Ruolo della Chiesa italiana nell’assistenza ai migranti

Fondazione Migrantes

 

Da quando l’emigrazione italiana nella seconda metà del secolo scorso è diventato fenomeno di massa, sotto la spinta di acute e spesso drammatiche situazioni di povertà, ha cominciato a prendere forma stabile, strutturata e capillare anche il servizio della Chiesa che è in Italia sul fronte delle migrazioni. Il flusso migratorio italiano è rientrato da qualche tempo dentro l’alveo piuttosto fisiologico di alcune decine di migliaia di espatri e rimpatri annui, ma la presenza italiana all’estero e, di conseguenza, anche la presenza della Chiesa italiana rimane tuttora di grande attualità non solo perché gli italiani sparsi nel mondo di prima e successive generazioni si contano a milioni, ma pure per il fatto che questo contingente italiano all’estero è anche oggi alimentato da un silenzioso ma non insignificante flusso di espatrio anche per motivi di lavoro.

Negli ultimi decenni a questi esodi dall’Italia si è sovrapposto, fino a diventare prevalente, il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria nella nostra penisola, in particolare dai paesi in via di sviluppo, un fenomeno che si è fatto di anno in anno sempre più consistente e che è destinato, secondo le più serie previsioni, a svilupparsi notevolmente nel nuovo secolo in Italia, in Europa occidentale e in altre parti del mondo. Con l’immigrazione propriamente detta scorre parallelo, soprattutto in questo ultimo decennio, e più spesso si mescola e si confonde, il flusso di coloro che sono costretti a lasciare la loro terra afflitta da persecuzioni, disordini e guerre civili, rivolgendo domanda di asilo o di protezione umanitaria al nostro paese.

L’emigrazione degli italiani verso l’estero e l’immigrazione extracomunitaria sono in Italia le due componenti principali della mobilità. Il quadro del servizio della Chiesa in questo vasto mondo della mobilità non sarebbe completo se non si aggiungessero altre categorie di gente che per genere di vita o per occupazione non è sedentaria, come i Rom e Sinti, abitualmente chiamati zingari, i fieranti e circensi, i marittimi e quanti sono addetti anche in terraferma al traffico via mare o aeroportuale.

 

Principi ispiratori del servizio della Chiesa ai migranti

Prima di scendere nei particolari riguardanti i singoli settori della mobilità umana, è importante precisare quali siano i criteri generali che ispirano la "visione cristiana" del migrante e in quali direzioni si porti il servizio della Chiesa verso i medesimi. Premesso che, secondo la felice espressione di Giovanni Paolo II, "l’uomo è via alla Chiesa" e che la Chiesa stessa, nella misura in cui rimane fedele alla sua missione è "esperta in umanità", ne deriva che questa missione della Chiesa verso l’uomo, anche l’uomo migrante, va nelle duplice direzione della "evangelizzazione e promozione umana", binomio che ha come equivalente "evangelizzazione e testimonianza della carità". La promozione umana in campo migratorio segue due principali direttrici che talora si susseguono cronologicamente, altre volte corrono parallele o addirittura si intersecano tra loro: quella che vede le migrazioni sotto il prevalente profilo della povertà, della sofferenza, della precarietà, e quella che evidenzia gli aspetti positivi, le ricche potenzialità e risorse di cui le migrazioni possono essere portatrici. Sulla prime direzione si incontrano gli interventi di prima accoglienza, quasi di pronto soccorso per le tante emergenze che si susseguono a ritmo incalzante, sull’altra direttrice degli interventi di seconda accoglienza che accompagnano il progressivo inserimento del migrante nel nuovo contesto socio-culturale fino alla piena integrazione.

In questo campo delle migrazioni la Chiesa, in base ai suoi principi e in base alla sua lunga esperienza, ha ormai elaborato un corpo di dottrine e di orientamenti operativi, che costituiscono un importante capitolo della sua Dottrina sociale. Esso riguarda i diritti fondamentali della persona migrante, il diritto sia a emigrare che a rimanere nella propria patria, le cause profonde che inducono oggi a espatriare, in particolare gli squilibri socio-economici fra le varie parti del mondo, un’equa valutazione sull’immigrazione anche irregolare e clandestina, la necessità di una politica migratoria nazionale e internazionale, la formazione della mentalità e delle coscienze, il doveroso processo integrativo che eviti da una parte l’emarginazione dall’altra l’assorbimento poco riguardoso delle identità individuali ed etniche, la tutela dell’unità familiare, il coraggio di affrontare i problemi connessi col costituirsi di una società multietnica e multiculturale.

 

L’emigrazione italiana verso l’estero

C’è sufficiente documentazione, a partire dal 1876, a ridosso dell’appena costituita unità d’Italia, al 1976 - quando i rimpatri hanno cominciato a superare gli espatri - per calcolare che nell’arco di un secolo sono emigrati 25.800.000 italiani, dei quali poco più della metà ha fatto prima o poi ritorno definitivo nella madrepatria; una cifra che pecca certamente di difetto per vari motivi, in primo luogo perché non tiene conto dell’emigrazione clandestina o che comunque si realizzava sfuggendo ai controlli ufficiali, in secondo luogo perché non considera quella avvenuta prima del 1876 o dopo il 1976. Allargando il computo a tutto questo tempo, gli espatri vengono certamente a superare i trenta milioni.

È ormai costume dividere i cent’anni di emigrazione in tre periodi: il quarantennio dal 1876 alla vigilia della prima guerra mondiale, che passa alla storia come il periodo della "grande emigrazione" infatti conobbe l’espatrio di 14 milioni di italiani con una media che sfiora le 400.000 unità e la punta massima di 872.000 nel 1913. Una fuga incontrollabile, una vera e propria emorragia di sangue italiano dovuta alla grave depressione economica di tante regioni d’Italia dopo la raggiunta unità nazionale. "O migranti o briganti", "o emigrare o rubare" era il motto che circolava tra la povera gente e veniva ripetuto da qualche personalità di spicco in campo politico o religioso.

Segue il ventennio tra le due grandi guerre, un periodo che nonostante politiche restrittive ha registrato 4.300.000 espatri, con la novità che come paesi di destinazione cominciano a prevalere quelli europei su quelli oltreoceano. Nel secondo dopoguerra riprende subito l’esodo che porta fuori d’Italia fino al 1976 altri 7.500.000 italiani: in questo trentennio, che all’inizio ha visto la ripresa verso i classici sbocchi dell’America, compreso il Canada e il Venezuela nonché l’Australia, diventa in seguito quasi esclusiva la destinazione europea, in particolare verso la Francia, il Belgio, l’Inghilterra e ancor più verso la Svizzera e la Germania. Un calcolo approssimativo fa concludere che dal 1976 a oggi sono espatriate per motivi di lavoro e di famiglia almeno altri 1.500.000 persone, che pertanto portano a nove milioni i connazionali usciti dall’Italia nella seconda metà del secolo appena concluso. Non va dimenticato che nel trentennio del dopoguerra altri quattro milioni di italiani si spostarono in via definitiva dal Sud ad altre regioni d’Italia, soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale del Nord.

All’inizio della grande emigrazione lo stato fu quasi assolutamente assente; qualche disposizione "poliziesca", ma nessun controllo sui flussi e sui sistemi di trasporto, nessuna presenza di aiuto nelle terre di immigrazione; in questa anarchia cominciarono a spadroneggiare gli "agenti di emigrazione" privati, veri "mercanti di carne umana" la cui attività fu di fatto legalizzata con la prima legge sull’emigrazione del 1888. È in questo contesto che prendono rilievo i pionieri dell’azione ecclesiale, a partire dall’opera di San Vincenzo Pallotti a Londra e dei missionari inviati da San Giovanni Bosco in Argentina. Ma i grandi protagonisti di questa grande opera furono Santa Francesca Saverio Cabrini, fondatrice di un apposito istituto di suore per l’assistenza agli italiani nelle Americhe e il Beato Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, che fece instancabile opera di sensibilizzazione e mobilitazione della società e della Chiesa italiana su questo grave fenomeno di cui quasi ovunque si ignoravano perfino le dimensioni; quindi fondò anch’egli due istituti missionari, maschile e femminile, per assicurare questa presenza di Chiesa nell’America del Nord e del Sud e vi affiancò la Società San Raffaele costituita da laici impegnati a essere presenti fra i migranti soprattutto nei porti d’imbarco e di sbarco. A Scalabrini si affiancò il Vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, che si prese cura degli emigrati italiani in Europa. Primo impegno di questi pionieri era di assicurare a questi migranti cattolici un minimo di assistenza religiosa e pertanto di costituire per loro parrocchie nazionali, missioni, centri pastorali, missioni volanti così da raggiungerne il maggior numero possibile. A queste iniziative "religiose" erano inscindibilmente unite quelle assistenziali e promozionali, che riguardavano particolarmente l’istruzione, la salute, la difesa legale e spesso la stessa organizzazione civile di queste comunità che si insediavano anche in aree quasi del tutto disabitate. Più tardi la Chiesa in Italia sollecitò e organizzò in modo molto efficace anche l’intervento del clero diocesano. Simile presenza, con i necessari adattamenti dovuti alle mutate condizioni sociali, è continuata anche nelle fasi successive dell’emigrazione e perdura ancora ai nostri giorni in modo consistente ed efficace. Basti dire che solo in Europa sono ancora aperte 230 Missioni cattoliche dove in favore dei nostri connazionali sono impegnati 250 missionari, 200 suore e una settantina di operatori laici.

 

Immigrazione in Italia

Ricca di questa esperienza con gli italiani all’estero la Chiesa in Italia si è mossa fin da principio per un servizio, il più possibile completo, sul piano strettamente pastorale e socio-assistenziale, tra gli immigrati che dalla fine degli anni Settanta hanno cominciato a penetrare in forma massiccia, e per lo più convulsa e irregolare, in Italia. La Chiesa in Italia già ai primissimi inizi di questo movimento immigratorio fu presente con importanti documenti e con interventi di accoglienza che si ramificarono su tutto il territorio in modo capillare con centinaia di centri di assistenza. Va precisato che l’impegno della Chiesa non si rivolge solo agli immigrati, ma alla società italiana in genere perché assuma atteggiamenti di comprensione e di accoglienza; va anche alle pubbliche istituzioni perché sul piano legislativo e amministrativo facciano la loro parte.

 

Altre forme di mobilità

Circensi e lunaparkisti e in genere la gente dello spettacolo viaggiante, Rom e Sinti comunemente denominati zingari, addetti alla navigazione in mare e aerea: si tratta di categorie di persone che, vivendo e operando nel continuo movimento, sollecitano la Chiesa a specifiche presenze di carattere pastorale. È difficile che questa gente, anche se cattolica, proprio per la mobilità che la caratterizza, sia oggetto di particolare attenzione da parte delle Chiese locali; o almeno questa particolare attenzione deve essere sollecitata da chi per carisma e missione è delegato a questo servizio.

Un servizio che si svolge nei modi più svariati, adattandosi alle particolari esigenze e alla particolare cultura di queste persone. Ci sono operatori socio-pastorali che vivono con gli zingari all’interno dei campi sosta od operano anche per la liturgia e la catechesi dentro ai circhi. Nei principali porti sono allestite le Stella Maris per l’accoglienza dei marittimi di passaggio come negli aeroporti sono aperte delle piccole chiese per il culto e per l’incontro personale o di gruppo col cappellano. È un mondo così vario e talora imprevedibile che esige da questi operatori non solo una particolare predisposizione ma pure una buona dose di creatività.

 

L’organizzazione della Migrantes

Nella Chiesa italiana da diversi decenni sono attive particolari istituzioni per i singoli settori di mobilità. Dal 1987 questi sono organicamente inseriti nella Fondazione Migrantes, un organismo appositamente istituito dalla Conferenza Episcopale Italiana, che si articola nei cinque settori sopra enunciati dell’emigrazione italiana all’estero, degli immigrati in Italia, degli zingari, dei fieranti e circensi, della gente addetta alla navigazione marittima e aerea. La Migrantes ha la sede centrale a Roma, ma si dirama in tutte le Chiese locali con sedi regionali e diocesane. La Migrantes opera in stretto contatto, a livello di Chiesa universale, con il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti e con altri organismi internazionali cattolici come l’Icmc di Ginevra (Commissione Cattolica Italiana per le Migrazioni) e, a livello di Chiesa italiana, con altre realtà pastorali, come la Caritas, l’Ufficio pastorale per i problemi sociali e del lavoro e l’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese. Le migrazioni infatti, anche se oggetto di una pastorale specifica, data la loro vastità e rilevanza, rientrano sempre più nel grande quadro della pastorale ordinaria della Chiesa italiana.