Qui è diverso . In Italia ci sono alcune
differenze che "rendono meno probabile che anche nelle
nostre periferie possano succedere fatti di questo tipo.
Ma se si comincia a dire che anche da noi può accadere
allora si introduce questa possibilità nello sguardo di
persone che non ci avrebbero mai pensato".
Questo è il commento al Sir del sociologo Mario
Pollo, docente all'Ateneo Salesiano di Roma, sulle
violenze nelle periferie parigine di questi giorni. "Non
è un fenomeno del tutto inatteso – osserva Pollo – nella
banlieue parigina c'era già stato un prodromo
di questo tipo prima dei mondiali in Corea (2002, ndr),
quindi dietro c'è stato un periodo di incubazione" a suo
avviso il fenomeno "indubbiamente ha carattere globale e
si inscrive nella perdita del legame delle persone con
il territorio che abitano": "Prima in una generazione o
due avveniva l'integrazione, oggi le persone continuano
a non sentirsi appartenenti al territorio in cui vivono
ma a comunità di sentimento disegnate dai media
elettronici, dalla tv satellitare. Così le persone
rimangono legate alla patria di origine in modo del
tutto irrealistico, con sentimenti di appartenenza
amplificati in senso positivo e negativo". Questo
fenomeno tocca gli immigrati di tutto il mondo, compresa
l'Italia. "Ma da noi – precisa Pollo – c'è una minore
omogeneità dei gruppi di immigrati. Mentre la Francia,
per la sua storia, è caratterizzata da ampie aree di
maghrebini, qui la situazione è molto più diversificata.
In più non abbiamo megalopoli, con dieci milioni di
abitanti, come Parigi, ma strutture urbane più
contenute. In Italia c'è anche una maggiore capacità di
tollerare e assorbire le diversità culturali, salvo
alcune zone di alta fobia. E da noi non si propone una
integrazione intorno a valori forti, ad esempio la
laicità dello Stato, come avviene in Francia". Pollo non
vede in Italia nemmeno l'espressione di una "rabbia così
cruda". "C'è un tipo di rabbia che tocca alcune frange
giovanili, ma viene indirizzata verso comportamenti
devianti o autodistruttivi. Si esprime in contesti più
particolari e ci sono organismi e realtà sociali che
lavorano e riescono a canalizzare i motivi di disagio in
un modo più evolutivo". Anche gli episodi avvenuti di
recente a Roma, i motorini bruciati ad esempio, "erano
gesti individuali e di diverso tipo", il cui obiettivo
era di uscire dall'anonimato per diventare protagonisti,
visto che oggi sembra esistere solo ciò che appare sui
media".
Meglio vigilare. "Milano non é Parigi. Ma
occorre vigilare su alcune emergenze sociali che
caratterizzano il capoluogo lombardo". Francesca
Zajczyk, docente di sociologia urbana all'Università
degli Studi di Milano-Bicocca, è considerata uno dei
massimi studiosi della realtà milanese. "Certo oggi la
situazione di Milano non è paragonabile a quella delle
città francesi – spiega la sociologa al Sir -, le
banlieues parigine, ad esempio, hanno una
presenza di immigrati molto superiore alla nostra assai
più concentrata. In Francia la segregazione territoriale
e sociale vanno di pari passo: folle schiere di
immigrati sono ai margini del mondo del lavoro e della
scuola. Ma ciò che spiega ancor meglio l'unicità di
quella situazione è il fatto che la ghettizzazione
riguarda immigrati di seconda generazione, i quali
sperimentano la disillusione, la fine del sogno di
integrazione e di benessere". A Milano "sono immigrati
di prima generazione, spesso giunti da poco nel nostro
paese. Per loro il sogno italiano resiste ancora. Va
detto, inoltre, che la presenza straniera è più
distribuita sul territorio. Questo mix sociale tende
dunque a ridurre o a stemperare la marginalità e svolge
un ruolo di ammortizzatore del disagio". Detto ciò,
"occorre stare attenti, perché le vicende francesi
possono allargarsi ad altri paesi e magari giungere, per
un effetto emulativo, anche da noi".
Zajczyk segnala ancora due fenomeni. Il primo
riguarda l'integrazione culturale: "La scuola è un luogo
importante per l'integrazione. Qui occorre attuare una
seria educazione al multiculturalismo e alla convivenza,
che sono sempre ben recepiti dai bambini". La seconda
osservazione tocca il mondo della terza età: "Tanti
anziani vivono nelle vecchie case e nei quartieri
popolari, che oggi sono spesso abitati anche da
immigrati. Ebbene, la convivenza non è sempre facile,
perché le persone di una certa età sono più intimorite,
fanno fatica a superare la barriera della convivenza con
lo straniero e spesso sono soggetti alle paure trasmesse
dai mass media. I rapporti possono farsi difficili ed è
necessario essere presenti con serie politiche di
integrazione".
(Migranti press n°46)
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