Per oltre una settimana gruppi di persone
venuti da tutto il mondo in questa città sull'oceano Indiano
hanno raccontato le proprie esperienze e perorato le proprie
cause: dai gruppi Rom alle organizzazioni dei migranti, alle
comunità indigene, i movimenti dei neri nelle Americhe, le
organizzazioni palestinesi, i movimenti per i diritti dei
dalit ("intoccabili") dell'Asia meridionale. Ma ora l'esito
della Conferenza Onu contro il razzismo è appeso a un lavorìo
diplomatico che si svolge tutto dietro le quinte, tra colloqui
informali e incontri riservati nel centro congressi. Le
questioni che possono determinare il fallimento o la riuscita
della conferenza restano due, forse tre. Il medioriente,
ovvero quali parole nei testi approvati dalla conferenza
dovranno descrivere la sofferenza del popolo palestinese nei
territori occupati da Israele. Poi l'insieme di questioni che
il gergo qui prevalente definisce "ingiustizie del passato":
ovvero con quali termini riconoscere l'orrore della tratta
transatlantica degli schiavi e il colonialismo, la necessità
di espressioni di "rammarico" o "scuse", e se riconoscere (e
con quali parole) almeno in via di principio la necessità di
una "riparazione" per gli effetti perduranti di schiavismo e
colonialismo. Infine, l'elenco dei gruppi di persone vittime
di razzismo, discriminazioni, xenofobia - un elenco che
continua a suscitare problemi. Di ora in ora i negoziatori si
dichiarano ottimisti o pessimisti: ieri sera prevaleva il
pessimismo.
La questione palestinese
Tentativi di mediazione si incrociano. A metà del
pomeriggio sul congresso di Durban rimbalzano i dispacci
d'agenzia provenienti da Parigi: il premier francese Lionel
Jospin dichiara che "se il legame tra il sionismo e il
razzismo viene mantenuto" la Francia e l'Unione europea
abbandoneranno i lavori. Un aut-aut? Ma no, bofonchia un
diplomatico transalpino, è che mercoledì a Parigi si riunisce
il consiglio dei ministri. "Non è in questione per il momento
un ritiro europeo", commenta, in veste più ufficiale, il
portavoce del ministro degli esteri belga Louis Michel, il cui
paese ha la presidenza di turno dell'Ue. E' lui dunque che
conduce per conto dei 15 il negoziato più delicato di queste
ore, nel gruppo ristretto guidato dal Sudafrica e incaricato
di dirimere la questione mediorientale: trovare parole che
riconoscano la situazione a cui è sottoposto il popolo
palestinese senza definire Israele "razzista". La nuova bozza
è stata scritta dalla ministra degli esteri sudafricana
Nkosazana Dlamini Zuma. A quanto è dato sapere, l'Ue cerca di
fondervi un suo testo che però incontra l'opposizione dei
paesi arabi. Pare anche che l'Ue giochi "duro" - le
dichiarazioni di Jospin potrebbero essere parte della
pressione sul fronte arabo. Alcuni diplomatici dicono che in
queste ore le dichiarazioni pubbliche non sono da prendere
alla lettera, ma letti tra le righe. Come è già successo in
questi giorni nessuno cita frasi precise, perché il negoziato
è fatto proprio di parole e di virgole. L'esito era annunciato
per il tardo pomeriggio, poi per la notte, forse stamattina.
Ma l'esito di una trattativa dipende dalle altre. Il consenso
sul medioriente potrebbe darsi al prezzo di concessioni sulle
"ingiustizie del passato" o viceversa...
Il vocabolario dello schiavismo
Il capitolo delle ingiustizie passate è stato affidato
dalla ministra degli esteri sudafricana Dlamini Zuma a un
gruppo ristretto coordinato da Brasile e Kenya. E ieri sera
gli ambasciatori di questi due paesi si sono presentati ai
cronisti per dire che il lavoro procede in modo positivo,
ormai è solo una questione di parole. Solo che le parole
pesano. Sembra ad esempio esclusa, dicono i due ambasciatori,
la parola apology, "scuse", e anche deep
remorse, profondo rimorso. Si cercano sui dizionari parole
meno impegnative - non regret, rammarico, che in
inglese è più forte, forse "rimorso" senza "profondo"? Ancora
ieri attivisti afro-americani chiedevano con striscioni e
cartelli di definire la tratta degli schiavi un "crimine
contro l'umanità", ma questo sembra escluso, come pure la
parola "genocidio". E' invece rimasta nei documenti ufficiali
la parola "riparazioni" - resta da vedere con quale forza e in
che forma. Un fronte di paesi africani più radicali, guidato
da Namibia e Zimbabwe, vuole scuse esplicite da parte dei
paesi che furono colonialisti e schiavisti e riparazioni sotto
forma di remissione del debito o di finanziamenti e crediti
alla New African Initiative, un piano di sviluppo che
l'Unione africana vorrebbe lanciare entro l'anno. Ma i paesi
occidentali (quelli che hanno un debito del passato da
saldare) sono rappresentati qui solo da ministri degli esteri
e/o della cooperazione allo sviluppo, che non hanno il mandato
di promettere soldi, possono al massimo manovrare tra i fondi
per gli aiuti allo sviluppo.
La voce delle vittime
Ieri è stato formalmente presentato all'assemblea il
documento del Forum non governativo che si era concluso sabato
sera. E' il documento che già da domenica ha suscitato
polemiche e prese di distanza. Le ong italiane ad esempio si
sono dissociate almeno dalla parte che tratta di Palestina e
Israele: ma non l'hanno fatto con una voce unica. La
Associazione delle Ong italiane (che rappresenta 164
organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, ma solo metà
presenti) "si rammarica" che quel documento sia stato discusso
in un clima di esacerbazione e parla di un percorso "non
trasparente". Anche Udo Clement Enwereuzor, a nome del Cospe,
parla di un "processo a volte nebuloso". "Mi rifiuto di
sottoscrivere in particolare due paragrafi, quello che
dichiara israele uno 'stato razzista' e quello che chiede il
ripristino della risoluzione dell'assemblea generale dell'Onu
che nel '75 definì il sionismo una pratica razzista". E' un
peccato, ci dice: "Su tutto il resto del documento abbiamo una
valutazione positiva. Fermo restando l'importanza della
questione palestinese, è giusto vedere anche tutte le altre
questioni, dalla riparazione dell'ingiustizia presente
generata da schiavismo e colonialismo passati alla protezione
dei migranti, i Rom, la questione dei dalit: pensa solo al
fatto che finalmente il mondo parla di loro, non ne sapevamo
nulla". Quel documento "è una collezione di voci delle
vittime, che parlano della propria esperienza ovviamente con
il proprio linguaggio. Ma non posso accettare quegli articoli
su Israele".
La coesistenza e gli indocumentados
Se la conferenza fallisse sarebbe un'ammissione di
sconfitta straordinaria per la comunità internazionale, nella
prima conferenza contro il razzismo finalmente nell'era
post-apartheid. Il delegato della Santa sede, Diarmuid Martins
ne è convinto: "Il razzismo è una brutta bestia, che non è
sconfitta una volta per tutte. Risorge con forme sempre nuove
e un esito importante per questa conferenza sarebbe
riconoscere che uno dei gruppi più vulnerabili è quello dei
migranti". Già, perché questa conferenza tratta della
coesistenza umana sul pianeta e "le migrazioni sono un
fenomeno stabile nel mondo moderno e globalizzato. Ciò
significa che avremo società sempre più pluriculturali.
Bisogna prepararsi. I migranti possono essere fonte di
incontro tra culture. Ma oggi è il contrario: ampi settori di
migranti sono soggetto a xenofobia e violenze razziste e
molti, ad esempio quelli irregolari, non possono neppure
cercare la protezione della polizia. Ci vuole responsabilità,
anche da parte dei media: oggi diventa accettabile che
esponenti politici o mezzi d'informazione esprimano opinioni
xenofobe. Bisogna che le società umane smettano di vedere i
migranti come fonte di minaccia".