"Sul razzismo le radici degli
Usa" Un'ingiustizia a cui si deve riparazione. Parla il
reverendo Jesse Jackson MA. FO. - DURBAN
L'America dei diritti civili è scesa in campo:
ha creato un grande malumore la scelta dell'amministrazione
Bush, di inviare solo una delegazione di basso profilo alla
conferenza dell'Onu contro il razzismo. Il Black Caucus, il
gruppo parlamentare trasversale dei neri eletti al Congresso
americano, da battaglia. Il reverendo Jesse Jackson, figura
storica del movimento per i diritti civili della gente di
colore negli Usa, lancia sfide alla Casa Bianca. Jackson
polemizza con chi ha voluto fare del Medio oriente il centro
di questa conferenza: "La questione del razzismo è troppo
grande per essere ridotta alla controversia sul Medio oriente.
Si può essere contro gli insediamenti (israeliani nei
Territori palestinesi, ndr), contro l'assassinio proditorio di
leader palestinesi, e non necessariamente bollare Israele di
stato razzista: se cominci con le etichette, ce ne sarebbero
parecchie da mettere", aveva detto mercoledì, arrivando in
questa città sudafricana. Il fondatore e presidente della
Rainbow Coalition ("Coalizione arcobaleno") atacca: la
polemica sul Medio oriente rischia di eclissare la conferenza,
"che è sulla discriminazione in ogni sua forma, dal razzismo
nella giustizia statunitense oggi alla moderna schiavitù in
Sudan". Per sbloccare la situazione venerdì Jackson aveva
incontrato la delegazione palestinese, cercando un compromesso
diplomatico sulla terminologia, sionismo, razzismo. Ieri è
tornato alla carica: gli Stati uniti devono prendere la guida
di una nuova iniziativa di pace in Medio oriente: "Non
dobbiamo temere il negoziato:. ... Entrambe le parti hanno
subito enormi sofferenze ma nessuna ha la capacità di rompere
il ciclo della violenza. Il presidente Bush ha l'obbligo
morale di farlo". Il punto, insiste Jackson, è che gli Stati
uniti non possono tirarsi indietro.
Perché
Washington tiene un profilo così basso in questa conferenza?
Gli Stati uniti hanno l'obbligo morale e l'onere,
in quanto superpotenza, di impegnarsi per il cambiamento, non
solo di stare a osservare. Gli Usa hanno interesse alla pace
mondiale, alla stabilità - perché l'instabilità minaccia le
nostre vite, lo sviluppo, il bilancio. Ora, Bush dice che non
viene qui perché non è d'accordo con la risoluzione che
potrebbe venir approvata circa le questioni del Medio oriente
e della schiavitù. Ma pensa alla conferenza di Pechino sulle
donne: gli Stati uniti avevano un enorme contenzioso politico
e ideologico con la Cina, ma non abbiamo usato l'ideologia per
non sostenere la conferenza delle donne. Quello che voglio
dire è che non si può usare una foglia di fico per tirarsi
indietro ed evitare la crisi razziale.
Crisi razziale?
Sì. L'America porta un grande peso, perché ha costruito le
sue fondamenta sulla supremazia razzista e sullo sfruttamento
del lavoro schiavizzato. E' per questo che è tanto
imbarazzante per gli Usa oggi affrontare questi temi in una
conferenza internazionale: perché è stato il traffico di
esseri umani du centinaia di anni ad alimentare la crescita
economica e lo sviluppo americano. A questo bisogna dare
riparazione.
La questione di una riparazione è all'ordine del
giorno di questa conferenza
E deve esserci. Era all'ordine del giorno per la
Germania dopo l'Olocausto. Non è un concetto nuovo. Ma ora
bisogna dare un seguito concreto.
Quello dei
risarcimenti è una discussione che ha molta risonanza ormai
negli Stati Uniti, quasi una nuova dimensione della politica e
della lotta delle minoranze di colore. Non per nulla il
reverendo Jesse Jackson, che negli anni sessanta organizzava
le marce di protesta nelle stradfe di Chicago, oggi ha aperto
anche uno studio a Wall Street di consulenza per le cause di
discriminazione razziale nelle corporation. E il
termine reparation che qui a Durban è inteso come
risarcimento collettivo e politico per le conseguenze della
colonizzazione e dello schiavismo, negli Usa è spesso inteso
in modo più strettamente legale e finanziario.
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