da "Il Manifesto"

27 Gennaio 2001

Memoria Rom

Si sono dati appuntamento in via Portico d'Ottavia. Erano almeno duecento rom e, partendo dalla sinagoga, volevano ricordare anche il loro sterminio, il Porrajmos, la distruzione, come lo chiamano in romanes. Insieme all'Opera Nomadi - e con l'adesione importante della Comunità ebraica, degli ex-deportati, dei partigiani e del Centro Pitigliani - hanno compiuto un percorso significativo fino a via degli Zingari per riallacciare fili di memorie ancora oggi divise e spezzate. Sul muro della strada dove "hanno abitato per più di 4 secoli", come ha ricordato il segretario dell'Opera Nomadi Massimo Converso, hanno apposto una lapide, "a perenne ricordo - si legge - dei rom, sinti e camminanti che insieme agli ebrei perirono nei campi di sterminio ad opera della barbarie genocida del nazifascismo". Sono arrivati in corteo, davanti la polizia, poi le fisarmoniche e le bandiere, serba, rumena, croata e rom. I bambini, tantissimi, trasportavano la ruota di legno, simbolo di un popolo che ha viaggiato per secoli. Con loro anche il circolo di cultura omosessuale Mario Mieli che distribuiva volantini rosa contro il nazifascismo di ogni tempo. Tutti hanno ascoltato in silenzio, attenti, l'assessore Gianni Borgna che ricordava "i bambini di Auschwitz e l'immensa tragedia del popolo zingaro analoga, in ogni senso, a quella ebraica". Poi hanno parlato anche loro, ricordando che muoiono ancora, nei campi sosta di tutta l'Europa. Jon Bambaloj, rumeno, ha detto che ha senso ricordare "perché siamo ancora vittime. Come nel mio paese dove Vadim Tudor, se avesse vinto, ci avrebbe annullati, o in Bosnia e in Kosovo, dove risultano 900 quelli spariti". Rusi Salkanovic ha raccontato la storia di suo padre, rinchiuso in un campo di internamento fascista ad Ancona. Rom e sinti, ieri pomeriggio, sono stati ricordati anche in via Tasso, nelle parole della ministra Melandri che ha inaugurato la nuova sala del Museo dedicata alla persecuzione degli ebrei romani. In una stanza tanto affollata da non respirare - in prima fila anche Veltroni e Tullia Zevi - alcuni dal pubblico hanno contestato la presenza di Maurizio Gasparri: "mio padre è stato torturato dai fascisti e quindi qui non la vogliamo - gli hanno urlato - rabbia e ferite sono dentro di noi". Alla richiesta di "quella tolleranza democratica che abbiamo portato avanti per mezzo secolo" gli animi si sono sedati. Gasparri, alla fine, è rimasto, ma in piedi, ad ascoltare i racconti degli ex deportati nel film della Shoah Foundation, che riempivano le ex celle del carcere nazista. (giovanna boursier)