Braccio di ferro a Durban
E
MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN
'la giornata dei rammendi. Dopo la
decisione degli Stati uniti e di Israele di ritirare le
proprie delegazioni dalla Conferenza mondiale contro il
razzismo, la discriminazione e la xenofobia, la diplomazia è
al lavoro dietro le quinte: si tratta di trovare un linguaggio
per descrivere la situazione in Medio oriente che non sia
"insultante e razzista nei confronti di Israele", né
"minimizzi la sofferenza del popolo palestinese". Dopo il
fallimento norvegese ci prova il governo sudafricano, con
l'attivo sostegno dell'Unione europea.
Via le Ong ebraiche ufficiali
Il ritiro americano è stato applaudito dalle
organizzazioni ebraiche ufficiali qui presenti, mentre fin dal
mattino decine di persone hanno manifestato la loro protesta:
gruppi di neri americani hanno cantato "vergogna, vergogna
America", o esibito cartelli per dire: "L'amministrazione Bush
va via, ma i cittadini sono qui". Dopo i gesti dei governi, le
organizzazioni non governative prendono posizione. Ieri
mattina il Caucus Ebraico - che riunisce gruppi e associazioni
ebraiche di tutto il mondo - ha convocato una conferenza
stampa per annunciare che anche loro se ne vanno: protestano
contro una conferenza che "addita Israele e usa
l'antisemitismo come strumento politico". Un rappresentante
legge una brevissima dichiarazione: "Israele è stata oggetto
di spurie accuse di genocidio, pulizia etnica e altri crimini
contro l'umanità. E' l'unica nazione del pianeta additata alla
critica nelle bozze di documento di questa conferenza". Citano
un episodio per la verità triste: un volantino circolato nel
Forum delle Ong con la caricatura dell'ebreo col naso adunco
in sembianze di diavolo: "ricorda la propaganda nazista". Ce
ne andiamo da questa conferenza, dicono le organizzazioni
ebraiche, "ma non abbandoniamo i suoi obiettivi" di lotta
contro razzismo e xenofobia. Daniel Lack, giurista e
consulente legale del Congresso ebraico mondiale, dice che i
governi di Stati uniti e Israele non avevano scelta: "Gli
stati arabi e islamici avevano costruito una maggioranza per
cui quelle accuse diffamatorie e oscene a Israele sarebbero
entrate in un documento dell'Onu". Anche il gruppo delle
Ong palestinesi ha tenuto una conferenza stampa per
argomentare: "Gli Stati uniti tentano di mettere a tacere le
voci delle vittime, ma non ci riusciranno", dicono. Chiediamo
a Khader Shkirat, direttore della Law Society of Palestine,
come motiva l'accusa di razzismo verso Israele: in fondo
stiamo parlando di un conflitto politico, militare,
"nazionale", non razziale.
"Israele razzista anche per Betselem"
"E' vero, è un conflitto politico. E non è qui che
cerchiamo una soluzione a questo conflitto, sappiamo bene che
non è questa la sede. Ma questa è una conferenza sul razzismo
e siamo qui per dire che la politica di Israele nei nostri
confronti è razzista, perché il colonialismo è una forma di
razzismo. Stiamo parlando di deportazioni, di persone
costrette ad abbandonare i propri villaggi - e questo è
successo fin dal 1948, dalla creazione dello stato d'Israele.
Parliamo di atti di genocidio, definiti tali anche dalla Corte
penale internazionale a Roma. Del massacro di Sabra e Chatila,
per cui ora un tribunale in Belgio sta discutendo se
incriminare Sharon. Sì, siamo qui per dire che Israele è uno
stato di natura razzista". Razzista "di natura"? Sì, risponde
Khader Shkirat, "mi riferisco non solo a una politica razzista
ma alla ventina di leggi che discriminano tra ebrei e non, a
cominciare da quella che riconosce il diritto al ritorno per
gli ebrei e non per i palestinesi. E poi alla pulizia etnica
nei confronti dei palestinesi. Sì, la chiamo pulizia etnica e
del resto non solo noi: anche organizzazioni israeliane per i
diritti umani come Betselem la definiscono pulizia
etnica". Non c'è dubbio, la polemica avvenuta qui a Durban
è solo in parte riferita al merito di questa conferenza - e ha
un impatto più generale, per quanto riguarda la politica
mediorientale. Dimostra ad esempio, dice Khader Shkirat, che
"la pretesa degli Stati uniti di agire come mediatore nel
conflitto mediorientale è falsa. Ancora una volta qui hanno
dimostrato di non essere affatto neutrali. Abbiamo bisogno di
una forza equilibrata. Abbiamo bisogno che l'Europa entri nel
processo negoziale. Ne ha avuto l'occasione, quando il
presidente Bill Clinton ha concluso il suo mandato. Purtroppo
gli europei sono riluttanti a prendere in mano il negoziato.
Ma è l'appello che noi rivolgiamo all'Europa, farsi
protagonisti di una nuova iniziativa di pace in
Medioriente".
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