Profughi afgani, l'odissea continua
nel Pacifico Bloccati al largo della Nuova Guinea sino al verdetto
della Corte: se l'Australia è colpevole, faranno dietro front
SIMONA
MANNA
La Papua Nuova Guinea è una meta apparente. In
realtà non è assolutamente detto che i 433 profughi, per la
maggior parte afgani, salvati dal naufragio da un cargo
norvegese, respinti dall'Australia e ora in viaggio verso la
Guinea riescano a sbarcare a Port Moresby, come era stato
stabilito. Piuttosto saranno costretti ad aspettare al largo
della Nuova Guinea per giorni e giorni, in attesa del verdetto
della Corte federale australiana. Arrivare a Port Moresby
significava per i profughi riuscire prima di tutto a scendere
a terra, cosa che ormai deve sembrar loro un miraggio. E poi
voleva dire partire o per la Nuova Zelanda (le famiglie) o per
l'isola Nauru della Micronesia. Entrambe non sono Australia,
la vera meta, ma sono almeno un posto dove avere asilo
politico. Anche questa speranza però sembra svanire, e il
peggio è che probabilmente loro lo ignorano. Non è bastato,
quindi, che gli immigrati, ora a bordo della Manoora,
la nave militare australiana, trascorressero sino ad oggi 12
giorni in mezzo alle onde (ma saranno due settimane se
arrivano lunedì o quasi 20 giorni se ci sarà mare mosso). Ora
li si fa stare in attesa in mezzo all'oceano Pacifico sinché
la solita diplomazia "ingessata" non si sbloccherà.
Inizialmente i giudici della corte avevano dichiarato che
entro mercoledì scorso avrebbero emesso una sentenza sulle
responsabilità dell'Australia, ma probabilmente la complessità
della vicenda e le conseguenze che un verdetto di colpevolezza
scatenerebbero, hanno paralizzato tutto. Se l'Australia
dovesse essere dichiarata responsabile di omissione di
soccorso umanitario nei confronti dei 433 profughi, la sua
pena sarà quella di doverli ospitare tutti, dando loro asilo
politico. Intanto gli immigrati, tra cui più di quaranta
bambini e due donne incinte, sembrano essere in buone
condizioni di salute, anche perché a bordo della
Manoora è allestito un ospedale, il primo in cui hanno
potuto mettere piede dopo giorni di viaggio. In un progetto
anti-immigrazione ferreo e svincolato dai doveri umanitari
internazionali per fortuna sinora ci crede solo l'Australia
tanto che anche l'Indonesia, nella quale sperava di trovare
un'alleata, le ha sbattuto la porta in faccia. Nei giorni
scorsi tre ministri australiani erano a Giakarta con il fermo
intento di convincere il governo a costruire un campo di
detenzione per clandestini, finanziato dall'Australia, dove
questi potessero essere tenuti in attesa di esaminare le
domande di asilo. Ma il ministro degli esteri indonesiano
Hassan Wirayuda ha respinto la proposta, accettando invece
l'idea di costruire sì dei centri, ma di accoglienza. Ora
l'attenzione internazionale è tutta sui profughi. Sulla
Manoora c'è una donna incinta di 8 mesi. Chissà se
riuscirà a far nascere il suo bambino in terraferma.
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