AUSTRALIA Cronaca di una deriva razzista
GIANNI
MORIANI
Come si è potuto consolidare il
razzismo nello spazioso (7,68 milioni di chilometri quadrati)
paese dei canguri? Cosa ha spinto il primo ministro John
Howard (di una coalizione liberale di destra) a mostrare una
disumana ferocia contro gli oltre 400 rifugiati (raccolti
dalla nave mercantile norvegese Tampa) per non "contaminare"
eccessivamente il ceppo di popolazione anglosassone? La
reazionaria deriva anticlandestini del Paese Felice
appare tanto più sorprendente se si pensa che nella "Fortezza
Australia" un cittadino su quattro è nato oltreoceano.
Infatti, la prima colonia bianca di 859 tra condannati e
guardie penitenziarie fu stabilita dal governo britannico nel
1788, nell'attuale Sydney. Non c'è inoltre alcun dubbio che
l'Australia moderna abbia tratto origine dall'immigrazione.
Nel 1945 accolse addirittura 580 mila profughi con appositi
programmi umanitari. Poi, tra il 1977 e il 1991 vi giunsero
130 mila profughi indocinesi, quando il governo liberale
accolse i boat people vietnamiti. Va qui tuttavia ricordato
che solo nel 1973 venne abbandonata la legge "Australia
bianca": un test di lingua inglese che impediva l'ingresso in
terra australiana delle persone di pelle scura. La
contraddittoria politica sull'immigrazione del precedente
governo del premier laburista Paul Keating spianò la strada al
razzismo di Stato, in quanto contemporaneamente propose
un'Australia multiculturale e aprì nel deserto i campi di
sicurezza a gestione privata (sarebbe più corretto chiamarli
lager) per rinchiudervi quanti arrivavano senza
autorizzazione. Ripetuti rapporti dell'Onu hanno evidenziato
in questi lager patenti violazioni dei diritti umani. Ma è
nel 1996 che si consuma l'attuale svolta caratterizzata dal
razzismo di Stato. Il 6 gennaio 1996 una donna praticamente
sconosciuta, Pauline Hanson con una lettera pubblica criticava
i privilegi, a suo dire immeritati, di cui godevano gli
aborigeni australiani. Questa venditrice di fish and chips a
Ipswich, nel Queensland, metteva in discussione "i fondi, le
agevolazioni e le opportunità" che il governo concedeva agli
aborigeni per controbilanciare i loro svantaggi. "One Nation",
il partito di Pauline, nel 1998 rese pubblico il documento su
immigrazione, popolazione e coesione sociale, che trasudava
intolleranza. Eccone un significativo frammento: "Così come è
ora, l'immigrazione porterà all'asiaticizzazione
dell'Australia e si avranno città in gran parte asiatiche
sulle nostre coste, che differiranno da un punto di vista
culturale e razziale dal tradizionale carattere australiano
del resto del paese. L'immigrazione deve quindi essere
consentita sempre che le cifre non alterino in modo
significativo la composizione etnica e culturale del paese".
In seguito al successo di "One Nation", la Hanson venne eletta
al parlamento del Queensland e nel suo primo discorso agitò il
rischio per l'Australia di essere "inondata" dagli immigranti
asiatici, a cui aggiunse un attacco al multiculturalismo, un
lamento per la vendita di imprese australiane agli stranieri
condito da alcuni suggerimenti relativi al taglio degli aiuti
destinati all'estero e alla revisione dei rapporti con le
Nazioni Unite. A livello nazionale, numerosi comuni
cittadini si sono identificati con la signora di Ipswich: quel
40% della popolazione che non comprendeva perché erano stati
abbandonati i costumi e le vecchie usanze dell'Australia
bianca. Timorosa di perdere la propria base elettorale, la
coalizione conservatrice al governo ha ulteriormente inasprito
la sua politica contro gli immigrati. Proprio la scorsa
settimana il governo, con l'appoggio dei laburisti, si è
impegnato ad aprire altri cinque lager per rinchiudervi, anche
per la durata di cinque anni, i clandestini in fuga. L'invio
delle teste di cuoio contro i disperati raccolti dalla Tampa è
solo l'ultimo atto di questa infame politica contro
l'immigrazione.
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