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Giornata europea per i diritti dei migranti. La comunità protetta di Torino
Nella «casa» dei minori sfruttati
Viaggio nella struttura «chiusa» di Porta Palazzo. Unica nel suo genere in Italia, dalla primavera scorsa accoglie ragazzi immigrati tolti dalla strada. Nato per rimpatriare i giovani, il centro ha perso la sua funzione iniziale, diventando quasi una comunità d'accoglienza. Eppure costa il doppio
TIZIANA BARRUCCI
TORINO
Che fine ha fatto la comunità protetta per minori stranieri non accompagnati di via La Salle? Smorzati i toni della polemica che vedeva il mondo dell'associazionismo torinese opporsi al progetto di rinchiudere un ragazzino per due mesi in attesa di rimandarlo nel suo paese d'origine, il centro è ancora lì, nel bel mezzo di Porta Palazzo, il quartiere a più alta densità di immigrati dell'intera città. A otto mesi dalla sua apertura, oggi il clima è più sereno, anche se i molti dubbi sull'utilità e sugli obiettivi della struttura - unica nel suo genere in Italia - non si sono ancora del tutto sciolti. Forse anche per questo il coordinatore - il nome preferisce non renderlo pubblico - è ben contento di aprire le porte al manifesto «perché così vedete come lavoriamo e possiamo confrontarci senza pregiudizi».
Vite sospese
Quindi trascorriamo con gli otto giovani ospiti - la comunità in questo momento è al completo - un'intera mattinata, pranziamo e scambiamo battute con loro. Sono in prevalenza marocchini, ma ci sono anche tre rumeni, tra cui una ragazza. Parlano quasi tutti l'italiano e hanno voglia di chiacchierare, un modo come un altro per rompere la quotidianità di una delle tante giornate passate tra queste camere, senza poter uscire se non accompagnati, aspettando che qualcuno decida del proprio futuro. Solo quando chiediamo loro cosa facevano in Italia si ammutoliscono. «Nulla», rispondono quasi all'unisono, abbassando gli occhi. La paura di raccontare che rubavano portafogli o spacciavano è troppo grande, soprattutto per i rischi che comporterebbe per loro un'eventuale denuncia degli sfruttatori. Sul futuro qualcuno ha le idee chiare: «Vorrei andare a scuola», spiega un giovanotto in tuta. Il suo sguardo è triste, ma ammette che ci si può accontentare di stare qui perché «fuori fa freddo», dice indicando i fiocchi di neve che imbiancano i tetti dei palazzi. Soltanto un ragazzo trova il coraggio di borbottare «voglio andare via». «Ma è normale, è qui solo da una settimana - spiega il responsabile - tra un po' starà meglio». La tv e lo stereo sono accesi, unico palliativo per combattere la noia di questa esistenza sospesa.
La trattativa privata tra il comune e l'ente che gestisce il centro - la cooperativa Merchor del consorzio Ics (Imprese cooperative sociali) - prevede un soggiorno di massimo 60 giorni. Ma alcuni di questi ragazzi stanno ormai qui da quattro-cinque mesi. «Le procedure burocratiche sono lunghe», spiega il coordinatore facendo riferimento ai tempi necessari per ottenere da Roma il parere del Comitato minori stranieri, l'organo interministeriale che dispone gli eventuali rimpatri assistiti degli under 18.
Così i giovani ladruncoli sfruttati dai loro connazionali adulti aspettano. E girando per i 350 metri quadrati ricoperti da parquet, fra tutte le cose che un visitatore esterno potrebbe raccontare, quella che più colpisce è la mancanza per questi giovani ospiti di qualsiasi attività educativa, scolastica e culturale. «E' vero, ma sono di passaggio, come possiamo organizzare programmi di lungo periodo?», si domanda il nostro cicerone. L'unica possibilità che resta è quella di organizzare qualche gita, una puntatina in piscina o in palestra in attesa che qualcun altro decida se il minore deve essere rimandato nel paese d'origine.
Troppi soldi per nulla
In sostanza oggi il centro di via La Salle funziona quasi come una normale comunità. E questo nonostante costi all'amministrazione comunale circa il doppio di una struttura d'accoglienza ordinaria: ben 468mila euro l'anno. Tanti soldi, troppi se si pensa che pur mantenendo il suo carattere detentivo e le dichiarate finalità di rimpatrio nei confronti dei minori non accompagnati, il centro sembra ormai avere fortemente ridimensionato i suoi obiettivi iniziali. Se è vero che la percentuale di fughe è più bassa della norma, è pur vero che essa è comunque consistente, lasciando immaginare un livello di coazione piuttosto modesto. «Dal maggio al dicembre 2003 sono passati per il centro 75 minori - spiega Laura Marzin, responsabile dell'ufficio minori stranieri del comune di Torino - in maggioranza rumeni e marocchini. Di questi 38 sono scappati e 6 hanno usufruito del rimpatrio assistito».
Pochi rientri nei paesi d'origine, molte fughe, nessun piano di reinserimento, giovani che bivaccano tra una sedia e una poltrona: a conti fatti la creazione della comunità protetta si rivela più che altro un'operazione politica. Ne è convinto Giovanni Amedura del tavolo migranti del capoluogo piemontese. «Si tratta di uno specchietto per le allodole. L'amministrazione locale doveva dimostrare di sapere affrontare in maniera decisa la questione della microcriminalità dopo l'impennata di piccoli borseggi nel natale 2002. Ora l'emergenza è finita e anche la struttura si sposterà in una zona più tranquilla». Gli fa eco Elena Rozzi, rappresentante di Save the children: «I soldi investiti in questo centro si sarebbero potuti destinare a progetti di educazione di strada, in modo da promuovere un reale percorso di recupero e reinserimento. Il comune ha invece scelto la via della repressione, che non ha portato nessun risultato». Il mondo dell'associazionismo sabaudo mantiene intatte tutte le riserve avanzate al momento dell'uscita del bando di concorso. «Non è un caso che, delle 41 associazioni invitate a partecipare alla gara, solo l'Ics abbia dato la propria disponibilità», conclude Rozzi.
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