da "Il Manifesto"

Una storia di apartheid

L'anno scorso in questo angolo di Spagna contro la comunità marocchina venne scatenato un vero e proprio pogrom. Oggi quei marocchini sono andati quasi tutti via. Chi è rimasto, e chi è arrivato da poco, vive nella paura. E lavora come schiavo nelle serre del "miracolo"

LIVIO QUAGLIATA - INVIATO A EL EJIDO (Spagna)

Loro insistono e decido di provare, quasi per gioco. Con il marocchino Abdel entro nel bar, chiedo due caffé. La risposta è no. Domando il perché. Quando due energumeni si alzano in fondo alla sala e vengono verso di noi, allora capisco che il gioco è finito. Siamo a El Ejido, Andalusia, Spagna, cinquantamila anime tra tristi casette nuove, molte banche, negozi di mobili finto Texas e un'infinita distesa di teli di plastica che dalle aride colline quasi tocca il mare. Qui, fino a pochi anni fa, tutto era arido, tutto era polvere e pietre. Ma da quando sotto quei teli si è capito che con acqua e sole si potevano produrre più frutta e ortaggi che in tutto il resto d'Europa, allora le cose sono cambiate. Acqua e sole. E marocchini, da pagare meno di 40 mila lire al giorno per 10/12 ore di lavoro duro. In nero. E questa è la prima caratteristica del paese. La seconda si chiama il febrero: il 5, 6 e 7 febbraio di un anno fa migliaia di spagnoli - al grido di "vamos a tomar los moros" - incendiarono, saccheggiarono e colpirono tutto ciò che fosse marocchino: case, negozi, bar, baracche, moschee, auto, sedi di associazioni. L'intera comunità era stata accusata e condannata per omicidio: la mattina del 5 un giovane marocchino aveva ucciso una ragazza spagnola. Per tre giorni la polizia stette a guardare, quando non prese parte alla "rivolta". Il parlamento europeo - erano i tempi delle sanzioni anti Haider - condannò timidamente "gli atti di razzismo". Sessanta i feriti, circa 500 le famiglie rimaste senza un tetto, 22 arresti equamente ripartiti tra spagnoli e marocchini. Il lunedì 7 gli immigrati scesero in sciopero, per una lunga settimana. Alla fine si raggiunse un accordo - indennizzi, case provvisorie, maggiori diritti. La realtà di oggi ci dice che poco o nulla di quanto concordato è stato effettivamente messo in pratica. Molti marocchini sono scappati, quelli rimasti e i nuovi arrivati hanno paura ad uscire di sera, non entrano nei bar, stanno ai margini, chiusi di notte nelle baracche ricostruite dopo gli incendi. E lavorano senza fiatare.