Ali, Aman e le 120
tessere Viaggio al Centro del Rondò, dove la lotta ha pagato e
dove la Cgil incassa il suo impegno al fianco dei cooperanti
immigrati MANUELA CARTOSIO - DALMINE
All'ora della pausa pranzo il
ristorante di fronte alla Dalmine non è quel che si
dice un posticino tranquillo dove filosofeggiare a bassa voce.
Bisogna gridare per scavalcare il rumore di fondo di stoviglie
e ordinazioni. Al nostro tavolo non si parla di donne, motori
e pallone. "Con lo sciopero abbiamo capito che loro danno da
mangiare a noi, ma loro senza di noi non mangiano",
"Berlusconi è ricco e penserà ai ricchi, ve lo siete scelto e
adesso ve lo tenete", "Noi abbiamo bisogno del sindacato, per
questo ci siamo tesserati. Iscrivendoci, abbiamo il diritto di
criticarlo, se usa male i nostri soldi". Ci facciamo notare
per gli argomenti e per l'assortimento. Un nero e un
marroncino, visibilmente non in viaggio d'affari per comprare
tubi e ferraglia, unici avventori operai in sala; un
sindacalista bergamasco e una signora che scrive sul taccuino
quel che dicono i due africa. Il somalo Ali Mohamed
Hussein mette il parmigiano sull'insalata. Aman N'Dah Michel,
della Costa d'Avorio, vuol sapere se pesce "in umido"
significa pesce "bagnato". Non c'è tempo per disquisizioni
culinarie, alle 14 loro devono riprendere il lavoro al Centro
del Rondò. E' il polo logistico del gruppo Rinascente dove da
marzo a maggio 150 soci-lavoratori, quasi tutti immigrati, con
una lotta intensa e determinata hanno strappato aumenti
salariali e riduzioni d'orario alla loro vecchia cooperativa
(la BB Service), messo in fuga quella che intendeva rilevare
l'appalto a prezzo ribassato (la Zapping), imposto le loro
condizioni al Consorzio Intesa che dal primo giugno opera al
Centro del Rondò. Una vittoria piena, rimpolpata dal
riconoscimento da parte del Consorzio Intesa (che raggruppa
due cooperative) dei diritti sindacali previsti dallo Statuto
dei lavoratori. Ma il dato senza precedenti è che gli scioperi
a raffica hanno messo con le spalle al muro anche il gruppo
Rinascente (51% Ifil-Fiat, 49% Auchan). E scusate se è
poco. Ali e Aman sono rappresentanti sindacali dei
soci-lavoratori (il terzo, Giuseppe Locatelli, è rimasto al
Rondò per sbrigare le pratiche per il passaggio dei soci dalla
vecchia alla nuova cooperativa). La prima differenza, rispetto
alla gestione BB Service, la indossano. Il Consorzio Intesa ha
distribuito le divise: t-shirt blu, jeans e scarponcini
anti-infortuni. I due delegati sono "felici" per la vittoria,
ma guardinghi. "Aspettiamo la prima busta paga per vedere se
la nuova cooperativa rispetta l'accordo", dice l'ivoriano
Aman. "Per ora conviviamo. Se va bene, ci sposiamo. Altrimenti
facciamo il divorzio. Ormai sappiamo come si fa". I 150 che
lavorano al Rondò sono un riassunto di mondo. I rapporti tra
le varie nazionalità "sono buoni" e lo erano anche prima della
lotta: "Quando ci si trova nella stessa ditta siamo tutti
fratelli, tutti uguali, tutti insieme". Però, a spingere per
gli scioperi, puntualizza Ali, "siamo stati noi immigrati, gli
italiani all'inizio stavano coperti". Su 150 soci, 120 sono
tesserati alla Filcams Cgil; anche nel rapporto con il
sindacato Ali coglie una differenza: "Noi stranieri siamo
tutti tesserati; certi italiani, invece, dicono che il
sindacato mangia sulle spalle dei lavoratori. Capirai, per 12
mila lire al mese... Però, quando con il sindacato si lotta e
si vince, i risultati li prendono pure loro". Ali racconta
d'aver fatto circolare la notizia della lotta al Rondò nella
comunità somala di Bergamo. "E tanti vengono a chiedermi come
si fa il tesserino al sindacato. Vogliono iscriversi le
colf e anche quelli nelle liste della Manpower". Sindacato
equivale a Cgil. "Lo sappiamo che di sindacati in Italia ce ne
sono tre. Noi siamo con la Cgil perché al Rondò c'era già.
Dove vai, prendi il sindacato che trovi". Aman, 36 anni, in
Italia dal '92, prima tappa a Palermo dove per 4 anni ha fatto
"tovaglie", prima di lavorare al Centro del Rondò non
conosceva neppure la parola "cooperativa". Al Rondò è arrivato
per caso, "andavo in giro in bicicletta e lasciavo alle ditte
la mia domanda". Quando l'hanno chiamato, ha scoperto cos'è
una cooperativa e perché crescono come funghi: "Un modo per
pagare meno tasse e di meno chi lavora". Ali, invece, che di
anni ne ha 39, sapeva dell'esistenza delle cooperative: "Le
avevo trovate già nell'83 in Arabia Saudita. Tutto il mondo è
paese. E in tutte ci sono i padroni, anche se non si chiamano
così, e ci sono quelli sotto come noi che lavorano". Ali,
arrivato a Bergamo nel '98 con i tre figli, è uno dei pochi al
Rondò a non aver avuto problemi per il permesso di soggiorno.
"Ho fatto il ricongiungimento familiare con mia moglie che era
venuta qui a causa della guerra". Lui, entrato praticamente da
bambino nell'esercito, dalla guerra con l'Etiopia si porta
dietro il nomignolo di "colonnello". Al Rondò lo chiamano
tutti così. Aman sulle cooperative tira il freno: "Non
siamo venuti qui per parlare di queste cose, a noi interessa
il lavoro e la casa". La sua casa è "una stanza", che presto
sarà ancor più stretta perché la moglie aspetta un bambino. Di
Bergamo e bergamaschi il cattolico Aman non si lamenta. "E'
buono per noi. Ti lasciano tranquillo e posso trovare anche un
buon amico italiano che mi invita a cena". Non si capisce se
dipinge un quadretto roseo per compiacere l'uditorio e se
stesso o se le cose stanno davvero così. Linea morbida anche
su Berlusconi. "Se decide che gli stranieri devono tornare al
loro paese, io faccio la valigia. In un posto dove non mi
vogliono, io non ci sto". Il "colonnello" gli lancia
un'occhiata che la metà basta. E allora Aman si spiega meglio:
"Berlusconi lo sa bene che noi serviamo per lavorare. Dunque,
non ci caccerà. Quel che volevo dire è che Berlusconi l'avete
eletto voi, è inutile che io dica se mi piace o no. Noi non
votiamo". "Quando uno è da 10 anni in un paese, lavora e ha
tutto in regola dovrebbe avere il diritto di votare",
interviene Ali, "anche il centrosinistra di questo si è
dimenticato". "Di anni ne dovrebbero bastare 5", corregge
Aman. Aver vinto non significa che lavorare al Rondò sia
tutto rose e fiori. I dipendendenti diretti della Rinascente
hanno la mensa, "pagano 3 mila lire per primo, secondo e
terzo". La mensa per i soci-lavoratori della cooperativa,
invece, è uno stanzone dove mangiano quel che si portano da
casa. Gli immigrati sono la stragrande maggioranza dei soci,
però i capi sono tutti italiani. Solo due capisquadra sono
immigrati e quando la nuova cooperativa ha fatto la prima
riunione "non li ha convocati". Il lavoro è pesante. "Troppe
ore e troppa velocità, il Sorter (è la macchina in cui si
lavorano i pacchi in entrata e in uscita dal polo logistico,
ndr) corre sempre di più e noi dobbiamo stargli dietro". I
prossimi due-tre mesi saranno di fuoco, c'è la "campagna
scuola", cartelle, grembiulini, quaderni da spedire ai vari
punti vendita. Per un verso, è una garanzia: il Consorzio
Intesa non ha alcun interesse a far scoppiare grane e
conflitti in un periodo così delicato. Per un altro verso,
significa dover lavorare anche 12 ore al giorno. Con la prima
lotta, quella contro la BB Service, i soci avevano conquistato
la volontarietà a lavorare oltre la decima ora L'aumento di
mille lire della paga oraria avrebbe dovuto permettere ai soci
di lavorare di meno a parità di salario. Le cose non sono
andate così; i soldi non bastano mai per gli immigrati, la
casa qui, la casa al paese d'origine, i viaggi, i regali per
tutti i cosiddetti "fratelli" o "cugini". L'unica riduzione
d'orario è che al sabato al Rondò si smette di lavorare alle
13 (prima si continuava anche al pomeriggio). Sul cancello del
Rondò, prima dei saluti, buttiamo lì una provocazione: non
sarebbe ora che la Rinascente vi assumesse? Siete qui da un
sacco di tempo, a ogni cambio d'appalto perdete l'anzianità, i
diritti conquistati vanno rinegoziati. Questa volta vi è
andata bene, la prossima chissà, con le cooperative la legge è
quella del gambero. "Magari si potesse fare", dicono Ali e
Aman, "così finirebbe 'sta storia delle cooperative. Con loro,
ogni anno ti tocca nascere di nuovo". Con Mirco Rota, il
sindacalista della Filcams Cgil di Bergamo che nella vertenza
del Rondò ha buttato l'anima e molte albe ai cancelli,
facciamo un bilancio della vicenda dal punto di vista
sindacale. Prima di tutto ci sono quelle 120 tessere su 150
lavoratori. Un tasso di sindacalizzazione incredibile, per di
più in una cooperativa. Significa che il sindacato recluta
dove dimostra che serve. "Aldilà dell'interesse bruto per le
tessere, il sindacato dovrebbe valorizzare di più una vicenda
come questa del Rondò", dice Rota. La Filcams e la Cgil
lombarde sono state ricettive e sulla palla, ma questa storia
esemplare che lega insieme immigrati, cooperative e diritti
meritava una ribalta nazionale. "Da anni la Cgil in convegni e
congressi apre nuove stagioni dei diritti; però i diritti
bisogna farli, non dirli. E qui siamo riusciti a mettere un
pezzo di Statuto dei lavoratori in una cooperativa". Seconda
considerazione: "E' ora che gli immigrati entrino nella
struttura sindacale. Non basta che facciano i delegati. Devono
portare la loro esperienza e i loro bisogni dentro il
sindacato. Perché non ci si può occupare davvero delle cose
che si conoscono solo per sentito dire. Sulle ferie lunghe che
servono agli immigrati per tornare a casa io posso fare tutte
le vertenze che voglio con le aziende. Però non è la mia vita,
è la vita loro". Terza considerazione: "Se portiamo gli
immigrati dentro il sindacato, l'intera organizzazione si
vivacizza, è costretta a cambiare metodi e stile. Un esempio?
Avessi provato a raccontare a un lavoratore del Rondò il
caso Agostinelli, dopo tre minuti mi avrebbe mandato al
diavolo. La Cgil ci ha perso sopra due anni, bruciando energie
e mobilitando le sue migliori intelligenze. E s'è visto come è
finita".
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