il manifesto - 22 Gennaio 2004
Infibulazione morbida per le straniere
Un ginecologo dell'ospedale Careggi di Firenze propone un rituale alternativo e simbolico a una delle più diffuse mutilazioni genitali femminili. La Regione Toscana chiede il parere dell'ordine dei medici e del comitato di bioetica
RICCARDO CHIARI
FIRENZE
La conferenza stampa ufficiale insieme alla commissione pari opportunità è prevista per oggi a mezzogiorno in palazzo Panciatichi. Ma già ieri pomeriggio le immigrate cittadine di Firenze affollavano una saletta del consiglio regionale. Donne somale, eritree, senegalesi, capoverdiane e ivoriane. Tutte infibulate. Da paesi diversi, con un pensiero solo: «L'infibulazione alternativa proposta del dottor Omar Abdulcadir è inaccettabile. Rappresenta sempre e comunque l'avallo simbolico di una pratica aberrante che deve essere cancellata, e che può esserlo solo facendo una prevenzione, capillare e costante, attraverso l'informazione». Parole senz'appello, che per loro chiudono sul nascere la discussione aperta dal Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili e dal suo responsabile, il ginecologo Abdulcadir.

Dal centro fiorentino, allestito nell'azienda ospedaliera di Careggi all'interno della clinica ostetrica e ginecologica, il medico somalo ha avanzato a regione Toscana e ordine dei medici una proposta. Un'alternativa «rituale» all'infibulazione. Grazie ad una pomata anestetica, e poi una puntura di spillo sulla clitoride per far uscire qualche goccia di sangue. Abdlucadir dirige un centro unico in Italia per la prevenzione e la cura delle mutilazioni genitali femminili. Dai suoi ambulatori passano in media, anche se l'attività non è mai stata monitorata puntualmente, dalle quattrocento alle cinquecento donne ogni anno. Tutte per complicazioni dovute a mutilazioni genitali. «Se con il rito alternativo riuscirò a salvare anche solo una donna - spiega - avrò vinto una battaglia».

Gli risponde a distanza la somala Ghanu Adam: «Le donne come me sono sfuggite ai fucili della guerra in Somalia, ma non alle mammane dell'infibulazione. Oggi viviamo in Italia, in un paese civile. E non vogliamo che di quel rito resti qualcosa. Nemmeno il simbolo, perché alle nostre figlie insegniamo che non si deve fare e basta».

Ora parla la senegalese Diye Ndaye: «I capi delle nostre comunità hanno firmato un accordo sul progetto alternativo con il dottor Abdulcadir. Lo hanno fatto senza sentire il nostro parere. Se ci avessero sentito, avremmo detto di no ed avremmo spiegato il perché». Proprio la lettera inviata dai rappresentanti delle comunità africane per promuovere la proposta ha scatenato il caso. L'associazione Nosotras che riunisce molte immigrate in Toscana è insorta. Lo stesso ha fatto l'Aidos di Roma, associazione italiana donne per lo sviluppo. La proposta è arrivata anche al comitato di bioetica della regione Toscana. «Quello fatto dal centro di Careggi è uno sforzo lodevole - osserva il medico senese Mauro Barni, che guida il comitato - ma credo che da parte nostra non sarebbe corretto accettare dei surrogati di una ritualità incivile. Attraverso la procedura alternativa ammetteremmo un principio sbagliato». L'assessore regionale al diritto alla salute, Enrico Rossi, si fida del parere del comitato: «Comunque sia, è giusto che si discuta senza preconcetti» .

Insieme alle immigrate in palazzo Panciatichi ci sono anche le consigliere regionali diessine Marisa Nicchi e Alessia Petraglia, Mara Baronti della commissione pari opportunità e l'assessore comunale all'immigrazione Marzia Monciatti. «L'infibulazione alternativa non può passare come una pratica di riduzione del danno - spiega Nicchi - perché non può essere autogestita da un minore. Una bambina subisce comunque un rito che la pone in uno stato di sudditanza psicologica». Da parte sua, Alessia Petraglia osserva: «L'unica alternativa è quella di continuare la battaglia contro le mutilazioni genitali, al fianco delle tante donne che nei loro paesi sono in prima linea, in solitudine. E la regione Toscana può e deve fare di più». Chiude Marzia Monciatti: «E' necessario creare che coinvolga gli enti locali, le scuole, i medici di base e gli ospedali. Solo sconfiggendo l'ignoranza si sconfiggono le mutilazioni, non certo trasformandole in un rituale».