizzata, le case più ricche hanno ancora il
privilegio di uno spazio libero, di un po' di paesaggio
residuo attorno a sè. Di questo spazio, nelle notti degli
assalti, si fanno schermo gli incursori-rapinatori. Contro di
essi si potrà e si dovrà affinare ogni strumento di
repressione e di intelligence. I telegiornali e gli altri
organi di informazione si affrettano a riferire, in questi
giorni, dei rinforzi che il governo sta inviando nella regione
(qualche volante, qualche equipaggio in più, qualche nuova
stazione dei carabinieri aperta). Ma ogni sforzo poliziesco
resterà vano se non si coglierà il nesso strutturale tra
ridondanza del modello economico e sociale e le degenerazioni
che produce, compresa quella criminale. E se non si non si
comincerà a ragionare di regole e vincoli, di un nuovo ordine
da organizzare a partire dalla tutela dei residui equilibri
ambientali e sociali e dall'integrazione delle nuove
componenti strutturali della realtà locale, a cominciare
appunto dall'immigrazione. Altro che cogliere l'occasione del
nuovo allarme sociale per continuare a ghettizzare e a
deprivare di diritti e di cittadinanza gli immigrati (che la
realtà del Nordest continua a pretendere in numero sempre
maggiore, beccandosi infatti le reprimende di Bossi, come
accaduto in questi giorni, con la polemica tra industriali
veneti e il ministro della "devolution" che li accusa di
volere troppi immigrati). Anche se adesso si fanno sentire,
insistenti, le sirene che cantano la solita solfa di ricette
sbrigative - "legge e ordine", e nuovi ghetti - non ci sarà
pace, nelle villette, senza un generale recupero di
intelligenza, equilibrio, giustizia, dopo gli anni della
smodatezza, della crescita cieca e
sregolata.
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