"La storia infinita della
schiavitù" INTERVISTA A KI-ZERBO "Crimine contro l'umanità"
MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN
Joseph Ki-Zerbo, un anziano signore dal
portamento regale nel lungo abito bianco ricamato, è il decano
degli storici africani. La sua Storia dell'Africa nera
(1972, in Italia da Einaudi 1977) ha segnato una svolta nella
storiografia del continente africano: una sorta di "riscatto"
dell'Africa cancellata o immiserita da secoli di quella
rappresentazione coloniale che faceva cominciare la civiltà
con l'arrivo degli europei. Nato a Toma nell'Alto Volta (oggi
Burkina Faso) da una famiglia di contadini, ha compiuto i suoi
primi studi in scuole missionarie e ha dovuto fare vari
mestieri prima di poter arrivare a Parigi e seguirvi regolari
studi superiori. Dopo il diploma all'Institut d'Etudes
Politiques nel 1954, e due anni di post-laurea in storia alla
Sorbona, si è dedicato al suo paese, di cui è stato deputato
all'Assemblea nazionale. Di recente ha collaborato alla
General History of Africa pubblicata dall'Unesco,
l'organizzazione Onu per la cultura. Era a Durban nei giorni
scorsi per partecipare al seminario promosso appunto
dall'Unesco su "La via degli schiavi", la tratta degli schiavi
neri dall'Africa alle Americhe: una catastrofe, dice, che ha
cambiato la demografia del continente africano e il suo
futuro.
Cos'è che rende la tratta degli africani attraverso
l'Atlantico un evento così unico nella storia umana?
Vede, la schiavitù è esistita in molte regioni, è
stata una fase importante dello sviluppo di quasi tutte le
civiltà umane. Ma credo che i popoli neri abbiano subìto
un'esperienza della schiavitù unica nel suo genere per la
durata, per le dimensioni e per l'orrore. Sono queste le
caratteristiche uniche dell'esperienza africana. Per quattro
secoli e mezzo, dalla metà del XV alla fine del XIX, sono
venuti a cercare schiavi neri in Africa per trasportarli in
altri continenti, con una progressione costante negli
effettivi fino al 1830. Poi nel 1848 l'abolizionismo ha
cominciato a produrre degli effetti - anche se non ha ancora
fermato la tratta, anzi si è creata una situazione ancora più
terribile perché gli europei venivano a fare guerre con armi
ormai più sofisticate, conoscevano meglio i villaggi, era una
caccia all'uomo mirata. E poi, le dimensioni: ci sono stime
diverse sul numero degli schiavi presi, ma considerate che il
Portogallo del sedicesimo secolo aveva appena un milione e
mezzo di abitanti. L'Africa nera era un vivaio: i demografi
stimano che avesse allora 100 milioni di abitanti. Gli europei
conservarono gelosamente le loro tecnologie di navigazione o
la polvere da sparo, benché i re africani chiedessero maestri
esperti alle loro corti, per istruite tecnici africani.
Invece, usarono l'Africa come una riserva di manodopera...
Faccio notare che l'Africa e l'Europa allora erano comparabili
quanto a organizzazione sociale e politica, e anche economica.
Ma le sue forze migliori furono prelevate sistematicamente. Su
oltre 4 secoli sono stati presi tra 30 e 100 milioni di
abitanti: i più forti, robusti, giovani, l'avvenire
dell'Africa. Le incursioni dei negrieri erano come attacchi
chirurgici, ben diretti a prelevare gli uomini e donne che gli
servivano. Infine, l'orrore: l'essere umano in Africa è stato
considerato al pari del bestiame, selvaggi da ridurre a
obbedienza e addomesticare. Presi a forza, obbligati a
lavorare, sottomessi a un regime peggiore di quello riservato
alle bestie. Mai la schiavitù era stata marcata da un tale
disprezzo umano. Allo schiavo che non obbediva si poteva
tagliare le orecchie, la lingia, le mani. Uomini e donne neri
erano chiusi insieme perché producessero figli, come si fa con
i cavalli. Inaudito! Non gli era riconosciuta nemmeno la
qualità umana: il nero africano era una merce. Pensi che
quando si faceva l'inventario dei beni di una proprietà in
vendita si elencavano i neri come beni mobili: una
casa, tanti carri, tanti negri... Giunsero a creare una moneta
as tratta per stimare gli africani, un'unità di conto
chiamata pièce d'Inde. Corrispondeva a un negro
perfetto: giovane, in piena forza. C'erano frazioni e
multipli: una donna con un bambino facevano una pièce
d'Inde, due donne una pièce e mezza. Per tutto questo, non
vedo un altro popolo nella storia che abbia sofferto di u
traffico del genere così a lungo, e in dimensioni comparabili
al popolo nero.
Gli europei inoltre si davano giustificazioni di ordine
legale, morale...
Sì, ma il complesso di superiorità è venuto dopo. E'
stata la stessa tratta degli schiavi a sviluppare il razzismo.
Si metta al posto dei portoghesi, quel milione e mezzo di
abitanti -i grandi regni africani dell'epoca erano molto più
popolosi di quello di Lisbona. Abbiamo le testimonianze dei
viaggiatori arabi, venuti in Africa per primi seguiti poi
dagli europei. Descrivevano una demografia abbondante,
villaggi molto fitti, il benessere, l'avanzamento delle
scienze come la pedagogia: sappiamo ad esempio che nel XIV
secolo la città di Timbuctu aveva un tasso di alfabetizzazione
più alto che nelle metropoli europee. Era in arabo, ma tutti i
figli dei liberi erano scolarizzati. Ibn Battuta, il grande
viaggiatore arabo che percorse sia l'Africa che l'Europa e
l'oceano Indiano, dice che il Mali all'epoca era governato
nella pace e della sicurezza, al contrario dell'Europa nello
stesso periodo. L'imperatore del Mali nel quattordicesimo
secolo fece il pellegrinaggio alla Mecca portando con sé
tonnellate d'oro: tanto che nel mediterraneo il corso dell'oro
si abbassò. Il regno del Mali era segnato nelle carte del
tempo, disegnate in Europa, perché la sua reputazione era
grande. Ibn Battuta scrisse un capitolo su "quel che c'è di
buono e di cattivo presso i neri": non approva che le donne
vadano a torso nudo, ma riconosce che la giustizia è molto
rigorosa... Quando i primi portoghesi arrivarono nel regno del
Congo si prostrarono e baciarono la mano del re come avrebbero
fatto a Lisbona. No, il complesso di superiorità è cominciato
più tardi. Con lo schiavismo si è costruito poco a poco il
disprezzo, fino al diciannovesimo secolo quando il razzismo è
diventato per così dire 'scientifico': quando si cominciò a
dire che la scatola cranica degli africani era più piccola,
che non erano capaci di capire certe cose. E' stata costruita
un'ideologia che giustificava la pratica della schiavitù.
In questa conferenza si discute di "riparazioni". Si può, e
come, riparare a una colpa come la tratta degli schiavi?
Ma è già stato fatto in altri casi, ad esempio i
tedeschi l'hanno fatto per gli ebrei. E' un problema di
diritto e di etica. Il silenzio sulla tratta degli schiavi è
durato secoli. Oggi, dopo che il mondo ha adottato principi
generosi e giusti sui diritti umani e dei popoli, non è
accettabile che il silenzio continui. Il parlamento francese
ha riconosciuto che la schiavitù è un crimine contro l'umanità
perché degli esseri umani non sono stati considerati come
tali, e che è stata disconosciuta troppo a lungo. Se seguiamo
un principio di diritto, quando c'è stato un torto deve
seguire una riparazione. Sul principio non dovrebbe esserci
discussione. E' sulle modalità che qui discutono. La tratta
dei neri ha permesso all'Europa di disporre del lavoro
necessario a entrare nella fase dell'industrializzazione.
L'Europa ha approfittato e si è sviluppata mentre l'Africa
sprofondava. Certo non si ripara alla vita di 50 o cento
milioni di persone, al sangue versato, agli orrori, agli
schiavi ribelli fatti a opezzi sulle navi negriere per darli
in pasto agli altri - ci sono orrori impossibili da riparare.
Ma cercare di diminuire gli effetti della tratta dei neri,
questo non è chiedere troppo. Una volta riconosciuto un
crimine contro l'umanità, bisogna controbilanciare gli effetti
del male fatto.
Ma appunto: altri paesi non hanno riconosciuto, come la
Francia, che c'è stato un "crimine contro l'umanità".
Sì, ma è un ritardo nelle coscienza morale, etica e
giuridica rispetto alle loro stesse leggi. Guardi: qui c'era
l'apartheid, ed è durato fin troppo a lungo. Durante la guerra
fredda gli americani non volevano riconoscerlo perché
credevano che i loro interessi fossero minacciati. Quelli che
oggi non riconoscono il torto fatto all'Africa dovrano
riconoscerlo prima o poi, perché questa lotta non si fermerà.
D'altra parte è una lotta non solo per i neri ma per la
dignità umana. Questi paesi ora non vogliono riconoscere ciò
che è chiaro come il sole per un calcolo di interesse
immediato: temono di dover rinunciare a una parte delle loro
ricchezze, quando il 20% dell'umanità ha l'80% delle risorse:
non gli basta? Gli stati badano solo all'interesse immediato:
io dico che i popoli devono prendere il relais. E' un
mostruoso ritardo delle coscienze, e va
denunciato.
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