Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

TERZA PARTE

APPROFONDIMENTI

 

CAPITOLO 3.3

 

I RICONGIUNGIMENTI FAMILIARI E LA FAMIGLIA

 

1. La famiglia nei processi migratori

È ormai ampiamente confermato il ruolo centrale che la famiglia gioca nella strategia migratoria del singolo [W. Dumon 1993, V. Cesareo 1993, M. Tognetti Bordogna 1995, 1997] nella scelta di migrare e nella scelta su chi della famiglia deve partire e può partire.

La decisione di migrare messa in atto all’inizio dal singolo è il frutto di una strategia affinata all’interno della famiglia allargata, secondo un processo di selezione di colui o colei che ha le «caratteristiche» per fare il lungo balzo o per iniziare un percorso che potrà poi essere seguito da altri membri, da altri componenti della famiglia.

La famiglia che sostiene o che promuove il progetto migratorio può essere guidata, nella sua scelta, dal desiderio di ampliare le opportunità del clan e del nucleo familiare sia da un punto di vista economico che culturale. Oltre che nella strategia migratoria la famiglia assume un peso rilevante anche nella definizione del progetto migratorio, nella sua durata e nella sua evoluzione. È la famiglia, membri di essa, la destinataria della maggior parte delle rimesse monetarie; ed è sempre la famiglia che si fa carico della cura dei figli, di tutti o di alcuni: se non sono potuti partire con i genitori, o il genitore. È produttrice o garante del patrimonio identitario, culturale.

Forte è il peso simbolico della famiglia specialmente se, i membri sono dispersi per il mondo.

Ovviamente vi sono anche strategie e progetti niigratori di fuga costruiti «contro» la tradizione e il controllo delle famiglie (1) [v. Squarcialupi 1983].

Il processo migratorio contribuisce però allo stesso tempo a modificare la forma famiglia. La famiglia in emigrazione è soggetta a mutamenti, in quanto cambiano i ruoli dei componenti in seguito alla migrazione, ma anche a causa del cambiamento che interessa i sistemi sociali dei paesi tradizionali e dei paesi occidentali. Il processo di transizione fisiologico a cui la famiglia è sottoposta con la migrazione subisce un’accelerazione.

In emigrazione cambiano i modelli di coniugalità e di coppia; il processo migratorio mina la sopravvivenza della famiglia allargata, determinando nuove forme, nuove dinamiche, nuove pratiche familiari i cui contorni sono tutti da definire. Le famiglie tradizionali si affiancano a quelle interetniche, o quelle composte da conviventi, persone unite da un legame affettivo non codificato da un contratto matrimoniale, persone che vivono sotto lo stesso tetto spinti da motivi economici o di solidarietà. In emigrazione è frequente la costruzione di una sorta di parentela a base sociale, che origina un solidarismo e una protezione fra membri della stessa comunità o tra individui di una stessa zona, di una stessa regione. Si forma una parentela sostitutiva, sociale, non genealogica, la cosidetta nicchia etnica, spesso unico legame nella migrazione.

Molte le forme che nelle diverse culture e nei vari paesi assumono le reti, i reticoli familiari, originando tipologie assai differenziate che si aggiungono alla famiglia in transizione, alla famiglia che cambia in emigrazione. Gli stessi stranieri registrati presso le anagrafi comunali come singoli possono vivere con altri o hanno lasciato al proprio paese un pezzo della famiglia allargata.

La stabilizzazione degli individui nel paese di immigrazione, segue percorsi e forme familiari molteplici: ricongiungimenti familiari, matrimoni interetnici, spose per corrispondenza, famiglie poco numerose, coppie senza prole, «famiglie» di coabitanti non parenti. Cosi come la decisione di farsi una famiglia può essere rimandata il più possibile nel tempo, proprio a causa del processo migratorio, quando le condizioni economiche saranno più adeguate.

Anche la migrazione in coppia non è priva di cambiamenti, di tensioni, di ripercussioni sulle dinamiche relazionali e sulla dinamica riproduttiva, in quanto i coniugi sono chiamati ad assumere nuovi stili di vita, nuovi comportamenti, nuovi ruoli, comprese nuove modalità di socializzazione della prole, nuovi rapporti con il paese di approdo. La migrazione può accentuare la collusione di coppia, la solidarietà di coppia, così come può disarticolarla.

La stessa catena migratoria a base familiare può avere una funzione di ammortizzatore per le tensioni, le fratture, i problemi che normalmente si ac­compagnano alla migrazione ma può produrre anche nuove tensioni, nuovi disagi e nuove chance culturali.

Indipendentemente dal modello familiare, la famiglia in immigrazione è comunque una famiglia spezzata. Una famiglia spezzata, poichè da un lato i propri membri sono dislocati in diversi paesi, dall’altro poiché i nuovi stili di vita che si accompagnano alla migrazione determinano fratture, contrasti con la cultura d’origine e con il modello di famiglia allargata, della tradizione.

Mutano i modelli di coppia e di coniugalità, così come muta il ruolo del capofamiglia, in particolare quando la donna raggiunge l’indipendenza economica. Questo processo è ancora più visibile nella famiglia monoparentale quando il padre è assente perché rimasto nel paese d’origine (caso tipico delle donne filippine, delle donne eritree, nel corso dei primi flussi migratori in Italia, delle donne peruviane). Oppure perché psicologicamente deresponsabilizzato, con la conseguente appropriazione da parte della donna del ruolo dominante e del controllo sull’educazione dei figli.

L’esperienza dell’emigrazione, con le sue rotture, culturali ed affettive, comporta la ridefinizione, la riorganizzazione dei reticoli relazionali, in particolare i rapporti uomo/donna, madre/padre, marito/moglie, padre/figli, madre/figli [NT. Cesareo 1993; AAVV 1998]. Possiamo così trovarci in presenza di mariti che dipendono da una moglie lavoratrice.

Gli stessi modelli educativi, che hanno riferimenti, significati e modalità di trasmissione (i riti) difformi e spesso molto distanti sono messi in discussione. Siamo di fronte a una nuova esperienza, perché come più volte abbiamo sottolineato, la famiglia nella migrazione non né la famiglia di là, né la famiglia di qua.

La famiglia migrante si colloca in un contesto, in un sistema sociale in cui i ruoli e le relazioni di questa unità non sono più quelli gerarchici della tradizione, o di una modernità vissuta differentemente, ma si sono modificati, o sono in fase di modificazione. Assumono una diversa dislocazione con una conseguente margi­nalizzazione del modello di famiglia più tradizionale, con l’insorgenza frequente di conflitti nella coppia o a livello intergenerazionale.

Anche coloro che scelgono di farsi una famiglia qui, producono qualche lacerazione poiché contravvengono alle regole della tradizione (pensiamo alla coppia mista) o interrompono il contratto che avevano stipulato, anche se non espli­citamente, con la famiglia d’origine, perché investono qui, per se stessi e non per i propri famigliari in patria.

La famiglia migrante, i suoi membri, i suoi componenti, sono sottoposti alle esigenze del qui e del là, all’oscillazione fra il qui e il là della società così detta di accoglienza e della società di origine.

La famiglia in emigrazione è una famiglia che si situa tra, una famiglia che ha paura di perdere le proprie radici oppure in una dinamica opposta, in un processo di acculturazione forzata, recide le proprie radici in modo violento con conseguenze nel tempo spesso dirompenti. Ma è anche una famiglia che si illude di poter fermare il tempo e quindi non si articola con il nuovo contesto, con le regole della società di arrivo; una famiglia con nuovi progetti, che riscopre al proprio interno nuove risorse e nuove dinamiche.

 

 

1.1. Lavoro matrimoniale

La famiglia della e nella migrazione, la cui diversa tipologia è determinata dai molti fattori che plasmano il processo migratorio e il singolo progetto migratorio, creando così le molte famiglie della migrazione, va a collocarsi all’interno della forte dinamicità a cui la famiglia è sottoposta nell’attuale sistema sociale. Abbiamo così famiglie che mettono in atto articolate forme e sistemi relazionali, altre che contengono al minimo gli scambi relazionali fuori del nucleo familiare. Così come sono altamente differenziati i comportamenti demografici (natalità, dentro e fuori il matrimonio, numero dei figli, ecc.) [Maffioli 1994].

Se molte sono le relazioni e le pratiche coniugali presenti nella nostra società, esse aumentano e diventano più complesse in presenza di flussi migratori in fase di stabilizzazione.

Dinamicità, complessità che richiede energie, più energie alla famiglia straniera per il lavoro matrimoniale. Ancora una volta ci pare che la definizione di famiglie patchwork [Tognetti Bordogna 1995] ben esemplifichi il lavoro di rammendo e di ricomposizione secondo forme del tutto originali, di negoziazione, di revisione dei rapporti, che le famiglie e in particolare le donne sono chiamate a svolgere in emigrazione.

Lavoro matrimoniale per l’unità economica, lavoro matrimoniale per la società, lavoro matrimoniale che aumenta in presenza di figli. Lavoro di relazione, di tessitura, di connessione incrementato dai continui confronti culturali all’esterno e all’interno della famiglia, di richiesta di nuovi ruoli e di nuove relazioni fra le generazioni. Ambito in cui anche il sistema solidaristico proprio della famiglia viene ridefinito a causa e date le condizioni del contesto migratorio (le risorse materiali e quelle simboliche). Luogo in cui le traiettorie e i progetti individuali vanno ricollocati, e per alcuni aspetti conciliati.

Famiglie dai comportamenti differenziati e dai bisogni dati che possono condizionare in modo determinante il tipo, la qualità e la riuscita della relazione. La famiglia mista dovrà dedicare maggior attenzione alla cura della differenza e del ricordo, allo stato dei legami intergenerazionali, alle modalità e alle forme della socializzazione, al diverso stile educativo ad esempio dei partner, ai mutamenti identitari, e infme, all’elaborazione di una nuova cultura familiare.

Il lavoro matrimoniale di questo tipo di famiglia dovrà anche riguardare la comunicazione nella coppia, la capacità di affrontare situazioni critiche, di crisi, di conflitto. Mentre la famiglia ricongiunta potrà essere impegnata a ridefinire i ruoli all’interno del nucleo, e a tenere legami con gli eventuali figli o altri membri rimasti là, a rivedere i modelli educativi e genitoriali.

Indipendentemente dal tipo e dalla variabile a cui s intende dare primato, la famiglia straniera in immigrazione è chiamata a costruire un’unità combinatoria, prendendo del tempo che spesso in immigrazione non c’è, facendo tentativi e tenendo conto che è una famiglia tra due società.

Una famiglia, quella della migrazione, che può attivare un lavoro matrimoniale dell’instabilità, in quanto più che muoversi secondo un proprio progetto si lascia guidare, o non può fare altrimenti, dagli accadimenti esterni.

Famiglie il cui lavoro matrimoniale è fortemente condizionato da un processo di cristallizzazione, secondo il quale è il passato, il paese di origine, le sue regole - spesso mitizzate - a determinare le scelte; quindi tutto è legato alla paura di perdere la cultura, l’identità della tradizione, recuperando ritualità e norme comportamentali spesso abbandonate nel paese di origine.

In altri casi il lavoro famigliare tende ad occultare, a cancellare completamente la storia, la memoria collettiva, il passato secondo un processo di acculturazione anche forzata, pensando o sperando di trovare così qui una collocazione che non sia caratterizzata da nuovi conflitti.

Molte però le famiglie il cui lavoro matrimoniale è orientato dalla ricerca di creare e instaurare legami, rapporti plurali di tipo transculturale, che sappiano coniugare i riferimenti della tradizione e della modernità, secondo un processo di incremento e di valorizzazione delle risorse familiari, mettendo così in gioco capacità inedite di cambiamento e di adattamento.

La migrazione richiede pertanto energia in più, per la costruzione e la riorganizzazione delle strutture familiari capaci di tenere conto non solo della famiglia e della società di origine, ma anche delle esigenze delle società di accoglienza, preservando allo stesso tempo la propria identità culturale.

Analizzare, studiare le famiglie della migrazione meglio ci aiuta a capire le modalità di articolazione del migrante nel nostro contesto, il tipo di processo di stabilizzazione messo in atto, i processi transculturali in corso nel nostro sistema sociale, le nuove regole matrimoniali.

La reinterpretazione dei modelli familiari che non sono ne quelli della società di accoglienza, né quelli della società di partenza. Nonostante le complesse dinamiche brevemente enunciate la famiglia, sia quella del qui che quella del là assume un ruolo centrale sul piano simbolico nel processo migratorio e spesso anche sul piano materiale in quanto permette di mantenere qualche forma di legame con il paese d’origine e con chi è rimasto là; dando così continuità identitaria e quindi sicurezza ai membri che hanno deciso di articolarsi nel paese di migrazione.

 

2. Le famiglie del qui e le famiglie del là

Tra i molti tipi di famiglie che si possono costruire in emigrazione, ne ricordiamo alcuni che sulla base delle ricerche sembrano essere più diffusi [M. Tognetti Bordogna 1995; AAVV. 1997, AAVV. 1998, B. Ghiringhelli 1999] nel nostro paese.

- La famiglia formata là da tempo che ha già sperimentato il vivere in coppia in un contesto «protetto» come il paese d’origine e che, dopo una scelta condivisa dai coniugi, decide di migrare.

- La famiglia formata là e che subito dopo il matrimonio migra, e si trova così a sperimentare la vita di coppia in un contesto non noto, tutta l’esperienza della vita matrimoniale, del lavoro matrimoniale avviene in un contesto sconosciuto o poco noto e senza la rete della famiglia allargata.

- La famiglia formata qui fra membri che hanno la stessa o diversa appartenenza geo-culturale ma che sperimentano in emigrazione l’incontro e la vita di coppia in un contesto culturale nuovo.

- Della famiglia su base sociale abbiamo già detto, mentre più significativo da un punto di vista quantitativo è la famiglia monoparentale, formata da un solo genitore, con uno o più figli.

- Sempre più frequentemente troviamo famiglie ricomposte, tipico è il caso della donna emigrata sola, divorziata, che si rifà una famiglia qua con un nuovo marito e nuovi figli e poi decide di ricongiungere i figli del precedente marito, rimasto in patria. Oppure famiglie, formate da individui che appartenevano a precedenti e diversi nuclei familiari.

- Ricordiamo poi la famiglia mista e la famiglia ricongiunta.

La tipologia famigliare può essere ulteriormente articolata sulla base di quelle che sono le condizioni particolari della famiglia interessata dal processo migratorio:

- la famiglia in fase generativa;

- la famiglia con figli adolescenti;

- famiglie appartenenti a comunità poco rappresentate localmente;

- famiglie culturalmente più lontane;

- famiglie isolate [AAVV 1997].

Questa ultima tipologia familiare dà primato al sistema dei ruoli e delle relazioni che si creano in immigrazione.

 

2.1. I matrimoni misti: una possibile tipologia

Fra le molte forme familiari della migrazione è in fase di crescita la «famiglia mista». Il matrimonio misto è un unione di tipo eterogamica, un unione biculturale. Preferiamo usare il termine matrimonio misto perché maggiormente esemplificativo della mescolanza che si produce con questo tipo di unione, un nuovo sistema di relazioni nella coppia e al di fuori della coppia, in quanto si confrontano due culture e contemporaneamente si produce una nuova cultura.

Diversi e molteplici sono i fattori alla base dei matrimoni misti [Barbara 1985]; possiamo individuare fattori di ordine generale e fattori specifici; fra quelli generali, che incidono positivamente sull’aumento delle unioni miste, ricordiamo:

- l’intensità dell’omogamia la quale varia in relazione all’ambiente;

- il grado di isolamento topografico;

- l’affievolimento del grado di repulsione dell’«altro»;

- la diminuzione delle differenze di gruppo;

- lo squilibrio fra i sessi tra i membri di uno stesso gruppo geoculturale;

- l’eterogamia, più forte fra gli immigrati con un grado di scolarità più elevato e che nel paese di origine appartenevano a classi sociali medie o superiori.

I flussi migratori, i continui scambi commerciali, turistici, comunicativi e l’evoluzione della società contribuiscono ad affievolire l’isolamento geografico, culturale, e a rendere sempre più ovvio l’incontro e la relazione con lo straniero. Lo straniero considerato sempre più vicino non ispira sentimenti di paura, repulsione, o tali sentimenti si vanno riducendo. Inoltre i membri dei gruppi convivendo nello stesso habitat, si contaminano, contribuendo a contenere le differenze, producendo così nuove mescolanze, nuove aperture mentali incrementate anche dal crescere dei livelli di scolarizzazione della nostra società.

Consideriamo fattori specifici, determinati e accresciuti dagli stessi flussi migratori, la maggiore interrelazione fra gli individui di nazionalità diverse, il progressivo venir meno dell’influenza della famiglia nella scelta matrimoniale e il decremento del pregiudizio razziale. Così, come sottolinea Blau [1995], la presenza di matrimoni misti produce un effetto moltiplicatore in quanto più sono e più vengono considerati normali. I matrimoni misti sono un fenomeno sociale che ci aiuta a leggere la nostra società, a misurare il grado di radicamento dello straniero nel nostro Paese e rende visibile la morfogenesi che sta investendo l’istituzione famiglia. Sono segno della concretizzazione della frattura già presente fra un individuo e la società di appartenenza.

Così come la decisione di migrare contiene in sé un allentamento dei legami fra migrante e società di origine, la decisione di contrarre un matrimonio biculturale è un segno manifesto della non condivisione di valori tradizionali, per abbracciarne nuovi, spesso inediti. La celebrazione del matrimonio, indipendentemente dal rito seguito, ancor più dell’unione di fatto, rappresenta una chiara manifestazione della non condivisione di valori, di regole, di stili di vita tradizionali.

Il matrimonio misto contribuisce ad allentare i legami sociali e a contravvenire alle regole del gruppo [M.Tognetti Bordogna 1996]. Esso costituisce elemento di forza ma anche di debolezza: di forza poiché si è qualcosa di nuovo, di diverso, di complesso; di debolezza in quanto bisogna mettere nel conto ostilità e aggressioni.

Attrazione, rifiuto, costruzione di nuovi linguaggi, individuazione di percorsi intermedi, confronto sistematico con la diversità, utilizzo dei limiti come risorsa, sono tutti sentimenti e strategie che le coppie in generale, ma le coppie miste in particolare devono continuamente mettere in atto.

Rispetto ad altri tipi di matrimonio, il matrimonio misto non è un «fatto sociale» che riguarda i partner che contraggono il matrimonio ed eventualmente i membri della famiglia allargata; esso di fatto costituisce una triplice scommessa che l’individuo fa con sé, nel momento in cui accetta di confrontarsi con la distanza, nel senso duplice, di luogo fisico e culturale; con la famiglia di origine, poiché va a mettere in discussione le regole della tradizione; con la società di accoglienza poiché crea nuove regole. Possiamo considerare il matrimonio misto un evento collettivo in quanto determina un erosione economica che interessa sia le famiglie di origine, che il Paese di provenienza, poiché si riduce il flusso delle rimesse estere.

Molte le motivazioni personali che spingono individui appartenenti a mondi diversi a creare un’unione mista, a contrarre matrimonio: la curiosità nei confronti del diverso, l’innamoramento travolgente, la strategia per un inserimento accelerato nel nuovo contesto, la scelta meditata e maturata nel tempo, la sperimentazione di chance culturali aggiuntive.

Così come la scelta di sposarsi con un autoctono può essere determinata dalla necessità di trovare un mezzo legale per poter arrivare o restare in un paese, un mezzo per acquisire uno status giuridico previsto dalla nostra normativa. Questo tipo di unione può essere definito matrimonio di convenienza, o matrimonio per le carte. Esso rappresenta una realtà molto forte e frequente per le donne che provengono da paesi interessati da conflitti. Consideriamo matrimoni di convenienza anche i matrimoni contratti per sfuggire ad una situazione di miseria o di precarietà, o per il desiderio di far parte di un ceto sociale più elevato.

Il matrimonio misto può rappresentare un valido passaporto per la società di accoglienza, specialmente se i contraenti perseguono una strategia di inserimento accelerato, in questo caso parliamo di matrimonio facilitatore. Sulla base di diverse ricerche è emersa la presenza di individui che si uniscono in matrimonio dopo la nascita di uno o più figli: possiamo parlare di matrimonio riparatore [Maffioli 1994].

Ovviamente abbiamo anche coppie che perseguono una strategia meramente affettiva: i matrimoni elettivi. Altri individui si sposano con cittadini di un paese occidentale per raggiungere la modernità della società occidentale, o per conoscere altre culture, definiamo questa unione come unione intellettuale.

Un’ulteriore tipologia è quella che riguarda individui prevalentemente maschi, che decidono di sposare una donna straniera avendola scelta su di un catalogo o avendola solo vista in foto, chiameremo questo matrimonio d’agenzia o negoziato.

L’ultimo tipo di unione da noi individuato [M.Tognetti Bordogna 1995, 1996] il più importante dal nostro punto di vista, proprio perché consideriamo la migrazione come un chance culturale, è dato da coloro che si sposano con uno o una straniera per rompere con il gruppo, con il clan, con la famiglia, con la cultura di appartenenza. Sono coloro che non condividono più i valori tradizionali, individui che abbracciano la scelta di un matrimonio o di una convivenza interetnica per motivi culturali, ovvero un mezzo per aderire a stili di vita occidentali.

 

2.2. I matrimoni misti in Italia

In Italia la connessione tra immigrazione e matrimoni misti è particolarmente evidente al punto che la coppia mista si identifica nella coppia autoctono/a-straniera/o. Tra i tanti indicatori della mixité coniugale, tra cui la religione, l’etnia o la razza, è quindi riconosciuta l’appartenenza nazionale, come la miglior variabile sulla quale basarsi per rilevare la distanza e in qualche modo la «diversità» tra i coniugi.

Tale posizione è d’altronde quella propria di realtà nazionali che, come quella del nostro paese, solo con il divenire paese di immigrazione hanno conosciuto una certa differenziazione interna da un punto di vista culturale, etnico e religioso. In altri termini in tali contesti, l’adozione del criterio giuridico della nazionalità come variabile identificatrice della coppia mista, sembra essere la scelta migliore poiché capace di «racchiudere e cumulare» tutta una serie di possibili differenze aggiuntive tra i due coniugi. D’altra parte però tale criterio sembra anche caratterizzarsi per il seguente limite: il legame deterrninistico riconosciuto tra «appartenenza nazionale» e «appartenenza culturale», che può esistere, ma non necessariamente, e che varia notevolmente da paese a paese secondo le norme in vigore circa l’acquisizione della cittadinanza da parte degli stranieri.

In Francia ad esempio, paese in cui i nati sul suolo francese da genitori entrambi stranieri acquisiscono la cittadinanza francese e dove è facile per lo straniero sposato con un autoctono ottenere la nazionalità del coniuge, nel corso di una ricerca sui fallimenti matrimoniali in caso di coppia mista è emersa la necessità di distinguere tra:

- matrimonio misto, quando i due sposi sono di nazionalità diversa;

- matrimonio misto esogamo, quando i due sposi sono di origine differente;

- matrimonio misto endogamo, quando lo sposo francese è della stessa origine del suo coniuge straniero; operando per i matrimoni endogamici un’ulteriore distinzione tra

- endogamia «nazionale», caso in cui i due coniugi sono originari di uno stesso paese ed

- endogamia «culturale», caso in cui i due sposi sono originari della stessa etnia o della stessa area culturale [M’Sili 1998].

In società quindi che vanno sempre più caratterizzandosi per il loro essere multietniche e multiculturali, quali la Francia e l’Italia, la scelta di riconoscere come indicatore della mixité della coppia la nazionalità dei coniugi richiede delle ulteriori analisi e distinzioni.

Conferma del legame esistente tra immigrazione e matrimoni misti la troviamo nei dati relativi ai matrimoni misti civili (2) e religiosi registrati in Italia negli ultimi anni.

Secondo stime Istat [Di Leo 2000], sulla base di una valutazione statistica indiretta, (3) il numero di coppie miste al 1999 è attorno alle 150.000 unità, e se nell’anno dell’ultimo censimento - 1991 - il partner straniero proveniva perlopiù dai Paesi Sviluppati e dal Sud America, in particolare quelli che hanno accolto in passato lavoratori italiani - Germania, Francia, Regno Unito, USA, Svizzera, Austria, Olanda, Belgio, ma anche Brasile, Argentina e Uruguay -, oggi la presenza nuova e significativa coinvolge coppie con partner provenienti da paesi di recente immigrazione - come i paesi dell’Est Europa, dei Balcani, il Nord Africa e il Medio Oriente - e da paesi meta turistica per italiani - Brasile, Santo Domingo, Cuba, Filippine, e ancora in questo caso Egitto e Tunisia.

E invece invariata rispetto ai dati del 1991 la composizione della coppia che ancora in due casi su tre vede l’uomo italiano a sposare una donna straniera.

Questi ultimi matrimoni si caratterizzano per una grande omogeneità socio-culturale, condizione che al contrario non si registra nella composizione donna italiana-uomo straniero. Da un punto di vista religioso, ad esempio, è possibile osservare come gli uomini italiani si uniscano in prevalenza con donne provenienti da paesi a maggioranza cristiana, sia cattolica - Brasile, Polonia, Repubblica Domenicana - sia ortodossa - Romania, ex-Urss. Le prime provenienze significative per diversità di religione sono il Marocco al 130 posto e la Thailandia in 150 posizione. In tale graduatoria è di difficile collocazione l’Albania, paese considerato a maggioranza musulmana ma con importanti minoranze ortodosse e cattoliche.

Quando invece è la donna italiana a scegliere un coniuge straniero la similarità dei coniugi da un punto di vista sociale, culturale e religioso sembra venire meno. Da una stima provvisoria effettuata sulla base delle provenienze, nel caso dei matrimoni celebrati nel 1995 è possibile osservare come le unioni con uomini stranieri siano nel 35-40% dei casi tra persone di religione diversa dalla cristiana, nella quasi totalità si tratta di persone di fede islamica. Di queste ultime unioni (che raggiungono i 1.100-1.200 casi all’anno) circa il 40% sono registrate nelle regioni del Nord-Ovest, il 13% nelle regioni del Nord-Est, il 20% al Centro, il 20% al Sud e il 7% nelle Isole.

I dati oggi a disposizione permettono di rilevare l’incidenza dei matrimoni misti sul totale matrimoni per gli anni che vanno dal 1995 al 1997, così come l’incidenza delle separazioni e dei divorzi «misti» sul totale di separazioni e divorzi registrati sempre negli anni 1995-1996-1997. Quest’ultimo dato, che prende in considerazione il paese di nascita e non la cittadinanza è da presumere sia, anche se di poco, sopravalutato in quanto comprende anche il caso di separazione e divorzio di un cittadino italiano di nascita ma nato all’estero.

 

Divorzi e separazioni in Italia. Totale matrimoni e matrimoni misti. Anni 1995-96-97.

 

Divorzi

Anno

Misti

Totale

Incidenza

1995

2.119

27.038

7,8%

1996

2.526

32.717

7,7%

1997

2.570

33.342

7,7%

Separazioni

1995

3.833

52.323

7,3%

1996

4.430

57.538

7,7%

1997

4.905

60.281

8,1%

 

Fonte: Istat

 

Anche i dati relativi ai matrimoni interreligiosi e interconfessionali (4) sottolineano innanzitutto come l’Italia sia diventata un paese multietnico, multiculturale e multireligioso a seguito dei movimenti migratori che negli ultimi anni l’hanno vista paese di immigrazione. A questo riguardo, i dati riferiti a un campione di 150 Diocesi distribuite in maniera diversificata sul territorio italiano: 43 al nord, 35 al centro, 28 al sud e 14 nelle isole, pari a una popolazione di circa 36 milioni di persone, evidenziano che i matrimoni interreligiosi si caratterizzanò per l’essere celebrati nella gran parte tra cattolici e musulmani provenienti dal Nord Africa e Medio Oriente, negli ultimi due anni anche dall’Albania, mentre i matrimoni interconfessionali si distinguono per il coinvolgimento di cristiani cattolici e cristiani ortodossi o evangelici provenienti prevalentemente dell’Est Europa - Romania, Bulgaria, ex Unione Sovietica [Ghiringhelli 2000].

I dati delle dispense confermerebbero poi quanto precedentemente detto circa la composizione di tali coppie: a sposare persone di fede islamica sono le donne cattoliche italiane, mentre nei matrimoni interconfessionali sono implicati uomini italiani. Nel panorama dei matrimoni con dispensa un discorso a parte è da riservare ai matrimoni con buddisti, in quanto fenomeno non attribuibile in maniera significativa alla presenza straniera di fede buddista nel nostro paese piuttosto che all’avvicinarsi al buddismo di un numero sempre maggiore di italiani, in gran parte donne.

 

Matrimoni con dispensa, differenza di sesso del partner musulmano. Serie storica 1995-1998

 

Anno

1995

1996

1997

1998

1999

Maschi

95

76

79

71

321

Femmine

29

27

28

29

113

Totale

124

103

107

100

434

 

Fonte:      Dati Conferenza Episcopale Italiana, elaborazione Cadr.

 

Differenza per anno e per sesso del partner musulmano. Prime due nazionalità per numero di casi. Serie storica 1995-1998

 

Anno 1995

Anno 1996

Anno 1997

Anno 1998

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

Marocco

28

Marocco

12

Marocco

17

Albania

8

Marocco

22

Albania

10

Marocco

16

Albania

9

Tunisia

13

Albania

10

Tunisia

13

Mar-Tun

3

Iran

10

Marocco

2

Albania

12

Marocco    7

 

Fonte:      Dati Conferenza Episcopale Italiana, elaborazione Cadr.

 

Matrimoni con partner di altre confessioni/religioni. Confronto anni 1995-1996-1997-1998

                                                               

 

Anno 1995

Anno 1996

Anno 1997

Anno 1998

 

M

F

M

F

M

F

M

F

Cristiani

36

60

37

61

54

58

46

73

Nuovi Mov. Rel. di Matrice Cristiana

1

2

-

1

3

4

1

-

Religioni Tradizionali Asiatiche

7

18

7

25

11

16

9

22

Religioni Tradizionali Aricane

-

-

   -

-

2

-

-

-

Nuovi Mov. Rel. di Matrice Islamica

-

1

   -

1

-

-

-

-

Ebrei

7

3

    8

1

9

9

12

4

Non Battezzati

72

28

53

43

58

51

72

52

Atei

53

29

39

45

56

48

57

48

Non Specificato

15

17

13

13

22

11

20

8

 

Fonte:      Dati Conferenza Episcopale Italiana, elaborazione Cadr.

 

Ancora oggi in Italia sono rari gli studi e le ricerche sui matrimoni misti [Sussi 1991-1992, Tognetti 1996, Gatti 1991, Mosconi-Rinoldi 1988], in questo contesto se ne vuole ribadire l’importanza e la necessità essendo tale fenomeno espressione

a) dell’inserimento di persone di culture altre nella società e

b) della modifica delle tradizionali norme matrimoniali legate alla regola omogamica [Elias 1991].

Al contempo l’unione mista risulta essere la «manifestazione di un cambiamento» e uno «stimolo al cambiamento»

a) delle pratiche e

b) delle relazioni personali quotidiane [Bourdieu 1980].

In altre parole, l’attenzione alla coppia mista trova origine nel suo presentarsi quale laboratorio particolare e naturale che contribuisce alla comprensione di come si sviluppano le forme di vita familiare, si integrano gli stranieri e si trasformano le norme sociali [Scbnapper 1998, Streiff-Fenart 1989].

Pertanto, i giudizi che ancora oggi riconoscono l’unione tra un cittadino italiano e una persona straniera quale evento eccezionale, deviante e trasgressore di regole matrimoniali precise, quale segno di disintegrazione sociale e anomia, non tengono conto del fatto che inevitabilmente il pluralismo culturale e valoriale che sempre più caratterizza il nostro paese, e in generale le società occidentali, comporta dei cambiamenti coinvolgendo tutte le regole della società, comprese quelle matrimoniali.

È allora importante cercare di cogliere e analizzare se e in che modo il matrimonio tra autoctoni e stranieri influisce sul processo e sul percorso di integrazione degli immigrati in Italia.

Già per Weber [1961] il costituirsi dei matrimoni misti è sinonimo di diminuzione di pregiudizio razziale, Tinker [1973] parla dell’unione mista quale sensibile indicatore della permeabilità delle frontiere etniche, mentre studi britannici e nord-americani sugli atteggiamenti di pregiudizio etnico sottolineano come l’accettazione o il rifiuto delle relazioni matrimoniali costituiscano gli indicatori più significativi della distanza tra i gruppi [Streiff-Fenart, 1989].

Ma il legame esistente tra matrimoni misti e immigrazione non deve portare a riconoscere come scontato e automatico il nesso esistente tra matrimonio misto e integrazione del coniuge straniero. E necessario infatti tenere conto della varietà delle possibili scelte di inserimento determinate, il più delle volte, dal diverso significato riconosciuto al termine integrazione. In qualsiasi caso però, l’integrazione sembra dipendere non solo dalla volontà del migrante ma anche da altri fattori da lui indipendenti, soprattutto strutturali, quali lo statuto giuridico riservato ai coniugi di origine straniera, la loro condizione di soggiorno, di lavoro e le possibilità di acquisizione della cittadinanza nel paese di immigrazione.

A tal proposito l’esperienza francese [Collet, 1998] rileva tre possibili «modelli di integrazione» del partner straniero, ciascuno dei quali si caratterizza per una specifica combinazione di ethnos, in quanto appartenenza e/o riferimento culturale (fattore individuale), e di demos, inteso quale partecipazione politica nel paese di immigrazione (fattore strutturale).

                               

 

ETHNOS

DEMOS

integrazione in quanto étranger

l'individuo fa riferimento all’ethnos d’origine

l’individuo non esercita il demos nel paese di immigrazione

integrazione in quanto national

l’individuo abbandona l’ethnos d’origine

l’individuo esercita il demos nel paese di immigrazione

integrazione in quanto citoyen

l’individuo preserva il suo ethnos d’origine

l’individuo esercita il demos nel paese di immigrazione

 

La conclusione dell’indagine sottolinea però il debole legame esistente tra scelta matrimoniale mista e integrazione, riconoscendo all’opposto un forte legame tra matrimonio misto e «inserimento istituzionale», grazie alla possibilità per il coniuge straniero di acquisire con una certa facilità la cittadinanza del partner.

Tra le politiche relative al processo di integrazione degli immigrati rientra quindi a pieno titolo la normativa sull’acquisizione di cittadinanza dato che proprio con tale evento, almeno da un punto di vista formale, si raggiunge la perfetta parità di diritti-doveri rispetto alla popolazione autoctona.

In Italia oggi per lo straniero coniugato con cittadino italiano è facile acquisire la cittadinanza. I requisiti richiesti sono i seguenti: 6 mesi di durata matrimoniale se residenti o tre anni se la dimora è fissata all’estero, ne pregiudicano l’acquisto condanne per reati gravi. Pertanto, la facilità all’acquisizione della nazionalità in seguito al matrimonio e la difficoltà ad ottenere lo status giuridico per gli stranieri residenti, giustifica il fatto che, nel nostro paese, come precedentemente accennato, la tipologia di accesso alla cittadinanza che totalizza il maggior numero di casi è quella per matrimonio [Bisogno-Gallo 2000].

Analizzando i dati sui casi di acquisto della cittadinanza si evidenzia quanto detto rispetto alla realtà francese: non è solo la normativa a condizionare e determinare l’acquisizione della cittadinanza da parte dello straniero, ma vi sono anche tutta una serie di altri fattori - i cosiddetti fattori individuali - quali il progetto migratorio, l’interesse dello straniero a conseguire la cittadinanza del paese in cui vive, la durata della residenza e la provenienza degli immigrati che incidono su una tale scelta.

 

Acquisizione di cittadinanza secondo la tipologia di acquisto su istanza con discrezionalità. Suddivisione dei casi per residenza e dei casi per matrimonio. Anni 1991- 1997.

 

Anno di acquisizione

Acquisizione per residenza

Acquisizione per matrimonio

1991

327

3.831

1992

524

3.680

1993

577

5.377

1994

467

5.373

1995

743

6.587

1996

931

6.200

1997

959

8.630

Totale

4.528

39.678

                                                

Fonte: Istat

 

Nonostante infatti la rilevante presenza sul territorio italiano di immigrati provenienti dal Nord Africa, le provenienze per le quali si sono registrate il maggior numero, o meglio gli incrementi più significativi nel numero delle acquisizioni sono quelli appartenenti all’Europa centro-orientale (in particolare Romania ed ex-Jugoslavia) e all’America Latina (in particolare Argentina e Rep. Dominicana).

Anche la distribuzione per sesso dei dati relativi all’acquisizione della cittadinanza del 1997 ben evidenzia il nesso esistente tra acquisto di cittadinanza e matrimonio misto. Abbiamo detto che a sposare gli uomini italiani sono oggi soprattutto donne dell’Est Europa e del Sud-Centro America, mentre a sposare donne italiane sono ancora soprattutto uomini del Nord-Africa: ecco che nel 1997 l’86% dei riconoscimenti concessi a persone dell’Europa centro orientale ha riguardato donne, così come quelli concessi a persone dell’America Latina (80%). Al contrario la quasi totalità di acquisizioni a favore di uomini si è registrata per i paesi del Nord-Africa.

A questo proposito è da rilevare che, se la maggioranza, se non la totalità delle donne sposate a uomini italiani appena trascorso il tempo «legale» di attesa per la presentazione della domanda di cittadinanza procede per l’ottenimento della stessa, gli uomini stranieri che sposano donne italiane non sembrano essere altrettanto decisi e veloci nel fare questo passo.

È anche vero che diverso risulta essere il percorso di formazione delle due tipologie di coppia mista. Le coppie dove l’uomo è italiano generalmente vedono la donna straniera essere appena arrivata in Italia o addirittura arrivare in Italia proprio a seguito o per matrimonio, ed è soprattutto in tali situazioni che si rilevano i casi di matrimoni fittizi, funzionali all’ottenimento di un documento regolare per soggiornare in Italia. Al contrario, le coppie dove compagno della donna italiana è un uomo del Nord-Africa si formano perlopiù nel nostro paese, nel quale la parte straniera risulta soggiornare regolarmente già da qualche anno. Anche per tali coppie è però da segnalare l’aumento, soprattutto per paesi quali la Tunisia e l’Egitto, ormai meta di vacanze estive, di casi di «immigrazione a seguito o per matrimonio con cittadino italiano».

È comunque evidente come l’attuale normativa rischi di incoraggiare i cosiddetti matrimoni di comodo, non fornendo strumenti per negare effetto ai matrimoni fittizi, salvo che essi non siano impugnati a norma di legge da uno dei due coniugi. Pertanto, nel dibattito oggi in corso sulla necessità di modifica dell’attuale legge relativa all’acquisizione della cittadinanza, questo punto risultà messo in discussione. Le stesse proposte presentate dalla Commissione, su esigenze sollevate dalla ministra Turco, sono orientate soprattutto all’accorciamento dei tempi di attesa per la naturalizzazione degli stranieri non Ue, al facilitare l’acquisizione della cittadinanza ai nati in Italia e all’alzare gli anni di matrimonio e di residenza necessari all’acquisizione per questa via. Scelte queste ultime che avvicinerebbero la nostra legislazione nazionale alle legislazioni vigenti negli altri paesi dell’Unione Europea.

Non è da dimenticare che la «lotta contro i matrimoni fittizi» è riconosciuto come uno degli obiettivi da perseguire per il miglioramento della cooperazione tra gli Stati Ue in materia di immigrazione e di asilo.

Tale politica è d’altronde la sola che può realmente tutelare le stesse famiglie miste. Le unioni di comodo infatti, alimentando pregiudizi nei confronti delle realtà familiari miste, vanno a incidere sui comportamenti sociali - ma anche sulle decisioni di legge - nei loro confronti.

Infine è necessario soffermarsi sul rapporto famiglia mista/servizi. Forse anche perché fenomeno recente, sembra che oggi la famiglia mista con difficoltà riesca a trovare presso i servizi territoriali risposte ai bisogni specifici che la caratterizzano. Il fatto di essere nuclei composti da persone con cittadinanza, cultura, religione e tradizioni familiari molto spesso lontane, pone infatti tali famiglie ad affrontare e superare questioni che richiedono un intervento esterno, sia esso giuridico o di mediazione/supporto familiare, che molto spesso però non risulta essere qualificato per tali interventi. Le diverse categorie di professionisti - dagli assistenti sociali agli avvocati, dagli psicologi agli insegnanti - sembrano nella gran parte dei casi sostenere i nuclei misti riconoscendo con difficoltà la loro bi-appartenenza, di qualsiasi tipo essa sia. Questo non riflette una posizione decisa a priori che vuole il coniuge straniero sposato con un autoctono necessariamente assimilato alla cultura (alla religione, alle tradizioni, alla legge) del paese di residenza, quanto piuttosto la mancanza di una adeguata conoscenza delle problematiche proprie della famiglia mista, e quindi la non conoscenza di efficaci ed efficienti strumenti per intervenire e leggere la situazione nella sua complessità e peculiarità. Ricerche locali in corso nella realtà milanese e romana registrano infatti la richiesta da parte di coloro che operano nei servizi territoriali di un aggiornamento della propria formazione sulle tematiche legate alla presenza di nuove realtà familiari, tra le quali posto di primo piano occupano la famiglia mista e la famiglia immigrata, per la quale peraltro si registra una maggior capacità di intervento rispetto a quella mista.

Questa necessità è stata denunciata più volte dalla Presidenza della Commissione Speciale in Materia d’Infanzia del Senato che ormai da tre anni si è fatta promotrice di un gruppo di lavoro, composto da professionisti delle diverse discipline e da esperti dei diversi ministeri, sul fenomeno della sottrazione internazionale dei minori e sui temi legati alla tutela dei nuclei familiari misti. (5)

Questi sembrano allora poter essere i principali punti di attenzione e le seguenti priorità di intervento:

1. formazione specifica e aggiornata degli operatori-professionisti (avvocati, magistrati, assistenti sociali, insegnanti, ecc);

2. informazione di coloro che direttamente sono coinvolti in una relazione familiare mista sulla legislazione nazionale e internazionale su temi quali la separazione, il divorzio, il riconoscimento dell’affidamento dei bambini, ecc. (molteplici e diversi possono essere gli strumenti e i canali informativi: opuscoli e vademecum in distribuzione negli uffici matrimoni e nei consolati, giornali femminili, ecc.);

3. piano di comunicazione mass-mediatica realistica e non allarmante sulla realtà dei matrimoni isti (si pensi alla strumentalizzazione dei casi di sottrazione di minori);

4. incremento delle ricerche sia locali sia nazionali;

5. modifica della legge sulla cittadinanza;

6. promozione della ratifica delle convenzioni internazionali di tutela dei minori con l’obiettivo di arginare il fenomeno del legal-kidnapping;

7. lavorare a livello Ue per una lettura comune dei testi convenzionali (Aja 1980, Lussemburgo 1980) (6) che hanno trovato ratifica da molti paesi;

8. stipulazione di accordi bilaterali sulle questioni familiari con i paesi da cui maggiormente provengono i partner stranieri.

 

2.3. La sottrazione dei minori. Interventi del ministero degli Affari Esteri

Sugli aspetti legati alla sottrazione dei minori, che in qualche modo sottolineano la necessità di una maggiore sensibilizzazione sul fenomeno, è comunque da rilevare non solo il crescente interesse delle istituzioni centrali - ministero degli Esteri, ministero di Grazia e Giustizia, ministero della Solidarietà Sociale, ministero delle Pari opportunità - ma anche delle istituzioni locali.

Il ministero degli Affari Esteri in questi anni ha svolto una importante attività in questo settore per aumentare la propria capacità di intervento ogni qual volta viene interessato ad un caso di separazione tra coniugi di diversa nazionalità che comporta problemi di affidamento e sottrazione dei minori nati nel matrimonio. Innanzitutto ha realizzato una banca dati dei casi (vd. tabella allegata); ha inoltre messo a punto, sulla base della legge consolare, e delle Convenzioni internazionali, in stretta collaborazione con le altre amministrazioni competenti e con esperti giuridici per esempio di diritto islamico - strategie e procedure di intervento con il precipuo scopo di tutelare i figli in casi di illecita sottrazione. I casi attualmente registrati presso la Farnesina sono 185 dei quali 89 che investono Paesi europei, 76 paesi extraeuropei e 21 con paesi di diritto islamico. Gli Stati Uniti e la Germania sono i Paesi con i quali attualmente si registra il più alto numero di casi (rispettivamente 17 e 16) ed il Marocco quello maggiormente coinvolto tra i Paesi islamici. Il ministero degli Affari Esteri avvalendosi della preziosa collaborazione di esperti interni ed esterni all’amministrazione, ha inoltre predisposto un opuscolo informativo, destinato in particolare ai genitori che rischiano più di altri di subire la sottrazione del proprio figlio minore, con lo scopo di fornire informazioni di carattere pratico, volte sia a prevenire il verificarsi del problema sia a ridurne l’impatto e suggerire possibili soluzioni. Si tratta di consigli generali, dettati dall’esperienza di chi si trova ogni giorno confrontato con questo problema.

Di norma gli interventi che la Farnesina mette in atto, in raccordo con la Sede estera interessata, quando è richiesta di intervenire a tutela e protezione di minori illecitamente sottratti e dopo aver valutato la concreta possibilità di intervento, possono riguardare il coinvolgimento dell’Ufficio Interpol per disporre le ricerche al fine di localizzare il minore illecitamente trasferito o trattenuto all’estero; oppure disporre l’effettuazione, qualora necessario e/o utile, di visite consolari - anche per il tramite dei servizi sociali locali, nel rispetto delle leggi dello Stato in cui si trova il minore al fine di ottenere informazioni sulle sue condizioni di vita e di salute; consigliare un avvocato di fiducia, esperto in materia, per l’eventuale avvio di una procedura giudiziaria in loco, diretta ad ottenere il rientro del bambino in Italia, o ancora di esercitare, nell’ambito delle competenze attribuite al Console dall’art. 34 del D.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200, i poteri di giudice tutelare, con la limitazione che essi producono effetti validi esclusivamente per l’ordinamento giuridico italiano e si riferiscono ai minori interessati soltanto in quanto cittadini italiani.

Alla luce della esperienza maturata in questi anni nei quali il Ministero degli Esteri ha visto aumentare in maniera esponenziale le richieste di intervento in casi di «kidnapping internazionale», è cresciuta parallelamente la consapevolezza di quanto sia necessario che, anche da parte delle Istituzioni, vi sia il massimo impegno per esperire ogni tentativo di conciliazione amichevole con il genitore che ha trasferito il minore, in vista di una definizione positiva della controversia. Efficaci inoltre si sono rivelati in diversi casi gli interventi di carattere più diplomatico presso le autorità locali per esplorare congiuntamente una rapida soluzione del caso, nel rispetto della normativa locale.

Sensibile attenzione viene poi rivolta alla diffusione delle informazioni sul problema della sottrazione internazionale dei minori nel convincimento che soltanto una maggiore consapevolezza da parte degli interessati sulle condizioni giuridiche, socio-psicologiche, legali che contraddistinguono un «matrimonio misto», può limitare la portata dei danni di una separazione, che ricadono principalmente sui figli minori. In tal senso si è provveduto a diffondere presso le Ambasciate nei Paesi islamici e presso i Comuni italiani un opuscolo informativo - redatto dal Codist (Comitato donne sposate a tunisini) contenente utili indicazioni circa la normativa giuridica islamica in materia di matrimonio e filiazione.

L’azione informativa sta ora proseguendo con la redazione del vademecum in particolare dedicato al problema della sottrazione e che verrà distribuito ugualmente presso le Sedi all’estero e i Comuni italiani. Sempre al fine di migliorare l’infor­mazione delle coppie miste ed agire in maniera da prevenire il problema, si intende inoltre incentivare la costituzione in alcuni Paesi di appositi Centri informativi per famiglie miste su modello del citato Comitato già esistente a Tunisi. I Centri, che dovrebbero costituirsi come Associazioni senza scopo di lucro e godere di contributi ministeriali, potrebbero offrire un ampio e dettagliato ventaglio di informazioni a carattere giuridico nonché un supporto logistico e morale alle famiglie in difficoltà, affiancandosi all'azione svolta dalla rete diplomatico‑consolare.

Sottrazione internazionale e tutela di minori

 

Paesi europei

Paesi extraeuropei

Paesi islamici

 

 

Nigeria 1

1

Algeria

1

Austria

4

Costa d'Avorio

1

Egitto

3

Belgio

5

Argentina

6

Giordania

2

Croazia

4

Australia

5

Libano

2

Danimarca

2

Brasile

9

Libia

2

Estonia

1

Canada

2

Marocco

5

Finlandia

2

Cina

1

Mauritania

1

Francia

7

Colombia

4

Siria

3

Germania

16

Guatemala

1

Tunisia

2

Gran Bretagna

5

Mauritius

1

 

 

Grecia

2

Messico

5

 

 

Irlanda

3

Perù

1

 

 

Bosnia

2

Rep. Dominicana

3

 

 

Paesi Bassi

3

Stati Uniti

17

 

 

Polonia

5

Sudafrica

2

 

 

Portogallo

1

Tahilandia

1

 

 

Repubblica-ceca

2

Venezuela

2

 

 

Rep. Slovacca

3

Ecuador

1

 

 

Romania

2

Cile

3

 

 

Serbia

1

Filippine

2

 

 

Spagna

2

Giappone

1

 

 

Ucraina

1

Nicaragua

1

 

 

Svezia

1

Cuba

1

 

 

Svizzera

7

Capoverde

1

 

 

Turchia

1

Etiopia

1

 

 

Ungheria

1

 

 

 

 

Tot. Parziali

89

 

76

 

21

 

Tot. generale 185 al 2.10.2000. (Al 1 gennaio 1999 i casi erano circa 78)

 

3. Il ricongiungimento familiare

Il ricongiungimento familiare degli stranieri è ormai una realtà molto significativa anche dal punto di vista numerico. t un fenomeno visibile nelle grandi città ma diverrà una realtà sempre più comune in tutto il territorio mazionale, proprio in base alla scelta di politica per la famiglia attivata in modo decisivo con la legge n. 40 del 1998. Essa oltre a sancire «il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare nei confronti dei familiari stranieri introduce significative modificazioni nelle nonne sul ricongiungimento familiare [Lostia 1999].

Nel 1998 il ricongiungimento familiare è stato il principale motivo di ingresso in ltalia di persone straniere non europee, pari a 48.492 ingressi. Il numero più significativo degli ingressi ha riguardato il Marocco e l'Albania. Nell'anno successivo (1999) i visti emessi per ricongiungimento sono stati 44.669; mentre nel periodo gennaio 2000‑agosto 2000 i visti hanno raggiunto la quota di 30.082 [ministero Affari Esteri 2000]. Sono sempre il Marocco e l'Albania a primeggiare per il numero di visti (7) [Conti, Strozza 2000].

La maggior presenza di famiglie ricongiunte si ha nelle regioni del Nord Italia. Un fenomeno significativo quello del ricongiungimento che oltre alla stabilizzazione dei flussi migratori prelude anche a grandi cambiamenti. E come nel corso del nostro lavoro di ricerca (8) ci ha detto una donna straniera, il ricongiungimento familiare «non è totalmente negativo, né totalmente positivo», è un processo e un percorso di vita che «delle volte funziona e delle volte no, non può esistere una formula giusta».

Certamente rappresenta un punto di arrivo per le famiglie ma costituisce anche una svolta nel percorso di queste famiglie o di pezzi di queste famiglie, come sottolinea A. Lostia [1999] esso è l'inizio di «un percorso di ricostruzione su nuove basi». Oltre ad essere un istituto che tutela il diritto all'unità della famiglia, con particolare riguardo al diritto dei bambini a vivere con i propri genitori, è uno strumento che può favorire la stabilizzazione dei flussi migratori, e una maggior articolazione di essi nel nostro contesto; è altresì indicatore del grado di stabilizzazione degli immigrati e segno di un maggior investimento nel paese di approdo [Lostia 2000, Tognetti Bordogna 2000, Conti, Strozza 2000]. Ma anche istituto generatore di cambiamenti nelle caratteristiche dei flussi, esso oltre ad avere il tasso di crescita più elevato fra i motivi migratori nel nostro paese, ha raggiunto un grado di femminilizzazione dell'81 % [Pittau 1999].

L'istituto del ricongiungimento rende visibile a tutti che l'immigrazione non è tanto solo il maschio adulto lavoratore in transito ma una presenza stabile che intende mettere nuove radici qui. La presenza del nucleo familiare costringe e determina, specialmente in presenza di bambini, la rottura dell'isolamento a cui troppo spesso è costretto lo straniero, l'apparire di nuovi bisogni e nuove richieste sulla scena delle politiche, ad utilizzare le risorse del territorio in modo differenziato da parte dei diversi membri del nucleo.

Possiamo dire che l'avvio delle pratiche per il ricongiungimento, da parte di un immigrato o un'immigrata, mette in gioco una struttura di saperi sul proprio status e di relazioni sociali in cui è inserito/a, che riflette il processo d'integrazione conseguito, molto di più di altre necessità formali burocratiche alle quali è di vitale importanza adempiere. (9) A spendere, per i consumi qui, e molto di più [Conti, Strozza 2000]. (sic)

L'istituto del ricongiungimento pur riconosciuto come diritto dello straniero, richiede però per diventare tale a tutti gli effetti il superamento di molteplici difficoltà che si manifestano in modo differenziato in relazione al tipo di ricongiungimento e al progetto di ricongiungimento.

Difficoltà di tipo burocratico, comprendere i meccanismi e le regole sottese a questo diritto, la preparazione della documentazione, l'attesa dei tempi tecnici, che variano da regione a regione, da città a città, la reinterpretazione del mandato normativo da parte dei diversi funzionari e dei diversi operatori, la discrezionalità legata alla dichiarazione dell'idoneità degli alloggi. Dai lavori di ricerca (10) è emerso come in molte situazioni i tempi di decisione e attivazione del ricongiungimento siano mal conciliabili con i vincoli procedurali e burocratici, per cui si effettua, specialmente per alcuni gruppi geo‑culturali (Sud America, Filippine) il ricongiungimento indipendentemente dallo «stato dei documenti», incrementando così il numero dei ricongiungimenti illegali o «di fatto».

Questa situazione si incrementa nel caso in cui ci si avvicini alla maggior età (parliamo di minori) o ad un'età a rischio rispetto a ruoli che le condizioni di contesto determinano (età dei 12 anni per i bambini eritrei). Così come si rilevano situazioni limite, collegabili a presunti episodi di «irregolarità» nella richiesta e ottenimento dei documenti necessari per il ricongiungimento, che in alcuni casi diviene l'unica possibilità per uscire dall'impasse burocratica. In sostanza, si delinea un quadro dove è necessario la «richiesta di favori» ad eventuali intermediari istituzionali.

Tale richiesta non sempre è riconducibile a episodi di corruzione o d'illegalità in genere, ma può essere promossa all'interno di semplici reti amicali italiane o etniche, nelle quali un individuo è inserito, senza nessuna contropartita in cambio. In alcuni casi, di fronte alle difficoltà, si attivano delle «reti informative» parallele ai circuiti e alle circolari ufficiali, che sembrano essere molto efficaci, o comunque rassicurano colui che decide di attivare l'articolato iter del ricongiungimento: «la rete dei ben informati».

Il rapporto con le Istituzioni in Italia (Comune, Questura) non rivela, di fondo, problemi urgenti da risolvere, se non le annose questioni come i tempi necessari alla risposta e l'estrema burocratizzazione. Piuttosto i seri problemi con le istituzioni s'incontrano nei paesi d'origine. Infatti, nel momento di attivare il processo, chi deve ricongiungere si trova di fronte a una serie di ostacoli, tra i quali i più importanti sono:

‑ estrema discrezionalità nel processo decisionale (applicazione delle norme) e nella valutazione dei documenti necessari;

‑ tempi estremamente lunghi, rispetto anche ai tempi italiani, nel fornire risposte.

Nella maggioranza dei casi segnalati dai mediatori, da noi intervistati, questi problemi sono risolti con «vere e proprie forme di corruzione». Seguendo questa modalità è possibile risolvere in breve tempo gli eventuali ostacoli e ottenere il permesso al ricongiungimento. Questa pratica, economicamente remunerativa per pochi, ma dannosa per tanti, appare diffusa in diversi consolati. Generalmente, stando alle testimonianze, i corrotti sono in gran parte funzionari italiani. Se da un lato possiamo rilevare come la modalità di avvio del ricongiungimento rifletta il processo d'integrazione, in riferimento alla conoscenza delle leggi e delle relazioni sociali costruite nel tempo dall'immigrato, dall'altro regole certe e trasparenti per garantire l'attuazione di un diritto umano come il ricongiungimento familiare, riflettono il grado di civiltà legale di un paese.

Dalle testimonianze e dalle dichiarazioni degli operatori (11) emerge come in alcune realtà la Questura promuova il ricongiungimento familiare, a partire da una rappresentazione stereotipata dell'immigrato maschio, emigrato da solo, potenzialmente incline a comportamenti devianti. Di fronte a questo pericolo, la presenza della famiglia ed eventuali figli, opererebbe come riduttore di tale potenzialità. Questo riduzionismo sociologico posto in essere dalle istituzioni tenute a stabilire la regolarità o meno delle procedure di ricongiungimento pone una serie di problemi. Da un lato ritenere l'immigrato privo del sostegno familiare come un perenne stato anomico è situazione non reale nei fatti; dall'altro si evidenzia una analisi parziale dei processi migratori.

Le difficoltà psicologiche‑relazionali, si tratta di modificare il progetto migratorio, di strappare parte delle radici per riaffondarle qui, in un nuovo terreno, di ridefinire i rapporti con la società di partenza e con la società di arrivo di instaurare nuovi rapporti con il contesto, di intrattenere rapporti significativi con l'istituzione scolastica, con i vicini, con gli amici del partner migrato prima. Entrare in una relazione più densa con la società di migrazione, le sue istituzioni.

Difficoltà di tipo economico legate ai requisiti posti dalla legge (casa e reddito adeguato) ma anche all'erosione economica che si verifica poiché i membri da mantenere qui comportano costi più elevati di quanto non richiedesse mantenerli là. Scoprire che il contratto di lavoro, che si pensava fosse stato redatto secondo certi parametri e un certo tipo di retribuzione, non contiene questi accordi.

Ricordiamo inoltre un ostacolo, determinato da precedenti scelte economiche, e costituito dalla condivisione con altre persone dell'alloggio. Tale condivisione, che poteva essere funzionale prima del ricongiungimento, può produrre in presenza di parenti, uno stress e un indebolimento della coesione familiare e amicale. (12)

Con il ricongiungimento familiare, di uno o più membri, oltre a modificare il progetto migratorio, si modifica anche il percorso di vita dell'individuo, si rende necessario ripensare le strategie individuali ma anche quelle familiari, i rapporti con il qui e con il là; vengono ridefiniti altresì i propri ruoli all'interno della società e nella famiglia.

 

3. 1. L'istituto del ricongiungimento nella normativa italiana ed europea

La decisione di effettuare il ricongiungimento di uno o più membri della famiglia è una decisione complessa che può essere determinata come abbiamo visto da molti fattori e da diverse motivazioni. Con la legge n. 40/98 tale istituto è stato ampliato. Sulla base della normativa può richiedere il ricongiungimento colui che è titolare di una carta di soggiorno, coloro che hanno un visto di ingresso per lavoro subordinato o un lavoro autonomo non occasionale, così come possono richiedere il ricongiungimento coloro che si trovano in Italia per studio o per motivi religiosi.

Chi è in possesso di carta di soggiorno o abbia un permesso di soggiorno non inferiore a un anno può richiedere il ricongiungimento per il coniuge, non legalmente separato, i figli minori a carico (affidati, adottati o sottoposti a tutela), i figli minori nati fuori dal matrimonio, i figli minori non coniugati o legalmente separati (previo consenso dell'altro genitore se esiste), i genitori a carico, i parenti entro il terzo grado a carico o inabili al lavoro (cfr. legge 40/98 art. 27).

Lo straniero che intende richiedere il ricongiungimento deve dimostrare di avere un reddito adeguato al numero dei familiari a carico e un alloggio idoneo, secondo i parametri minimi definiti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, idoneità rilasciata dall'ente locale. Può altresì chiedere il ricongiungimento al figlio minore soggiornante regolarmente in Italia, il genitore naturale. Questi dovrà dimostrare, entro un anno di possedere un alloggio e un reddito sufficiente.

Gli stranieri autorizzati al ricongiungimento ottengono un permesso di soggiorno per motivi familiari. La nostra legislazione al pari della legislazione di diversi paesi europei, che si stanno orientando, secondo una relativa uniformità [Lostia 2000; Bemini, Bracalenti, Ipsen, Wilcox 2000, Council of Europe 2000] cerca di conciliare la volontà di contenere i nuovi ingressi e la volontà di favorire la riunificazione delle famiglie.

Punti di accordo o di similitudine nelle diverse legislazioni riguardano i requisiti che sono richiesti al familiare già in immigrazione; i componenti della famiglia ammessi per ricongiungimento, i diritti e i doveri dei membri che si sono ricongiunti. Più legati alle specificità dei singoli paesi sono invece gli aspetti relativi alle procedure e alle istituzioni interessate; i diversi permessi di soggiorno che danno diritto alla riunione del nucleo familiare; le disposizioni relative ai rifugiati e ai richiedenti asilo nonché i principali nodi e ostacoli determinati dall'applicazione delle norme.

Per ciò che concerne il requisito del reddito e dell'abitazione, la Svezia, fra i paesi più garantisti, non prevede alcuna prescrizione particolare, mentre altri paesi (Germania, Olanda, Gran Bretagna) generalmente richiedono il possesso di una casa e di un reddito adeguati. Per quanto riguarda la casa sono richiesti requisiti di abitabilità e il rispetto degli standard nazionali validi per l'assegno sociale sulla casa (Francia). Mentre per il reddito sia la Norvegia che la Francia, come del resto l'Italia, stabiliscono un reddito minimo fissato per legge. In Olanda è sufficiente dimostrare di percepire uno stipendio di entità minima fissata dalla legge, sono previste agevolazioni per alcune categorie di immigrati.

I familiari ammessi al ricongiungimento sono individuati da una legislazione assai flessibile che comprende per alcuni paesi la possibilità di ammettere anche il ricongiungimento delle coppie omosessuali (Svezia, Olanda), è esclusa in generale la poligamia.

Le coppie di fatto non sono ammesse in Gran Bretagna, Francia, Germania e in Italia (anche se recentemente in Italia una sentenza della Corte Costituzionale ha riconosciuto ‑ per l'integrità familiare in presenza di minore ‑ la possibilità di usufruire del ricongiungimento per una coppia non sposata (13) ). Mentre in Olanda le coppie di fatto debbono dimostrare la «serietà» della relazione.

I figli nella maggior parte dei paesi possono essere ricongiunti se minori di 18 anni (unica eccezione la Germania che fissa a 16 anni tale possibilità) se non coniugati e a carico del genitore già in immigrazione. Mentre i genitori degli immigrati residenti non sono ammessi in Francia, Belgio, Germania e Svizzera; in Norvegia il ricongiungimento può essere richiesto ma non costituisce un diritto. L'Italia da questo punto di vista risulta più aperta in quanto pone il solo vincolo dei genitori a carico del figlio emigrato.

Altri parenti possono essere ammessi in caso di situazioni particolari (Germania, se esiste una situazione di particolare gravità), in Italia susiste il principio dei parenti a carico o inabili al lavoro entro il terzo grado.

Per quanto concerne i diritti e i doveri sottesi ad un processo di acquisizione di cittadinanza, essi sono legati ad una permanenza stabile sul territorio nazionale. In Italia invece l'elemento determinante del diritto di cittadinanza è costituito dal rinnovo del permesso di soggiorno e quindi da una relativa incertezza, poiché le contingenze della vita possono condizionare fortemente la possibilità di rinnovo.

I membri della famiglia sono sostanzialmente ancorati nel loro diritto di cittadinanza al grado di stabilità di chi effettua il ricongiungimento. Come sottolinea A. Lostia si pone il problema certamente di garantire il diritto al nucleo familiare di vivere unito, ma anche di come garantire i diritti individuali dei singoli membri.

In alcuni paesi (Olanda, Norvegia, Germania) la moglie e i figli che lasciano l'abitazione familiare in casi di maltrattamento e violenza hanno diritto a un permesso di residenza autonomo prima dei termini di tempo norinalmente prescritti. La Germania stabilisce che i figli che compiono 16 anni se soggiornano legalmente nel paese da almeno 8 anni, hanno diritto alla permanenza illimitata indipendentemente dal permesso dei genitori. In Olanda è prevista l'acquisizione di un permesso di soggiorno autonomo al compimento dei 18 anni, o prima di questa età, purchè siano vissuti legalmente per un anno con i genitori cui sono ricongiunti.

Nel proecesso di armonizzazione delle politiche migratorie in atto all'interno dell'Unione Europea un primo passo importante è stato compiuto proprio in tema di ricongiungimenti familiari. Lo scorso 6 settembre il Parlamento europeo ha approvato (323 voti a favore, 212 contro e 38 astensioni) la direttiva sul ricongiungimento faniiliare per i cittadini dei paesi terzi residenti legalmente in uno Stato membro e per i cittadini che non esercitano il loro diritto alla libera circolazione (COM (2000) 624 final, Brussel 10.10.2000). Una direttiva che, pur assumendo la definizione di famiglia nella sua accezione più ampia, definisce standard minimi di accoglienza e lascia agli Stati membri il diritto di dotarsi di regole più favorevoli, introducendo anche la possibilità che non siano esclusi dai ricongiungimenti i genitori e i figli maggiorenni del capo famiglia.

 

3.2. Le forme del ricongiungimento

Molto più articolata è invece la dinamica legata al ricongiungimento effettivo. Le ricerche confermano la necessità di pensare il ricongiungimento familiare in termini plurali. Pluralità di forme, di pratiche, che variano tra i diversi gruppi geo‑culturali, che all'interno dello stesso gruppo geo‑culturale di riferimento. Casistica vasta che evidenzia le contingenze del progetto migratorio, suscettibile di cambiamento nel tempo. Poichè oltre ad essere plasmata dal dettato legislativo e dalla sua reinterpretazione è condizionata dai progetti individuali e del nucleo, dalle condizioni di vita e di contesto sia di chi effettua il ricongiungimento che di colui che è ricongiunto.

Il ricongiungimento assume forme plurali attivando un processo di stabilizzazione dalle forme e dalle modalità molteplici [Tognetti Bordogna 1995]. Abbiamo richieste di ricongiungimento da parte di membri di famiglie che si erano temporaneamente divise dopo che si erano costituite nel Paese d'origine, prima dell'atto migratorio; trascorso un numero significativo di anni e create le condizioni economiche adeguate, i coniugi rimasti «separati» anche per molto tempo, decidono di ricongiungersi, di ricostituirsi quale coppia.

Consideriamo questo il vero ricongiungimento poiché è la modalità usata con maggior frequenza dagli immigrati. Ricongiungimento che al suo interno può essere distinto in: ricongiungimento al maschile, se chi ricongiunge è il maschio, modalità prevalente nei paesi del Nord Africa; ricongiungimento al femminile, se chi ricongiunge è la femmina. Ci riferiamo a quelle situazioni (Filippine, Perù, Salvador) in cui sono partite per prime le donne e create le condizioni, arrivano in un secondo momento i mariti e/o i figli o solo i figli.

I partner che seguono questa forma di ricomposizione sono spesso chiamati a ridefinire i ruoli e il tipo di reticolo di sostegno che era stato costruito qui in quanto singoli. A loro è richiesto anche di ricostruire una nuova relazione di coppia fra persone che possono essere diventate estranee dopo una lunga separazione, vissuta in contesti diversi.

Questo nucleo sperimenta la duplicità della relazione di coppia; quella sperimentata là subito dopo il matrimonio e fino alla decisione di migrare di uno dei membri, e quella che dovranno sperimentare qua dopo che ogni membro, nel corso della fase migratoria dei singolo, aveva già elaborato un modo compensativo di fare famiglia, elaborando autonomamente l'assenza, la separazione e l'attesa.

Rileviamo poi il ricongiungimento in coppia che riguarda i genitori partiti lasciando i figli al paese d'origine, scelta dettata dalla volontà di far effettuare gli studi nel paese d'origine, o perchè non vi erano ancora le condizioni economiche sufficienti per partire tutti assieme, e solo successivamente decidono di ricongiungerli, all'interno di queste modalità possiamo trovare anche la formula selettiva o privilegiata: i figli arrivano secondo tempi diversi di norma prima i maschietti poi le femminucce, i membri della famiglia vengono ricongiunti separatamente e «selezionando» chi è opportuno che parta per primo ( il figlio maschio o la figlia femmina; è prima il figlio poi la madre) anche per lasciare nel paese qualche testimone della continuità identitaria, ricongiungimento asincronico.

I ricongiungimenti familiari possono essere ulteriormente distinti in ricon­giungimenti:

- per scelta, quando vi è la condivisione del progetto da parte di tutti i membri del gruppo familiare;

- per volontà di uno dei componenti, abbiamo riscontrato come frequentemente prevalga la volontà di colui che è economicamente più forte;

- nel momento migliore, quando le condizioni economiche e abitative sono ritenute adeguate da chi decide di procedere al ricongiungimento, non necessariamente questa «adeguatezza» corrisponde ai requisiti di idoneità richiesti dalla legge e dai diversi soggetti chiamati ad implemenatre tale istituto;

- subordinati, anche questo tipo di ricongiungimento come il precedente viene rinviato in attesa che si verifichi una certa condizione: che i piccolini siano più grandicelli, che i nonni siano guariti, ecc..

Più recentemente abbiamo rilevato la presenza di ricongiungimenti a fini fiscali, ossia i familiari sono ricongiunti per un periodo limitato, per ottenere le agevolazioni o le integrazioni fiscali previste dalla legge a favore dei nuclei familiari, poi dopo un certo periodo la famiglia o parti della famiglia ricongiunta, viene rinviata nel paese d'origine, o comunque trascorre lunghi periodi là. Questo percorso di tipo strumentale può occultare situazioni di nuclei che non riescono a ritrovare i ritmi e i tempi della convivenza qui.

Abbiamo riscontrato anche la presenza di ricongiungimenti temporanei o a pendolo, finalizzati a far studiare qui i figli, o per farli nascere qui, dando così loro «una potenzialità» di cittadinanza italiana; oppure altre situazioni in cui si ricongiunge il partner per motivi di salute o per «utilizzare» servizi più qualificati e poi terminata la situazione contingente il membro è fatto rientrare nel paese di origine.

Per alcuni gruppi geo‑culturali (egiziani) è frequente un ulteriore tipo di ricongiungimento, ci riferiamo a quelle famiglie che si compongono nel momento in cui il partner, normalmente l'uomo, rientra al proprio paese per sposare una giovane donna che poi lo seguirà all'estero. Siamo di fronte a una donna che diviene allo stesso tempo, moglie, immigrata e spesso madre.

A fianco dell'inesperienza determinata da nuovi ruoli, come la gestione della casa, l'essere immigrata in un Paese sconosciuto di cui non possiede la lingua, si sommano le difficoltà di convivenza con un uomo poco conosciuto se non del tutto sconosciuto. Abbiamo definito questo tipo di comportamento come ricon­giungimento di secondo livello proprio per le modalità in cui avviene. Tipo di ricongiungimento che pur ricco di tensioni, è anche portatore di innovazione, di cambiamento, di potenzialità.

L'individuo che rientra in patria per sposare una connazionale oltre a contribuire a salvaguardare l'eredità culturale, ad autodifendere il gruppo d'appartenenza è contemporaneamente portatore di novità, di cambiamento, di emancipazione per una donna che in molti casi non avrebbe altro modo per staccarsi, per separarsi dalla tradizione del Paese d'origine.

Ricordiamo ancora il ricongiungimento forzato, previsto dalla Legge n. 40/1998 riguardante quel genitore che viene ricongiunto in modo obbligato perchè ritenuto necessario allo stato di salute del minore che si trova già in immigrazione.

Così come troviamo con una certa frequenza, prevalentemente dagli ex paesi dell'Est, ricongiungimenti per prostituzione. Siamo in presenza di individui che tornano in patria a sposarsi una giovanissima ragazza che sarà poi portata in Italia per essere avviata alla prostituzione e spesso ceduta poi ad altri.

Modi di fare famiglia che spesso si intrecciano e si sovrappongono originando forme complesse.

Questa pur sintetica tipologia lascia trasparire che i ricongiungimenti così variamente motivati, pongono diversi problemi oltre che avere in sé grandi potenzialità. Si tratta di rimettere assieme soggetti che sono rimasti separati per lungo tempo e che sono richiesti di fatto di aggiustare, reinterpretare le reciproche relazioni, trovare nuovi equilibri: non è cosa facile ridefinire i propri ruoli famigliari, in un nuovo contesto. Un istituto di stabilizzazione ma che, come già anticipato nelle prime note di ricerca (14) può, se non sostenuto, diventare in alcune situazioni un istituto di destabilizzazione.

Circa i membri che sono ricongiunti oltre al partner e ai figli si sta verificando la presenza di ricongiungimenti messi in atto da donne sole che richiamano il figlio precedentemente mandato o nato in patria; nonni che vengono chiamati per ricompattare una famiglia allargata, o per svolgere il lavoro di cura nei confronti dei nipotini piccoli.

 

Problemi e prospettive

Molti i cambiamenti determinati dall'istituto dei ricongiungimento; sul piano culturale, si creano le condizioni per una maggior interazione con il contesto, con il sistema delle risorse, con il sistema dei servizi alla persona e i loro operatori, secondo un andamento incrementale; sul piano economico vi è un maggior investimento qui e un aumento della spesa per i consumi quotidiani, oltre una diversificazione negli stessi consumi.

Le ricerche [Conti, Strozza 2000] hanno chiaramente evidenziato come gli immigrati con famiglia si caratterizzino per un'alta stabilità economica e lavorativa e un alto livello di consumi, mentre i migranti senza famiglia sono caratterizzati da una maggior instabilità lavorativa e per una contrazione dei livelli di consumo. Cambiamenti legati anche a tensioni fra individui che hanno vissuto in contesti diversi e che si trovano a convivere.

I membri del ricongiungimento sono costretti ad un riadattamento reciproco specialmente se il tempo e la distanza ha trasformato e reso non più intimi i partner. Situazione che può aggravarsi in quei casi in cui si verificano tensioni anche sul lavoro perché la presenza dei membri della famiglia può alterare i ritmi e la disponibilità totale al tempo lavoro che si verificava prima, quando lo straniero era solo.

Inoltre sempre dalle ricerche italiane ed europee, emergono segnali relativi al fatto che avere una famiglia in Italia tende ad aumentare la probabilità di essere collocato al lavoro, ma allo stesso tempo tende a ridurre l'impegno lavorativo, in termini di ore lavorative mensili. Ciò può essere spiegato con il cambiamento del progetto migratorio, in presenza della famiglia, che da progetto temporaneo diviene progetto a termine o permanente, l'immigrato perseguendo l'obiettivo di fare famiglia o di ricomporla qui, diminuisce l'impegno lavorativo per poter soddisfare altre esigenze della famiglia, o per sostenere gli sforzi di articolazione del nucleo ricomposto qui con la società ospitante.

Interventi di supporto alle famiglie in transizione sono dunque necessari poichè i bisogni, la domanda, mutano. Aumenta la domanda di politiche d'integrazione e di inserimento, si differenzia la richiesta di servizi e prestazioni, di alloggi idonei a ospitare nuclei familiari ricomposti. Cresce la domanda di risorse istituzionali, di garanzie economiche, previdenziali, anche in seguito all'inserimento delle donne nel mercato del lavoro.

Si verificano mutamenti, sul piano demografico: l'abbassamento dell'età dei componenti immigrati conseguente alla presenza di minori, un maggiore equilibrio nella composizione per sesso, e una modificazione per sesso, dei flussi.

Oltre a sentimenti di solitudine, di inadeguatezza, di isolamento, di incom­prensione, di dipendenza, reale o simbolica, il ricongiungimento comporta una ridefinizione dei ruoli, dei rapporti all'interno del nucleo familiare fra i partner, fra le generazioni; all'esterno della famiglia, con gli amici, con i colleghi di lavoro, con gli insegnanti e con altri servizi alla persona. Così come i ruoli fuori e dentro la famiglia possono essere alterati, può manifestarsi un sentimento di abbandono poiché il ricongiunto non ha più quella rete di sostegno a cui era abituato, la sua rete relazionale, e il partner qui, che lavora, non sempre ha il tempo o la forza di dedicargli l'attenzione di cui necessiterebbe. Un sentimento di doppia estraneità può invadere il partner che è stato ricongiunto; estraneità dal contesto, ma anche estraneità dal partner. Può vivere sentimenti di abbandono, perché ha realmente abbandonato gli amici e altri familiari, perché non sempre il coniuge, ha del tempo da dedicargli. E nei casi in cui sia possibile ritagliare del tempo per il nuovo arrivato è un tempo da questi vissuto come insufficente ed inadeguato.

 

Appendici

 

a) Il ricongiungimento delle donne

In particolare per le donne ricongiunte, se neo-madri, diventare madre nella migrazione poco tempo dopo l’arrivo nel nuovo paese può significare vivere questo evento cruciale della propria biografia in situazione di forte discontinuità rispetto alla propria storia, ai legami con la famiglia d’origine e al gruppo di appartenenza, con i saperi e i saper fare sedimentati da tempo, protettivi e rassicuranti. È soprattutto il primo figlio, il cosidetto «bambino della transizione» a dover «portare» le ansie e le paure della neo-madre, le sue difficoltà di relazione con i servizi, i vissuti di rottura rispetto alle conoscenze precedenti, le tecniche di maternage e di cura che vengono proposte nel nuovo paese. Vi è a volte il rischio che - messa a confronto con scelte tra modelli di cura tradizionali e modelli di cura e concezioni dell’infanzia «moderni» - la madre immigrata adotti un sistema di maternage fortemente impoverito; bloccato da timori e scelte contraddittorie; ridotto nei gesti e nei messaggi verbali e non verbali.

Per le donne può verificarsi (15) anche la messa in discussione del ruolo cul­turalmente definito della figura femminile.

Questa messa in discussione è il trait d’union tra le diverse narrazioni sull’attivazione e l’esito del processo di ricongiungimento. Il caso più indicativo riguarda il ricongiungimento delle donne provenienti dall’area nordafricana di cultura musulmana. Per la donna magrebina, l’arrivo in Italia, pone una serie di problemi con i quali deve confrontarsi.

In primo luogo, la mancanza del supporto della cosiddetta «famiglia allargata femminile», che consentiva nel paese d’emigrazione di uscire dall’ambiente domestico; una possibile conseguenza è una progressiva segregazione nella casa della donna immigrata, che, a sua volta, non permette la ricostruzione di legami amicali e affettivi che possano sostenerla nei momenti critici dell’esperienza d’inserimento nella società locale; un’altra conseguenza segnalata ditale isolamento, per certi aspetti involontario, è il rinchiudersi sempre di più nella dimensione religiosa che offre un sostegno forte alla propria identità di donna immigrata.

Con riferimento a quanto detto sopra, la situazione diviene più difficile in presenza dei figli. In questi casi, l’impossibilità di fare affidamento alla rete parentale o amicale impedisce, di fatto, possibili scelte di vita, ad esempio un progetto lavorativo esterno e conseguentemente un processo di parziale autonomia dal marito. Questo «estraniamento» ha delle ripercussioni nel tempo sulla qualità della vita familiare, poiché viene a mancare un elemento di supporto, ad esempio, per il processo di socializzazione dei figli come nel caso dell’apprendimento della lingua italiana e i rapporti con l’istituzione scolastica.

A fronte di un vissuto delle donne ricongiunte segnato da un forte disagio, collegabile non solo alla mancanza delle relazioni affettive, ma anche alla perdita della propria identità lavorativa, emerge una consapevolezza a resistere, per non venire meno al modello culturale di riferimento, il quale presuppone la vicinanza alla figura maschile.

Nella relazione tra moglie e marito, a volte è segnalato un irrigidimento del ruolo maschile tradizionale, che ostacola nelle donne una strutturazione di eventuali relazioni esterne alla famiglia nel paese d’immigrazione, anche in quei casi dove la donna prima del ricongiungimento lavorava a tempo pieno.

Da questa sintesi dei principali problemi che la donna musulmana deve affrontare, al momento dell’arrivo e all’inizio del periodo di risocializzazione alla nuova realtà, emerge un quadro articolato dove si relazionano molte variabili non tutte riconducibili ad un modello culturale, il quale predeterminerebbe i comportamenti e le diverse modalità di relazione tra i generi all’interno della famiglia. Alcune esperienze di donne musulmane ricongiunte, rivelano una presa di distanza da eventuali vincoli «culturali» e una presa di coscienza delle proprie potenzialità, che le permettono di rinegoziare il suo ruolo di donna, madre e moglie. In questi specifici casi, il confronto critico con la realtà della società d’immigrazione assume un valore positivo nel senso di miglioramento delle condizioni di vita.

Ragionando sull’esperienza di donne provenienti da altre aree con un progetto autonomo d’emigrazione/immigrazione (America Latina, Filippine), ritroviamo molte delle problematiche discusse sopra e alcune di nuove. La mancanza di un supporto amicale e parentale, la difficoltà di pensare ad un progetto di famiglia tenuto conto, in prevalenza, delle condizioni alloggiative presso la famiglia del datore di lavoro e dei tempi di vita, la difficoltà dell’uomo o marito ricongiunto di accettare un ruolo passivo, la presenza dei figli come ostacolo al mantenimento del lavoro. Appare evidente come il ricongiungimento familiare, sia in un caso sia nell’altro, produce effetti contrastanti, impossibili da valutare nel suo complesso.

Indubbiamente, come ci ricorda Zerahoui [1994], parlare di famiglia immigrata ricongiunta, significa esprimersi in termini di processo, di un continuo mutamento delle condizioni materiali ed esistenziali entro le quali si formano i progetti e le relazioni familiari ed extrafamiliari. La stessa figura maschile si ritrova a mutare atteggiamenti e comportamenti in funzione dei nuovi ruoli che dovrà assumere [Perotti, 2000]. In alcune interviste a maschi maghrebini, emergono con chiarezza le incertezze, le paure di fronte ad un radicale cambiamento dello stile di vita e all’assunzione del ruolo di garante della tradizione soprattutto nei confronti dei figli. A riguardo dei figli inoltre, assistiamo a dei conflitti che sorgono nel rifiuto dei modelli culturali dei genitori. Questo avviene, prevalentemente, quando i figli sono preadolescenti e dunque tendono a formarsi un’identità individuale e sociale che ha come riferimento la cultura occidentale dei coetanei autoctoni.

 

b) Il ricongiungimento dei minori

Sulla base delle ricerche (16) e della letteratura [Favaro, Genovese 1996; Tognetti Bordogna 2000] emerge come fra le possibili difficoltà della famiglia ricongiunta, ma ciò vale per la famiglia della migrazione con prole in generale, quella legata alla funzione genitoriale ed educativa sia quella che desta più preoccupazioni.

È presente nella famiglia ricongiunta la preoccupazione di non costituire più il punto di riferimento, il modello per la crescita del figlio, anche perché non sempre possono essere trasmessi, o non sempre si ha la forza di trasmettere, tutti gli elementi identitari, i codici culturali della società di origine. Lo stesso minore può rifiutare questi ultimi comunque importanti per la sua crescita armonica. I rapporti fra le generazioni inoltre richiedono di essere ridefiniti e aggiustati proprio in relazione al nuovo contesto, alle diverse e nuove condizioni di vita.

I bambini e i ragazzi ricongiunti si trovano di fronte molteplici sfide che debbono essere affrontate subito dopo l’arrivo. Devono ritessere fili affettivi nei confronti del genitore, o di entrambi i genitori, ai quali si ricongiungono. Genitori che possono essere considerati estranei, perchè partiti tempo addietro e visti durante il periodo della separazione in maniera saltuaria e in un differente contesto. Il tema dei distacchi e della separazione è quindi centrale nella storia di vita dei bambini e dei ragazzi ricongiunti. Separazione dal genitore emigrato, all’origine; separazione dalle figure parentali e affettive che li hanno cresciuti fino a quel momento in patria, al momento del ricongiungimento. Essi devono inoltre trovare dentro di sé risorse e motivazioni importanti e consolidate per potersi inserire nella nuova scuola, con i pari, imparare la ùuova lingua sia per comunicare nel quotidiano, sia per studiare, apprendere, riuscire.

Al momento dell’arrivo nel nuovo paese vi possono essere inoltre altre emozioni e vissuti che accompagnano la prima fase dopo il ricongiungimento: la perdita delle illusioni e delle aspettative precedenti ad esempio, oppure la «caduta» dell’immagine paterna, ritenuta fino a quel momento potente e prestigiosa o ancora, il confronto improvviso con relazioni e legami (della madre, ad esempio) inaspettati e fonte di disagio psicologico.

Gli elementi precedenti - che hanno a che fare con le relazioni e i legami intrafamiliari e con il rapporto con la scuola e il mondo esterno - sono acuiti se vissuti nell’età dell’adolescenza: spesso i ragazzi ricongiunti hanno subito la decisione dei genitori o del genitore e si trovano a partire all’improvviso, senza averlo scelto.

L’arrivo nel nuovo paese comporta inizialmente forme di dipendenza, perdita dei legami, dei riferimenti e dell’immagine di sé, blocco in un percorso di autonomia, che sono difficili da accettare. (17) Condizione aggravata da un inserimento scolastico in situazione di svantaggio linguistico, di ritardo rispetto alla classe, di distanza nei confronti dei pari, si acuisce così il vissuto di isolamento e di perdita. Il minore ricongiunto può inoltre trovarsi in una situazione di doppio rifiuto specialmente nella fase adolescenziale in quanto può essere rifiutato o sentirsi rifiutato dai coetanei perchè cresciuto altrove o perchè presenta caratteri somatici differenti e allo stesso tempo non si riconosce più nei valori e nelle tradizioni della famiglia di appartenenza. Il ricongiungimento del minore in queste condizioni può determinare la perdita di parti (rimozione, buchi della memoria) importanti della propria biografia e di quella fafriiliare. Sentimenti, vissuti, che nel tempo possono portare ad un incremento dell’aggressività, tensioni, non solo nei confronti del minore, ma anche fra gli stessi genitori, con non pochi casi di vera e propria violenza e/o di abuso.

I fattori che sembrano avere un peso maggiore rispetto alla riuscita, o viceversa alle difficoltà, del ricongiungimento dei minori sembrano essere i seguenti:

- l’età dei figli ricongiunti;

- le modalità e i tempi deI ricongiungimento: con chi arrivano, dopo quanto tempo dalla partenza dei genitori/del genitore; in quale momento e perchè arrivano; la condizione giuridica dei ricongiunti;

- il «quadro» dell’accoglienza: la preparazione o viceversa l’improvvisazione del ricongiungimento; le condizioni di vita della famiglia in Italia; la composizione della famiglia che accoglie.

Per quanto riguarda l’età al momento dell’arrivo, sembrano essere facilitati i bambini più piccoli, nella fascia di età prescolare o della scuola elementare. Difficoltà maggiori - di tipo relazionale e di inserimento - si rilevano tra i ragazzi preadolescenti e adolescenti che possono incontrare problemi scolastici e linguistici; resistenze a staccarsi da un mondo di affetti e di amicizie più consolidati e a ritessere fili affettivi nella situazione di arrivo.

Le forme di rifiuto ad essere qui, senza avere spesso potuto scegliere o partecipare alla scelta, sembrano più diffuse fra i ragazzi e le ragazze più grandi. Questi fattori di criticità sono in genere collegati anche alle modalità e ai tempi di arrivo. A volte i figli arrivano in Italia da soli e vivono l’esperienza della riunificazione familiare (e delle perdite che ad essa si accompagnano) nella solitudine e nel silenzio. Altre volte giungono insieme alla madre - che rappresenta la continuità tra il prima e il dopo, tra le parti diverse della propria storia - e con la quale potere condividere ricordi ed evocazioni.

In alcuni casi il ricongiungimento è improvviso, non preparato e avviene in seguito a fatti imprevisti accaduti alle persone che si prendevano cura del minore in patria e al venir meno della situazione di protezione (la morte di un nonno, le mutate condizioni familiari...). Nei casi positivi il ricongiungimento è invece preparato con cura e presentato/proposto al figlio che può così sapere in anticipo che cosa succederà. I bambini e i ragazzi hanno modo in questo secondo caso di vivere l’attesa, di fantasticare e progettare la partenza e l’arrivo nel nuovo paese; di anticipare le condizioni della propria vita in un nuovo contesto. Quando la partenza è invece improvvisa si trovano catapultati nella nuova realtà senza che vi siano stati in precedenza tempi e possibilità di elaborare il distacco e di investire - simbolicamente, affettivamente - rispetto al nuovo paese.

Il quadro dell’accoglienza può offrire condizioni di vita adeguate, serene, sia rispetto alla famiglia già presente qui, sia rispetto alle capacità di accoglienza del territorio, della scuola e dei servizi. Il genitore può aver preparato questo momento, aver preso i contatti con i servizi educativi, aver riorganizzato lo spazio della casa sulla base delle esigenze dei bambini. Viceversa, i minori ricongiunti si possono trovare in una situazione familiare ancora segnata dall’emergenza, dalle difficoltà economiche e dalla difficoltà di alloggio.

In alcuni casi, i figli che arrivano si trovano a dover prendere atto con sorpresa di situazioni affettive nuove e impreviste: la madre, ad esempio, convive con un partner italiano e da questa unione possono essere nati fratellini o sorelline fino a quel momento sconosciuti e ignorati.

Un’ultima questione, a nostro avviso, può pesare sulla famiglia ricongiunta sottoposta come abbiamo visto a bruschi passaggi, a transizioni, a fratture, la fragilità e il peggioramento delle condizioni economiche. Infatti la famiglia ricongiunta, almeno all’inizio del ricongiungimento è spesso una famiglia monoreddito o comunque una famiglia dal reddito invariato in presenza di più membri dai bisogni differenziati, dotati di una specifica propensione alla spesa. Ma anche maggior difficoltà economica determinata dal permanere di qualche forma di obbligo economico con la famiglia di origine, dall’assenza pressoché totale di reti parentali che aiutino, anche con beni in natura, dalle difficoltà di accedere alle opportunità locali e quindi non sempre in grado di selezionare quelle meno onerose. Una famiglia che ha sostenuto da poco spese rilevanti, per intraprendere il viaggio del ricongiungimento dei suoi membri, e che a volte si è indebitata per portare a termine il suo progetto.

 

Conclusioni. Possibili azioni di politica sociale

La complessità, ma anche la potenzialità dell’istituto del ricongiungimento richiede forme di politiche attive finalizzate a rendere meno complesso e aleatorio da un punto di vista burocratico tale istituto, ma anche politiche di sostegno e di accompagnamento specialmente nelle fasi critiche del progetto e dell’attivazione del ricongiungimento.

Politiche per la famiglia, per chi attiva il ricongiungimento ma anche politiche selettive per i singoli, perchè ricongiunto. Politiche che oltre a predisporre le condizioni materiali posano aiutare a «costruire» condizioni psicologiche adeguate.

Si tratta di sostenere i partner affinché comprendano appieno a quale tipo di viaggio spaziale, psichico, mentale saranno sottoposti prima, durante e dopo il viaggio per il ricongiungimento. Quali saranno le condizioni reali di vita. Di comprendere il tipo di transizione cui saranno sottoposti loro, le loro famiglie, i loro congiunti. Di attivare politiche che perseguano l’obiettivo di una miglior articolazione della famiglia, degli individui nel nuovo contesto anche mediante azioni informative circa i diritti e i doveri della famiglia ricongiunta, nonché per orientarli all’uso dei servizi e delle risorse del paese di arrivo.

Sono allora necessarie azioni di politica ma anche luoghi, momenti, reali e simbolici, in cui sia possibile conciliare il qui e il là, coniugare ambiti fisici e non, per dare senso al nuovo progetto migratorio o ai mutamenti a cui è sottoposto il «vecchio» progetto migratorio. Luoghi e ambiti della parola ma anche dell’ascolto per i diversi membri, affinchè proprio mediante un dialogo fra le molte pratiche e i diversi ruoli sia possibile collocarsi positivamente in un diverso e nuovo contesto. Così come sarà necessario attivare delle iniziative (formative, di sensibilizzazione, di conoscenza) intreristituzionali affinché ostacoli burocratici, ostacoli derivanti da reinterpretazioni del mandato normativo, di tipo soggettivo da parte degli operatori, siano superati.

Ricordiamo che così come ci suggerisce Bagnasco [1999] conoscere e conoscersi contribuisce a creare fiducia.

Politiche finalizzate a creare a livello locale azioni di accompagnamento, sia di tipo informativo che di tipo psico-sociale. Le azioni a livello locale sono essenziali poiché è in questi contesti che si manifestano le diverse pratiche del ricongiungimento, messe in atto dai diversi gruppi geo-culturali, ed è qui che si verificano le molte forme della reinterpretazione del mandato normativo da parte degli operatori delle istituzioni.

Politiche che oltre a mobilitare le risorse locali possano attivare e mettere in gioco le risorse sia di tipo individuale che di coppia, ma ciò si può verificare solo mobilitando e coinvolgendo soggetti sociali diversi. Azioni certamente finalizzate a chi in prima persona utilizza il ricongiungimento ma che abbiano effetto anche sul contesto e sulle diverse istituzioni. Proprio perché le politiche sono maggiormente efficaci se si inseriscono e si collegano, fanno sistema, con le azioni e con i servizi, le risorse, già presenti su di un dato territorio. Obiettivo essenziale delle politiche, perché il ricongiungimento familiare presuppone un rapporto più serrato tra le culture del qui e del là, e quella della transizione. Ma anche perché solo così la famiglia ricongiunta potrà essere attore delle politiche. Un maggior e differenziato uso dei servizi, politiche locali e di sistema potranno attivare i diversi soggetti sociali di quel contesto (dai vicini ai servizi formali e informali) in modo coerente alle forme e ai bisogni relazionali dati.

Fra le molte azioni di politica sociale che il nostro sistema può implementare possiamo distinguere quelle rivolte alla famiglia in generale o ai singoli componenti.

Per quanto riguarda la famiglia ricongiunta sono opportune e utili azioni finalizzate al sostegno (consulenza psico-sociale) per fronteggiare le possibili sfide conseguenti alla necessità di articolarsi nel nuovo contesto; consulenza e sostegno fondamentale per affrontare i compiti genitoriali e la complessità educativa, nonché i nuovi compiti di accudimento della migrazione. Compiti che possono risultare particolarmente problematici nelle situazioni di conflitti di coppia o nei casi di famiglie monoparentali.

In sintesi il sostegno si potrebbe concretizzare, sia attraverso interventi economici, quali integrazione del reddito familiare, prestiti sull’onore, assegnazione di case di edilizia pubblica, borse lavoro, inserimenti lavorativi protetti, sia attraverso interventi finalizzati a creare reti di supporto quali gli interventi domiciliari, supporti educativi per adulti e minori, promozione di gruppi di self-help. Tali azioni che possono sembrare inizialmente gravare in modo consistente sul già esiguo bilancio del welfare, in realtà cosituisce un investimento di tipo preventivo che nel lungo periodo ridurrà i costi sociali ed economici del percorso di cittadinanza della famiglia della migrazione.

Senza ricorrere alla creazione di servizi dedicati, ma predisponendo i servizi e le risorse territoriali esistenti ad accogliere anche le donne immigrate e i loro bambini sarà opportuno:

- per le donne che si trovano a fronteggiare fasi particolarmente onerose del proprio percorso migratorio. come precedentmente descritto, attivare inserimenti lavorativi protetti, oltre ad interventi economici di supporto al lavoro di riproduzione sociale;

- sostegno e presa in carico anche di tipo domiciliare, ammissione ai servizi semi-residenziali o residenziali in particolari situazioni di difficoltà sociale anche a causa di eventuali situazioni di violenza e di maltrattamento;

- per i minori e gli adolescenti oltre a politiche scolastiche che valorizzino la risorsa bambino migrante, si tratterà di affrontare le situazioni particolarmente problematiche con servizi, risorse educative e del tempo libero, spazi di aggregazione;

- prevenzione del disagio in età adolescenziale, della devianza e dei comportamenti tossicomanici;

- accompagnamento verso l’autonomia e verso l’assunzione di responsabilità dell’età adulta nei confronti di giovani privi di reti familiari o in assenza di riferimenti familiari positivi, sono sempre più richieste.

In caso di effettiva necessità e reale utilità si potrà ricorrere a forme di affido, anche di tipo innovativo o di inserimento in strutture semi-residenziali. Come già precisato non si tratterà di implementare politiche tese ad una crescita dell’offerta, ma piuttosto politiche caratterizzate da una maggiore razionalizzazione organizzativa e culturalé e da una nuova competenza degli operatori dei servizi per tutti. Pertanto la vera politica preventiva sarà data da una politica formativa rivolta ai soggetti che istituzionalmente sono preposti ad affrontare le sfide e le potenzialità della famiglia in generale e della famiglia straniera in particolare.

Interventi, di conseguenza, che possano aiutare a superare la stereotipata idea di famiglia ricongiunta nella sua unica funzione di trasmissione della tradizione, per tenere conto anche della sua capacità di innovazione culturale. Infine, azioni mirate a facilitare tra gli operatori la comprensione di punti di vista diversi e nuovi bisogni che irrompono sulla scena.

 

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Note:

 

1) In riferimento a tale contrapposizione, ad esempio, è frequente trovare nelle donne, in seguito alla perdita o alla separazione dal marito, la scelta di migrare per evitare di tornare sotto l’autorità maschile. La ricerca della Squarcialupi evidenzia come il numero delle donne vedove, separate o divorziate sia più alto rispretto alla stessa condizione dei maschi.

 

2) A questo proposito occorre sottolineare la difficoltà che oggi si riscontra ad avere dati aggiornati su tale fenomeno: insufficiente è l’informazione contenuta nelle correnti rilevazioni dei dati - in cui

molto spesso all’indicazione di coppia mista non viene specificata la provenienza del partner straniero

- ma scarsa è anche la loro omogeneità - in alcune indagini locali la coppia mista viene rilevata nel gruppo famiglie immigrate, in altre viene identificata come realtà a sé -, e la loro incompletezza. Rassicura però a tale proposito la prossimità del Censimento 2001, che sicuramente ci aggiornerà sulla dimensione del fenomeno a livello nazionale.

 

3) Secondo Di Leo (2000), sulla base di una valutazione statistica indiretta, le coppie miste nel 1991 erano quasi sicuramente non inferiori alle 10.000 unità. Tenendo conto del fatto che ogni anno si aggiungono non meno di 6.000 nuove coppie (saldo tra nuovi matrimoni e divorzi) è allora possibile ipotizzare che nel 1999 le coppie miste siano circa 150.000.

 

4) I dati fanno riferimento a un’inchiesta promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, curata dal Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni volta alla registrazione, presso le Diocesi italiane, del numero di matrimoni interreligiosi e interconfessionali celebrati con dispensa per disparitas cultus negli anni 1995-96-97-98.

 

5) Parte dei lavori e delle riflessioni ditale gruppo di lavoro presieduto dalla Sen. Carla Mazzuca Poggiolini sono contenuti negli atti dei seguenti convegni «Matrimoni misti: risorsa culturale e conflitti. E i figli?», Roma, Sala Zuccari, Senato della Repubblica, 30 maggio 2000; «Sottrazione dei

minori: convenzioni internazionali e culture a confronto», Roma, Sala Zuccari, Senato della

Repubblica, 27 aprile 1999.

 

6) Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione di minori, firmata all’Aja il 25 ottobre 1980; Convenzione Europea in materia di affidamento di minori, firmata a Lussemburgo il 20 maggio 1980.

 

7) Ricordiamo che nel 1999 sono stati presentati 70 ricorsi avverso il diniego per ricongiungimento familiare mentre nel 2000 (settembre) sono stati 130, provenienti prevalentemente da Somalia, Filippine, Nigeria, Albania, Perù, Marocco, Ghana.

I motivi del diniego dei visti riguardano:

mancanza di documenti comprovanti il legame familiare (Somalia, Ghana, Nigeria); mancanza di documentazione attestante che il genitore per il quale è stato chiesto il ricongiungimento sia effettivamente a carico dei familiare residente in Italia (Filippine, Marocco, Albania, Perù) (fonte: ministero Affari Esteri)

 

8) Le situazioni a cui si fa riferimento sono state rilevate nel corso della ricerca commissionata all'Istituto Transculturale per la Salute ‑ Fondazione Cecchini Pace: «Le famiglie dell'immigrazione. I ricongiungimenti familiari. Delineare politiche attive», Commissione per le politiche d'integrazione, Presidenza del Consiglio. La ricerca è condotta da M. Tognetti Bordogna (direzione), A. Alietti, M. Cucurachi, G. Favaro, R. Guazzetti, L. Zanetti.

 

9) Prime elaborazioni dei dati della ricerca commissionata all'Istituto Transculturale per la Salute ‑ Fondazione Cecchini Pace: «Le famiglie dell'immigrazione. I ricongiungimenti fiamiliari. Delineare politiche attive», Commissione per le politiche d'integrazione, Presidenza del Consiglio, effettuate da M. Tognetti Bordogna (direzione della ricerca), A. Alietti, G. Favaro.

 

10) Vedi nota 9

 

11) Vedi nota 9

 

12) Vedi nota 8

 

13) Sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 25 giugno 1997. Convivenza more uxorio e diritto dell'extracomunitario al ricongiungimento con i figli.

 

14) M. Tognetti Bordogna (a cura di), «Le famiglie dell'immigrazione. I ricongiungimenti familiari. Delineare politiche attive», luglio 2000, cicl., Commissione per le politiche d'integrazione.

 

15) Vedi nota 9

 

16) Vedi nota 9

 

17) Vedi nota 9