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Documentazione

Politiche sanitarie e socio-sanitarie


Relatore Prof. Angelo Passaleva

 

La legge sull’immigrazione ha introdotto significative novità in ambito sanitario, sancendo in modo inequivocabile (almeno sulla carta) “la piena parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata dal SSN ed alla sua validità temporale”.

Dopo anni di stratificazioni di norme pensate per una immigrazione sostanzialmente diversa da quella attuale che offrivano spesso la possibilità di interpretazioni discrezionali e personali – impedendo di fatto un ordinario accesso alla promozione e alla tutela della salute ad una larga fetta di popolazione immigrata, anche regolare – la legge 40/98 riorganizza la materia sanitaria in modo chiaro.

Il tema è specificamente trattato in tre articoli, dal 34 al 36, del Testo Unico.

La nuova legislazione nazionale si è posta l’obiettivo di favorire al massimo la possibilità di iscrizione al Servizio Sanitario per tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti e per i loro familiari, nella piena uguaglianza di diritti e doveri con i cittadini italiani e secondo modalità che garantiscano una parità di trattamento.

La legge, all’art. 34 “assistenza per gli stranieri iscritti al Servizio Sanitario Nazionale”, definisce le possibilità e le condizioni di iscrizione al SSN per i lavoratori stranieri disoccupati e per i loro familiari a carico, sancendone la piena parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti e doveri con i cittadini italiani.

L’aver abolito il requisito della residenza come condizione di iscrizione al SSN sostituendo con il luogo di effettiva dimora dovrebbe inoltre favorire l’iscrizione a quanti a causa della precarietà alloggiativa ed economica sono costretti a continui spostamenti sul territorio nazionale:

All’art. 35 “Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario Nazionale”, la legge prevede la necessità di assicurare anche ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, anche se continuative, per malattia e infortunio e di estendere i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.

All’art. 41 il Testo Unico ribadisce l’equiparazione degli stranieri ai cittadini italiani per quanto riguarda l’accesso alle prestazioni ed alle provvidenze, anche economiche di assistenza sociale.

In questi anni il riconoscimento giuridico del diritto all’assistenza sanitaria per i cittadini immigrati non è bastato comunque a garantirne l’accesso ai servizi e l’appropriatezza del loro intervento.

Va comunque affermato che in molte realtà locali in tutta Italia vi sono ottime iniziative per quanto riguarda la tutela della salute degli immigrati da condividere e sostenere perché l’impegno delle esperienze di alcuni possa diventare l’impegno dell’intera comunità.

Ciò suggerisce ulteriormente la necessità di provvedere ad un “riorientamento” complessivo dei servizi. Si tratta cioè di ripensare l’organizzazione interna del servizio sanitario sulla base delle dimostrate esigenze della potenziale utenza (flessibilità degli orari di apertura, disponibilità di servizi di interpretariato, sviluppo del lavoro in gruppi multidisciplinari, stimolo all’integrazione sociosanitaria…), che di realizzare una effettiva apertura all’esterno, in raccordo con altre strutture sia del volontariato e del privato sociale afferenti al medesimo territorio sia di altri enti locali.

Riteniamo anche la capacità di “apertura” dei servizi verso l’esterno debba arrivare, al di fuori delle proprie strutture fisiche, a forme concrete di contatto con i soggetti portatori di bisogni di salute che, per diverse motivazioni, non vi si rivolgono attivamente (unità di strada per la prostituzione, interventi presso campi nomadi o di rifugiati, iniziative particolari presso luoghi di aggregazione sociale degli stranieri).

Questo nell’ottica di una piena inclusione nel sistema e per garantire a tutti pari opportunità di cure.

Ancora incompleta è l’informazione degli operatori sulla normativa vigente che regola le diverse possibilità e modalità di accesso alle prestazioni per gli stranieri. Spesso è lacunosa una formazione di base sulle specificità assistenziali collegate a questa utenza e sono rare le iniziative di aggiornamento sul tema.

Si tratta, in poche parole, di mettere in atto una riorganizzazione dei servizi tenendo conto della novità rappresentata dalla crescente presenza di immigrati.

Solo con un’ottimale integrazione dei diversi servizi, adottando uno stile di multidisciplinarietà e aprendosi al territorio, sarà possibile permettere un salto di qualità dell’assistenza che risponda realmente alle modifiche più significative della nostra società.

Per “riorientare” i servizi sanitari affinché sia favorito l’accesso ai cittadini immigrati presenti sul territorio, dal Gruppo di lavoro sono state individuate alcune priorità che possono così riassumersi:

formazione del personale, lettura della domanda e dei bisogni, organizzazione dei servizi, flessibilità dell’offerta, lavoro multidisciplinare e in rete.

Ad un fenomeno così variegato come quello dell’immigrazione occorre dare risposte variamente articolate che comprendano non soltanto i già complessi aspetti dell’assistenza sanitaria, ma anche quelli relativi alla integrazione nel suo insieme e dei quali si sono occupati i vari gruppi di lavoro i cui contributi abbiamo già in parte ascoltato e che ascolteremo nel seguito della mattina.

Anche per affrontare gli aspetti socio-sanitari è opportuno un approccio multidisciplinare utilizzando varie figure professionali, integrando le competenze con collaboratori/consulenti di varie discipline ed esperienze ed includendo rappresentanze delle associazioni degli immigrati.

 

 

Per lo stesso motivo si sente l’esigenza di un lavoro di rete che preceda l’azione sanitaria propriamente detta e, eventualmente, la supporti e poi ne dia un seguito in termini di reintegrazione e reinserimento sociale o di promozione di comportamenti adeguati: la stessa azione sanitaria spesso prevede vari attori interaziendali; tutti devono avere la capacità di comunicare e di lavorare insieme. Oggi il lavoro di rete inizia già in termini di programmazione degli interventi e di pianificazione delle risorse e vede impegnati diversi attori oltre quelli propriamente sanitari: enti locali, istituzioni, volontariato, associazionismo di italiani e di immigrati, privato sociale, scuola… Sempre più spesso l’iniziativa parte da organismi non governativi che promuovono progetti e reti e tengono uniti soggetti a volte molto distanti e diversi.

In questo campo vi sono numerose iniziative in varie regioni italiane. Basti citare, ad esempio, l’esperienza del Gruppo Regionale “Immigrazione e Salute” della Regione Lazio lo sportello unico per l’integrazione avviato recentemente in una provincia toscana (Arezzo) dove istituzioni statali, enti locali, volontariato, categorie produttive, collaborano insieme per dare risposte complessive non solo agli immigrati, ma anche a cittadini italiani.

Per il riorientamento dei servizi è sicuramente prioritaria la formazione del personale, sia nel senso della informazione quantitativa e qualitativa sul fenomeno migratorio che sugli aspetti relazionali. È necessario un aggiornamento relativo alle principali evidenze sullo stato di salute (le malattie, i fattori di rischio, le aree critiche per la salute…) e sulle normative che ne prevedono la tutela (quadro nazionale e locale, linee programmatiche ed organizzative). Tutto ciò per ridimensionare pregiudizi e ricollocare il fenomeno della migrazione in un quadro di strutturalità e di diritto.

Va curata in particolare la formazione alla relazione transculturale con persone provenienti da altri contesti sociali, politici e culturali.

L’esercizio alla relazione interpersonale, l’eliminazione di luoghi comuni sull’impermeabilità culturale e l’elaborazione di strategie di comunicazione sono strumenti operativi per gestire relazioni spesso fortemente stressanti e all’apparenza inefficaci.

A questo riguardo si segnala l’iniziativa della Regione Veneto che ha avviato un capillare progetto formativo rivolto a tutti gli operatori delle aziende sanitarie.

Naturalmente tutto questo comporta un continuo aggiornamento rispetto a nuove problematiche sociali e a modifiche del quadro normativo nazionale e o regionale.

La possibilità di disporre di flussi informativi stabili e coerenti, lo studio puntuale di alcune situazioni di rischio, la domanda drenata da associazioni di volontariato, sono ormai di fondamentale importanza per tentare di governare il fenomeno in modo stabile ed ordinario.

Un’esperienza significativa in questo settore è stata realizzata dal Comune di Bologna insieme alla Azienda USL dove flussi informativi aziendali che provengono dalle schede di dimissione ospedaliera, dalla attività specialistica ambulatoriale e dal “Centro Donne Straniere” e loro bambini, integrati con i dati desunti dai “tesserini di soccorso” (equivalenti al tesserino STP), consentono di avere un quadro aggiornato e sufficientemente rappresentativo della situazione locale.

 

Per quanto riguarda la lettura del bisogno occorre tener presente che spesso questo non giunge alla visibilità dei servizi per varie ragioni tra le quali lo stato di emarginazione legale e sociale, il valore culturale sulla percezione o meno di esso, gli ostacoli nel manifestarsi. Studiare i bisogni oggettivi ma non percepiti e/o non espressi, così come una adeguata valutazione dei bisogni soggettivi, è di estrema utilità nel monitorare ed adeguare risposte efficaci.

Al fine di rendere effettive le risposte al diritto alla salute da parte degli immigrati è necessaria la riorganizzazione dei servizi evitando la realizzazione di attività dedicate esclusivamente all’utenza straniera. Alcune regioni hanno già sperimentato tali percorsi ed oggi ci si sta orientando nel rendere maggiormente permeabili agli immigrati i servizi per tutti, con alcune accortezze organizzative che vanno, ad esempio, dalla apertura dei consultori negli orari del tempo di riposo per le domestiche, ad ambulatori specialistici (per le malattie infettive) con fasce orarie dedicate con maggiore facilità di acceso (ad esempio senza impegnativa del medico di base per gli STP), e così via. Ma la riorganizzazione dei servizi mira essenzialmente ad enfatizzare la necessità di un adeguato orientamento sanitario, la possibilità di una offerta attiva delle prestazioni e dei servizi e una mediazione culturale che passi da un’ottica di prestazioni individuali a quella di un sistema di mediazione e di accoglienza per tutti: italiani e stranieri.

A titolo esemplificativo vorrei ricordare che in Toscana già nel 1993, nell’ambito di un progetto congiunto fra la Regione e l’organizzazione non governativa COSPE (Cooperazione allo Sviluppo dei Paesi Emergenti), finanziato dall’unione Europea e dal Ministero della sanità, si è svolto il primo corso di formazione per mediatori linguistico-culturali, definiti sinteticamente “figure professionali di origine straniera con mansioni di collegamento reciproco fra società italiana e cittadini stranieri”.

Da allora si sono sviluppate numerose iniziative che hanno coinvolto prevalentemente cooperative di extracomunitari, in gran parte formate da donne e in grado di prestare servizi di mediazione culturale (Donne Insieme di Arezzo; CeSdi – Centro Servizi per Donne Immigrate – di Livorno) o associazioni (Donne in movimento a Pisa, Nosotras a Firenze, le Api a Pistoia).

Alcuni gruppi di immigrati sono particolarmente legati a princìpi e metodi terapeutici tradizionali che rispondono in modo più consono alla loro percezione della medicina. Offrire attività di tipo tradizionale è una delle iniziative più apprezzate ed anche efficaci per alcuni gruppi etnici. A titolo esemplificativo potremo citare l’iniziativa di costituire a Firenze, nella cui provincia si registra una forte presenza di cinesi, un centro di medicina tradizionale cinese denominato “Fior di Prugna”.

L’attività del centro di medicina tradizionale cinese, rivolto a donne e bambini italiani e stranieri con particolare attenzione alla popolazione cinese, ha fino ad oggi riscontrato un grande interesse nell’opinione pubblica e negli organi di stampa in quanto risponde ad una diffusa richiesta da parte della popolazione italiana di interventi di medicina cosiddetta non convenzionale almeno per le patologie più ricorrenti (dolori articolari e muscolo tendinei, insonnia, depressione, patologia mestruale, ecc. e alla necessità per la popolazione cinese di potersi curare secondo la loro tradizione come dimostra il frequente ricorso ai cosiddetti “ospedali cinesi” clandestini.

 

Il gruppo di lavoro ha prodotto un ampio documento molto più dettagliato rispetto a quanto ho sinteticamente esposto per la brevità del tempo concesso. Voglio soltanto concludere presentando una sorta di organigramma che rappresenta una ipotesi di quadro organizzativo regionale ed aziendale che viene riportato nella tabella allegata che è di facile lettura.

A conclusione dei lavori di gruppo si è preso coscienza che parlare di un riorientamento dei servizi per favorire l’integrazione degli immigrati è stata un’occasione per riflettere su una organizzazione dei servizi più accoglienti per tutti.

 

 

 

 



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