La Tampa sbarca. Anzi no
Gli oltre 400 profughi rifiutati dal
governo australiano restano dove sono da ormai sette giorni:
sospesi nell'Oceano. Ieri, dopo l'approvazione di un piano di
accoglienza provvisorio tra Nuova Zelanda, Nauru e Australia,
la loro odissea sembrava finalmente conclusa. Ma un giudice ha
bloccato la nave per discutere il ricorso di un'associazione
contro l'intransigenza di Sidney CINZIA GUBBINI
Si potrebbe incolpare il destino cinico
e baro, se non fossero sin troppo chiare le responsabilità
politiche: la vicenda dei 433 profughi afghani che da sei
giorni si trovano a bordo della nave norvegese Tampa al largo
dell'isola australiana Christmas non accenna a concludersi.
Ora ci si mette anche il giudice federale Tony North, che ieri
ha bloccato un accordo raggiunto in mattinata per trasportare
i migranti nella Repubblica di Nauru e in Nuova Zelanda. Il
giudice, infatti, ha vietato alla nave di lasciare le acque
australiane in vista dell'udienza di oggi, in cui si dicuterà
un ricorso presentato dall'associazione umanitaria "Victorian
council for civic liberties" teso a costringere il governo
australiano a far sbarcare i profughi sull'isola Christmas e a
chiedere asilo politico in Australia. E pensare che ieri il
caso sembrava chiuso, e nella conclusione sembrava di leggere
una parabola, visto che la più piccola repubblica del mondo,
quella di Nauru, aveva deciso si accogliere 310 profughi,
mentre il resto sarebbe andato in Nuova Zelanda. E' vero che
il premier di Nauru aveva tenuto a precisare che gli
immigrati, perlopiù afghani, avrebbero potuto fermarsi
sull'isola soltanto per tre mesi. E oltretutto sarebbe stata
l'Australia a sostenere finanziariamente lo sbarco e la
permanenza dei migranti, ma è sempre meglio di niente. Persino
Helen Clark, premier neozelandese, che ha accettato di
ospitare i profughi idonei a ricevere asilo politico ieri si
lamentava: "Non è giusto chiedere a un esiguo numero di paesi
di risolvere la questione dei rifugiati. La comunità
internazionale deve assumersi le proprie responsabilità".
Certo, la nuova Zelanda è uno dei 12 paesi (al mondo) che ha
accettato di stabilire quote annuali di accoglienza per i
rifugiati, ma il tetto fissato quest'anno è di 750 persone,
nulla in confronto alle 95 mila domande d'asilo accettate nel
'99 dalla Germania, per fare un esempio. Comunque anche se
Nauru e Nuova Zelanda avessero accolto a braccia aperte i
profughi, non sarebbero finiti i problemi. Pare infatti che
sia molto difficile trasportarli fino in Nuova Zelanda. La
Tampa non può affrontare un lungo viaggio e l'Australia si
rifiuta di far sbarcare i profughi in territorio australiano
anche solo per poche ore. Da parte sua l'Alto commissariato
delle nazioni unite manda a dire da Ginevra: "raccondiamo che
qualsiasi azione sia portata avanti con umanità". Continuando
a sostenere la soluzione più logica, che è poi quella
contenuta nel ricorso, e cioè che i profughi accedano alle
procedure per la richiesta d'asilo in territorio australiano.
Ma l'Australia è un osso duro. Sull'atteggiamento autistico
del governo pesa probabilmente la necessità di non perdere la
faccia proprio all'ultimo, dopo aver dimostrato tanta severità
per mandare, come ama ripetere il premier conservatore Howard,
un segnale agli immigrati che ogni anno arrivano
irregolarmente nel paese (non più di 5 mila, in media). Non
giovano poi le telefonate di appoggio alla linea del governo
con cui gli australiani continuano a tempestare i programmi
radiofonici dedicati al tema, visto che i sondaggi danno per
probabile la sconfitta dei conservatori alle prossime
elezioni. Ma non mancano le voci critiche che in questi giorni
hanno censurato il comportamento dell'Australia, a partire dal
senatore australiano verde Bob Brown che ha detto: "Stiamo
infangando la reputazione del paese". L'unica nota positiva
di tutta la vicenda è la determinazione dei profughi stessi,
che sono riusciti a sollevare un caso mondiale. E la protesta
si estende. 138 afghani, detenuti da due settimane in un
carcere indonesiano dopo essersi salvati da un naufragio, sono
scesi in sciopero della fame "finché non ci faranno lasciare
questo posto e non ci permetteranno di fare domanda per il
diritto d'asilo".
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