da "Il Manifesto"

04 Febbraio 2001

Verona

DARWIN PASTORIN

Sono figlio di emigranti veronesi, nato in Brasile, per un certo verso extracomunitario. In più sono di sinistra: agli ultrà della curva gialloblù vorrei aggiungere di essere nero. Purtroppo non lo sono. La mia pelle è banalmente bianca, la stessa degli imbecilli che la domenica, allo stadio, insultano i giocatori di colore. Fanno "buu!" evidentemente pensando di avere uno specchio davanti al loro sguardo ottuso. A questa gente, vorrei raccontare una storia che mi appartiene. Perché, semplicemente, è la mia storia. Quella della mia famiglia. Tutto comincia con due ragazzi, nel dopo guerra: mio padre (di San Zeno) e mia madre (della Casa dei Ferrovieri, a Santa Lucia). Con loro c'è anche mio fratello maggiore, Lamberto, di un anno. Poco lavoro, pochi soldi, Verona distrutta dai bombardamenti. I due ragazzi, con quel bambino, decidono che bisogna partire, laggiù, dall'altra parte del mondo, in Brasile. Venti giorni di nave, tra paure e speranze, lacrime e abbracci, lettere cominciate e mai finite, la promessa, "torneremo". San Paolo non è Verona. San Paolo è immensa, attiva, disperata, con quelle case grandi chiamate grattaceli. San Paolo è una contraddizione permanente, miseria e nobiltà, lavoro e nostalgia. Mio padre e mia madre trovano conforto, soprattutto, dalla gente di colore. E' con loro, in quei giorni lunghi, che dividono il pane. Gli ex schiavi d'Africa conoscono il peso della fatica, di un addio, nel loro amore i miei genitori ritrovano l'amore dei loro cari, rimasti a Verona a inventarsi un presente. Nel quartiere Cambuci, i miei amici sono neri, ebrei e giapponesi. Abbiamo gli stessi sogni, gli stessi aquiloni, gli stessi stupori. Ci scambiamo giocattoli e sospiri, in quella colorata babele di lingue e dialetti. I miei genitori, veronesi, mi hanno sempre insegnato la tolleranza, il rispetto verso gli altri. In questi giorni, li vedo tristi. Ma sono sicuri: Verona non è questa, Verona ha riempito il mondo di figli suoi, come può essere razzista? Ma Verona deve dire basta, arrivare a non giocare: solo così può finire una vergogna, seppure di pochi. E a questi pochi vorrei ricordare che il più grande giocatore del secolo, Pelè, aveva la pelle nera e che il suo vice, Diego Armando Maradona, è nato in sobborgo povero di Buenos Aires e sembra uscito da un racconto di Borges.