il manifesto - 25 Febbraio 2004
La casa brucia
Riesplodono gli affitti e con essi la questione delle abitazioni. Viaggio nell'inferno «domestico», a partire dal girone più marginale: gli inquilini. E dalle opposte storie di un agente immobiliare e un agente di viaggio
ROBERTA CARLINI
Il signor Loris Spronelli da Cesena - studi da perito chimico, carriera da agente immobiliare - nel 1997 ha un'intuizione. L'equo canone è finito da un pezzo, la corsa all'acquisto della casa di tutti gli anni `80 ha portato al picco dei prezzi del `91, l'inflazione cala, l'economia è in pre-boom, un po' di gente prende a muoversi per lavoro o necessità. Il signor Spronelli si inventa un'agenzia immobiliare dedicata esclusivamente agli affitti di abitazioni, negozi e uffici: un'agenzia centrata sull'affare più piccolo, fino ad allora considerato marginale nel business delle agenzie immobiliari. «Solo affitti», si chiama. Poi da quell'agenzia ne nasce un'altra, poi un'altra ancora; la cosa funziona, quel gruppetto diventa una rete in franchising, il marchio si diffonde. Si svolta il secolo, il mercato immobiliare riprende a correre, Osama bin Laden (un costruttore) ci mette del suo facendo crollare con le Due Torri le borse e l'economia finanziaria, tutto quel che segue da Enron a Parmalat butta nello sconforto le borse e valorizza il mattone. Il business Spronelli - nel frattempo sbarcato su internet, allargatosi in tutt'Italia e guidato dalla giovane figlia di Loris, Silvia - si impenna: 150 agenzie, circa 20mila contratti all'anno, solo 20 dipendenti diretti. Il signor Domenico Telesa da Roma è anch'egli un agente. Ma - purtroppo per lui - di viaggio. Ha una piccola agenzia in un quartiere romano, Montesacro. Per lui l'11 settembre è l'inizio della crisi. Si riduce il lavoro, la gente viaggia meno, le compagnie aeree tagliano le commissioni. Insomma, Telesa ha difficoltà a chiudere i bilanci e pagare l'affitto di casa. Già, purtroppo per lui è in affitto, ed è un single per di più. Categoria a rischio, di quelle da «estinzione del ceto medio». Il signor Telesa è anche uno dei beneficiari di quel buono casa che il governo sta smantellando (v. articolo in basso): 250 € al mese, su 750 di affitto, è una sommetta assai utile. «Finché dura», ci dice il signor Domenico, contando anche sul fatto che i suoi affari - prima o poi - si risolleveranno: «Chissà, cerco di non essere pessimista. Intanto, niente più pranzi e cene fuori. In attesa che i tempi cambino. Che dice, miglioreranno?».

Due agenti, due attività economiche, due storie diverse. Si incrociano laddove il bisogno dell'uno diventa l'investimento dell'altro: la casa. O meglio, l'affitto: quel satellite del pianeta casa a lungo dimenticato, nel paese in cui il 71,1% delle famiglie vive in abitazioni di proprietà. Abbiamo la più alta percentuale di proprietari di case d'Europa: ma resta, pur piccola, la quota di chi la casa di proprietà non ce l'ha. 20 famiglie su 100 nella media nazionale, 30 su 100 nelle grandi aree urbane: 4.200.000 famiglie al centro di un mercato impazzito, gonfiato da una bolla speculativa che impoverisce chi è «dentro» e chiude fuori tutti gli altri, tutti coloro che non possono permettersi l'ingresso ai prezzi correnti. Su quel satellite sta per deflagrare la nuova emergenza casa: meno organizzata e classificabile di quella degli anni `70, più pervasiva e pericolosa perché legata a tutte le altre precarietà del 2000. Un'emergenza «residuale» ma non per questo piccola, ragiona Francesco Toso, ricercatore del Cresme (centro di studi e ricerche del campo immobiliare): il quale denuncia anzi l'emersione di «una nuova questione casa», conseguente alla «marginalità sociale e politica del disagio».

Porco canone

Che gli affitti siano alle stelle non è una notizia. Pure, quando si guarda ai dati statistici ufficiali si ha un quadro serio ma non ancora drammatico. Nella media del 2002 - stima il Cresme - l'affitto medio in Italia era di 400-450 € al mese. Se si dà uno sguardo alla cartina pubblicata in questa pagina, si vede che i dati che emergono dalla ricerca Sunia-Cgil per le grandi aree urbane sono molto più alti, a volte il doppio. La differenza è presto spiegata. In primo luogo, nella media nazionale dei canoni rientra anche quella parte del patrimonio abitativo che è di proprietà pubblica: il 19,7% del totale (poco più di 1 milione di famiglie). Qui i livelli degli affitti sono al di sotto del mercato e questo abbassa la media. Ma accedere al patrimonio abitativo pubblico, in questi tempi di tagli ai comuni e cartolarizzazioni, è difficilissimo: l'ultimo dato dell'Anci parla di 10.457 domande soddisfatte nei programmi Erp (Edilizia residenziale pubblica) su 131.712 richieste presentate, in un anno. Per chi resta fuori, c'è solo il vasto maare del mercato. Nel quale i prezzi sono quelli rilevati dalla ricerca Sunia-Cgil con un'indagine fatta in base alle inserzioni sui giornali: insomma, quelli della cartina soni i prezzi dell'offerta, ma il contratto finale - purtroppo - di solito non si discosta molto dal livello proposto dal proprietario.

Come si vede, sono cifre altissime. Proviamo a scomporle: a Roma la media di 1.061 € e rotti deriva da un canone sui 748 € per la periferia, 985 € per il semicentro e 1.574 € per il centro. A Milano, il valore al centro sale a 1.875 €. A Firenze e a Genova invece è il semicentro ad avere i canoni più alti: 1.207 € contro i 1.031 del centro nel capoluogo toscano, 834 € contro 794 nella città della Lanterna. Per farla breve: le famiglie che guadagnano meno di 20.000 euro netti all'anno non possono permettersi di affittare una casa nelle grandi aree metropolitane, conclude il Sunia-Cgil. Dunque, un operaio di terzo livello anche con assegni familiari (sotto i 1.000 € al mese) è fuori; se la sua compagna lavora e ha uno stipendio simile, possono permettersi l'affitto devolvendo ad esso l'intera busta paga di uno dei due. E mentre le «famiglie» stanno in questo costosissimo purgatorio, per i single si aprono le porte dell'inferno: 580 € al mese in media per un monolocale è una cifra che potrebbe spingere anche il più ostinato degli scapoloni - e la più felice delle zitelle - a «farsi una famiglia», purché bireddito.

Casa & famiglia

Questo della famiglia è un punto cruciale della questione affitti. Intanto, è l'unità statistica: i dati ai quali ci siamo riferiti finora parlano di «famiglie in proprietà», «famiglie in affitto», reddito familiare, eccetera. Sotto i numeri, possono nascondersi diverse realtà: ad esempio una «famiglia in proprietà» con due figli piccoli è (di solito) una scelta, una famiglia proprietaria con due figli ultradiciottenni ancora chiusi tra le mura di mamma e papà assomiglia di più a una costrizione. E ancora: aumentano separazioni e single. In dieci anni la popolazione italiana è rimasta più o meno stabile mentre il numero delle famiglie cresceva da 19.909.003 a 21.810.676: è diminuito il numero medio dei componenti, è aumentata la quota delle persone che vivono da sole, molte delle quali anziane. L'aumento dei nuclei familiari spiega perché, nonostante la stabilità demografica, la pressione sul mercato delle case sia molto forte.

Ma non è solo il cambiamento delle famiglie a spiegare quello che il Cresme definisce il «paradosso apparente» delle locazioni, ossia il fatto che, mentre si spostano continuamente famiglie dall'affitto alla proprietà, la richiesta di alloggi in locazione resta altissima (oltre 1 milione di contratti l'anno) e alti restano anche i canoni. Il «paradosso» è spiegato anche con l'arrivo degli immigrati e con un normale meccanismo di «travaso» dal mercato comunicante, quello delle compravendite: molti comprano per investire, il canone è la misura del rendimento dell'investimento, con il salire dei prezzi delle case cresce anche il rendimento atteso.

Ecco dunque ricomposti, nel puzzle degli affitti, i ritratti dei protagonisti: giovani costretti in famiglia, single, separati, anziani soli, stranieri, lavoratori fuori sede. Non è «una categoria», non è la famiglia operaia numerosa bisognosa di casa popolare. Ma non per questo non soffre, e non farà scoppiare prima o poi la pentola a pressione.

Solo business

La stessa realtà può essere raccontata dal punto di vista del «ramo business». Silvia Spronelli, 35 anni, studi in giurisprudenza, racconta l'ascesa, dal lontano `97, della rete «Solo affitti» della quale ora è il capo. «Su circa 1 milione di contratti all'anno, calcolammo che la provvigione potenziale per le agenzie era un mercato di 2.000 miliardi, parlando in vecchie lire». Detto, fatto. La famiglia si accorse che l'idea era giusta, la mise in franchising, provvide gli affiliati di corsi di formazione base, contratti e fideiussioni tipo, regole generali, assistenza legale e garanzie «affitto sicuro». Adesso con le sue 150 agenzie il piccolo impero Spronelli è un buon punto di osservazione sul mercato. «La metà dei contratti che stipuliamo sono con la formula del `4 più 4', l'altra metà sono transitori, tre anni più due, o anche meno: come nel caso dell'affitto a studenti, ad esempio», racconta Silvia Spronelli. Che descrive così il cliente tipo: studenti, lavoratori trasfertisti, giovani che vanno a convivere. Solo per il 20% «famiglie tradizionali». La garanzia per il proprietario è nel documento chiave che si chiede all'inquilino: la busta paga (il Co.co.co. non è escluso a priori, ma si valuta il peso del contratto). «Il canone non deve superare il 50% del reddito netto dell'inquilino», è la regola. E già è tanto. E se supera? «E' ammesso l'intervento di un co-obbligato»: papà o mamma, spesso (rieccola, la famiglia tradizionale). E gli stranieri? Ammessi, se con permesso di soggiorno e «se assistiti dalla firma di un cittadino italiano». Un'assistenza di razza, che neanche le banche, per i loro mutui, chiedono. Ma questo sarà argomento di una prossima puntata.

(1/continua)