Durban, è scontro anche su
schiavismo e diritti Mary Robinson (Onu): "Nemmeno i
paesi europei riconoscono lo schiavismo come crimine contro
l'umanità" MA. FO. - INVIATA A DURBAN
I delegati sono stati accolti dal suono dei
tamburi ieri mattina, quinto giorno della tumultuosa
Conferenza delle Nazioni unite contro il razzismo, la
discriminazione razziale, la xenofobia e le relative
intolleranze. Davanti al centro dei congressi di Durban si
erano assembrate decine di persone: gruppi di natives
del nordamerica hanno assicurato una colonna sonora di
percussioni mentre i cartelli rendevano chiaro il messaggio:
"Lasciate la 's' alla parola popoli" (in inglese la s indica
il plurale), "i nostri diritti non sono negoziabili", "diritto
di autodeterminazione". Altri cartelli e slogans nella tarda
mattinata se la prendono con gli Stati uniti:
"L'amministrazione Usa va via, i cittadini Usa sono qui". Uno
striscione avverte: "Colin Powell non parla per me". Un
volantino di organizzazioni nere americane accusa il governo
di non voler discutere del razzismo oggi in America. Dopo
la defezione degli Stati uniti, che lunedì sera hanno deciso
di ritirare la propria delegazione (già di basso profilo), le
dichiarazioni di rammarico si moltiplicano anche da voci più
ufficiali. La Conferenza di Durban prosegue, dice la signora
Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni unite per i
diritti umani e segretaria generale di questo meeting: "Il
razzismo e la discriminazione esistono in ogni paese e in ogni
comunità. Per questo mi rammarico profondamente che gli Stati
uniti e Israele abbiano deciso di ritirarsi". Sembra quasi
ridicola la precisazione fatta ieri mattina dal vice
sottosegretario del dipartimento di stato Usa, Michael
Southwich, mentre lasciava Durban: i delegati venuti da
Washington se ne vanno, ma gli Usa restano qui rappresentati
dal loro console generale... Dentro al palazzo dei
congressi, tra sale e salette, da lunedì sera sono in corso
tre diversi tentativi di diplomazia affidati ad altrettanti
gruppi ad hoc. Uno riguarda il Medioriente (ne riferiamo in
questa pagina). Ma ce ne sono altri due in corso, e non sono
meno difficili: uno (affidato ai ministri di Kenya e Brasile)
riguarda il capitolo delle "passate ingiustizie", come dice la
signora Robinson, ovvero riconoscere la tremenda ingiustizia
che è stata la tratta degli schiavi e risarcire (ma come, in
che senso?) le vittime dello schiavismo e del colonialismo. E'
straordinario che tutt'ora i paesi europei siano disposti a
esprimere "rammarico" per la tratta degli schiavi ma non a
definirla "un crimine contro l'umanità". Ma è di questo, e di
risarcimenti, che sia i governi che le numerose organizzazioni
e movimenti africani, sia i neri di tutte le Americhe qui
presenti vogliono parlare - compresi i brasiliani colorati che
ieri manifestavano con lo striscione per "riparazioni
positive". Si parla di possibili scambi tra dichiarazioni di
principio (riconoscere la schiavitù) e riconoscimenti
concreti: finanziamenti, debiti cancellati. Si parla anche di
negoziati bilaterali già in corso... L'altro tentativo di
mediazione, affidato al Messico, riguarda "i terreni di
discriminazione": ovvero, quali gruppi di persone debbano
essere inclusi tra le vittime attuali di discriminazione,
xenofobia, intolleranza. Neppure questo è ovvio. I migranti e
rifugiati sono dentro alla lista, come i Rom e Sinti. Ci sono
i popoli indigeni, ma proprio per questo protestavano i nativi
americani ieri mattina: non è chiaro come sarà definita la
pluralità di "nazioni dentro alle nazioni". La guatemalteca
Rigoberta Menchù, Nobel per la pace per il suo attivismo di
indigena, ha fatto appello a non cancellare la voce delle
"nazioni non riconosciute". E poi: non è ancora chiaro se sono
dentro le persone discriminate per "nascita e mestiere", cioè
per casta. Per questo sono qui a Durban numerose
organizzazioni di Dalit, i fuoricasta, o "intoccabili". Il
governo indiano si oppone: oggi le discriminazioni di casta in
India non sono istituzionalizzate, se restano è piuttosto un
problema sociale. Certo è la prima volta che una delle
istituzioni più imbarazzanti della società indiana diventa
oggetto di dibattito internazionale. E poi: bisogna
esplicitamente dire che in ogni società le persone più
vulnerabili a razzismo e discriminazione sono le donne
appartenenti a gruppi marginalizzati, migranti, minoranze -
insomma, che c'è una intersezione tra le discriminazioni di
razza e di genere? Bisogna includere le persone afflitte da
handicap o malattie come l'Aids, tra i gruppi vulnerabili alle
discriminazioni? Ha ragione la signora Robinson quando
ricorda che tutto questo è sul tavolo qui a Durban, e quando
rende omaggio al Forum delle organizzazioni non governative,
alla "società civile in tutta la sua ricca diversità" giunta
qui da tutto il mondo: questa conferenza "ha permesso alla
voce delle vittime, quelle ridotte troppo a lungo al silenzio,
di essere udite". Ma precisa: "Sono dispiaciuta dai passaggi
della dichiarazione del Forum delle Ong che parlano di
Israele, quelle accuse di genocidio sono inappropriate. E'
triste ma .. non posso raccomandare ai delegati (di fare
propria) quella dichiarazione". Diverse organizzazioni non
governative - quelle italiane e molte europee - hanno preso le
distanze da quella parte del documento, che del resto ieri
sera ancora pochi avevano visto stampato nella sua forma
definitiva. E' vero: parla di genocidio e pulizia etnica, e
chiede di ripristinare la risoluzione delle Nazioni unite del
1975 che definiva il sionismo una pratica razzista, e di
lanciare una politica internazionale di isolamento di Israele
come quella che isolò il Sudafrica
dell'apartheid.
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