La fame diminuirà, ma non
per tutti TERRATERRA di FRANCO CARLINI
Sì, c'è la fame nel mondo e quella dei bambini
in particolare. Mentre il governo italiano esibisce un
rimarchevole disinteresse alla sostanza del problema,
occupandosi solo di come trasferire fuori Roma i delegati
della Fao, quello tedesco ospita da ieri a Bonn una conferenza
internazionale con più di mille partecipanti da tutto il
mondo. Il tema è "Sustainable Food Security for All" (una
sicurezza alimentare sostenibile per tutti) ed è organizzata
da una delle agenzie più importanti del settore, l'Ipri
(International Food Policy Research Institute) di Washington.
Nell'occasione l'istituto presenta le sue ultime ricerche,
dedicate alla sottoalimentazione dei bambini del mondo, e i
risultati non sono incoraggianti: da qui all'anno 2020 la
malnutrizione infantile diminuirà solo del 20%, a meno di
scelte più coraggiose e lungimiranti da parte dei paesi
ricchi. Lo studio, un volume di 224 pagine, è ovviamente
basato solo su delle proiezioni al computer (un modello
matematico) e queste cercano di tenere conto di tutti i
possibili fattori che influenzano il fenomeno: per i 16
principali alimenti vengono esaminati i fattori di produzione,
distribuzione e consumo nelle diverse aree geografiche,
incrociandoli con le possibili azioni politiche e sociali,
dalla liberalizzazione dei commerci alla crescita di
investimenti nell'agricoltura, nella sanità e nella sicurezza
alimentare. I risultati non sono confortanti, o almeno non
lo sono per tutti. Secondo l'Ipri dunque nel giro dei prossimi
20 anni - che non sono comunque pochi - l'America Latina
potrebbe avere sconfitto la malnutrizione infantile e la Cina
potrebbe dimezzarla, ma in India, allo stato attuale delle
proiezioni, questo continuerà a essere un problema acuto, dato
che un terzo di tutti i malnutriti saranno nel suo territorio.
Come sempre, poi, le cifre peggiori riguardano l'Africa
sub-Sahariana dove si annunciano "eccezionali emergenze
alimentari" provocate dalle condizioni climatiche e dalla
instabilità sociali e politiche. Tuttavia non si rassegna il
direttore generale dell'Ifpri, Per Pinstrup-Andersen: "C'è la
possibilità di correggere questo stato di cose - ha dichiarato
- e con modeste modifiche delle politiche e delle priorità si
possono raddoppiare i risultati nella lotta alla
malnutrizione". Quali? Lo spiega l'autore del rapporto, Mark
Rosegrant: "il nostro scenario più ottimistico prevede che sia
possibile ottenere una riduzione del 42% della malnutrizione
con un investimento annuo di 10 miliardi di dollari che
equivalgono a una settimana di spese militari del mondo". E
che dire delle biotecnologie? Queste spesso sono
demagogicamente indicate come la soluzione principe di fronte
ai problemi della fame nel mondo e gli oppositori degli
organismi geneticamente modificati sono sovente accusati di
essere anime belle e occidentali che condannano alla
sofferenza gli abitanti dei paesi più poveri. Al riguardo la
posizione di Pinstrup-Andersen è prudente: "la moderna
biotecnologia non è l'arma magica per risolvere il problema
del cibo, ma usata in congiunzione con i metodi tradizionali
di ricerca può rivelarsi un utile strumento. Ha il potenziale
infatti di accrescere la produttività
dell'agricoltura". Alla conferenza di Bonn viene anche
presentato uno studio svolto da Greenpeace insieme a Bread for
the World, un'organizzazione cristiana Usa. Il rapporto elenca
208 casi di sviluppi sostenibile in agricoltura, realizzati in
52 paesi in via di sviluppo. Secondo Greenpeace è la
dimostrazione che "la fame e la povertà possono essere
superati grazie a un'agricoltura sostenibile, senza ricorrere
all'ingegneria genetica la quale minaccia la biodiversità,
erode il suolo, inquina le acque e minaccia la salute
umana". La tesi è che combattere la fame è possibile, che i
governi devono fare la loro parte e che nel trattare questi
problemi ogni delega alla tecnologia è inevitabilmente
fallimentare.
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