Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

TERZA PARTE

APPROFONDIMENTI

 

CAPITOLO 3.1

IL MERCATO DEL LAVORO

 

3.1.1 L'INTEGRAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO

 

Nel primo rapporto sono stati messi in luce i principali aspetti che hanno caratterizzato, fino al 1998, la sempre più elevata presenza di lavoratori immigrati da paesi non membri dell'Unione Europea. Le conclusioni possono essere così brevemente riassunte:

1. il numero degli immigrati regolarmente occupati come lavoratori dipendenti è via via cresciuto sino a raggiungere una misura cospicua;

2. il maggiore contributo alla crescita dell'occupazione regolare degli immigrati è venuto dalle frequenti regolarizzazioni, poiché gli ingressi regolari per motivi di lavoro sono stati relativamente pochi ed in gran parte con contratti stagionali;

3. la percentuale di immigrati che lavorano in modo non regolare si è pertanto ridotta di molto, pur restando notevolmente superiore al livello degli italiani, e sempre più si tratta di immigrati che hanno ottenuto un permesso di soggiorno che consentirebbe loro di accedere a lavori regolari;

4. la natura dell'occupazione irregolare degli immigrati è diventata sempre più simile a quella degli italiani, poiché sono aumentati quelli che lavorano «in nero» pur potendo avere un'occupazione regolare, in quanto titolari di un permesso di soggiorno per lavoro, mentre sono diminuiti in misura considerevole quelli che vi sono costretti perché privi di tale permesso;

5. il forte aumento degli immigrati occupati regolarmente non è un fenomeno omogeneo, ma concerne alcune regioni in misura molto maggiore di altre;

6. l'occupazione regolare continua a segregare le donne nel lavoro domestico, rimane fortemente dequalificata e diventa sempre più precaria per la riduzione degli avviamenti a tempo pieno ed indeterminato;

7. le regioni in cui più forte è la domanda di lavoro regolare per gli immigrati non sono economicamente omogenee, sicché si delineano sempre più nettamente dei modelli territoriali di inserimento nei settori economici: da quelli industriali del Nord-Est e delle regioni centrali a quelli terziari delle regioni, come la Lombardia e il Lazio, in cui prevalgono le grandi metropoli;

8. per la peculiare composizione della disoccupazione italiana, lungi dall'essere in concorrenza con le persone in cerca di lavoro, gli immigrati in molte attività hanno sostituito una forza lavoro locale cui era venuto meno il ricambio da parte delle nuove generazioni e in altri casi si sono verificate situazioni di complementarità, per cui la disponibilità di immigrati a svolgere i compiti più pesanti ha consentito l'occupazione di lavoratori italiani in compiti più consoni alle loro aspirazioni.

A distanza di un anno queste tendenze risultano in larga misura confermate da quanto accaduto nel corso del 1999 e dalla disponibilità di nuovi dati e di nuove ricerche, che hanno contribuito ad approfondire l'analisi dell'inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Tuttavia, interessanti segni di novità emergono e saranno puntualmente messi in luce.

 

1. L'occupazione dipendente regolare continua a crescere

Anche nel 1998 e nel 1999 sono aumentati gli immigrati occupati in aziende o in famiglie che hanno regolarmente versato i contributi previdenziali. Grazie ai dati forniti dall'Inps, la tabella 1 mostra per questi anni un tasso di crescita intorno al 6% annuo, simile a quello del 1997. (1) A parte la consueta avvertenza che questi dati sottostimano l'occupazione dipendente regolare degli immigrati, poiché non tengono conto di coloro per i quali le imprese non hanno versato il contributo aggiuntivo dello 0,5%, abolito soltanto con la nuova legge entrata in vigore di fatto a fine 1999, (2) due osservazioni sono importanti.

 

Tab. 1. Lavoratori non UE occupati regolarmente alle dipendenze. In migliaia

 

 

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Industria manifatturiera

40

43

40

46

53

77

86

95

97

Edilizia

13

16

14

13

14

21

21

23

24

Servizi

26

33

34

36

41

58

63

68

72

Lavoro domestico

36

54

59

52

67

121

111

103

110

Agricoltura

 

 

 

10

12

26

42

52

60

Totale

115

146

147 

157

187

303

323

341

363

 

Fonte: Caritas [1992‑1995]; Istat [1998]; Inps. I dati in corsivo sono stimati.

 

In primo luogo, il fatto che dopo il fortissimo aumento del 1996 in occasione della regolarizzazione l'occupazione regolare abbia continuato a crescere, sia pure nel 1997 e nel 1998 in misura di poco inferiore al volume dei nuovi ingressi per motivi di lavoro [Ministero dell'Interno 2000], mostra che il fenomeno del ritorno al lavoro irregolare dopo l'emersione in occasione della regolarizzazione è stato tutto sommato limitato e comunque di molto inferiore a quanto accaduto dopo la precedente regolarizzazione del 1990‑'91. Ciò è confermato anche dall'andamento dei permessi non rinnovati. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'Interno, nel 1992 i permessi non rinnovati raggiunsero il livello record di 160.000, mentre nel 1998 si attestarono sui 85.000, lo stesso normale livello degli anni precedenti. Si può ragionevolmente pensare che l'eccezionale numero di permessi non rinnovati nel 1992 fosse dovuto all'impossibilità per molti immigrati privi di un lavoro regolare di rinnovare il permesso biennale ottenuto grazie alla regolarizzazione del 1990, che non prevedeva la dichiarazione di un rapporto di lavoro tra i requisiti. Tale fenomeno non si è verificato

in misura significativa dopo la regolarizzazione del 1996. E’ vero che questa regolarizzazione era più selettiva, poiché richiedeva di dichiarare un'offerta di lavoro, ma si può pensare che, comunque, ciò sia stato segno di un più consistente inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro regolare.

In secondo luogo, indubbiamente il numero dei lavoratori dichiarati dalle imprese nel 1999 non tiene conto dell'ultima regolarizzazione, che si è avviata con la presentazione delle domande a fine 1998, ma si è conclusa con la concessione dei permessi solo nel corso del 2000. Infatti, si può stimare che siano state accolte 164.000 domande cui avrebbe dovuto corrispondere un'offerta di lavoro dipendente da parte di un'impresa o una famiglia e quindi un versamento contributivo. (3) L'eccezionale durata della procedura amministrativa (spesso protrattasi più di un anno), oltre ad aver costretto i presentatori delle domande a proseguire nel lavoro nero, può avere in non pochi casi impedito che l'offerta di lavoro si sia tradotta in effettiva assunzione. Ma ciò non toglie che l'impatto della regolarizzazione del 1998­-2000 sull'occupazione dipendente regolare dovrebbe esser stato altrettanto importante di quella del 1996. In attesa dei dati dei contributi versati all'Inps nel 2000, un significativo indice, come già nel 1996, è costituito dal forte incremento dei nuovi libretti di lavoro: nel 1999, a regolarizzazione non ancora conclusa, ne sono stati rilasciati circa 80.000 in più rispetto ai due anni precedenti.

Il crescente inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro regolare nel 1999 è confermato dal nettissimo aumento del flusso degli avviamenti al lavoro registrati dagli uffici di collocamento: quasi il 24% in più del 1998 (vedi la tabella 2), mentre coloro che restano iscritti al collocamento per la prima volta dal 1992 diminuiscono, sia pure appena del 5%. Anche questi dati non tengono direttamente conto dell'ultima regolarizzazione, così come era già accaduto per quella del 1996, poiché in entrambi i casi la procedura di assunzione passava attraverso gli uffici provinciali del lavoro e non gli uffici locali di collocamento e quindi non era rilevata tra gli avviamenti. Va detto, inoltre, che la diversa composizione settoriale degli avviamenti rispetto agli occupati registrati dall'Inps si spiega in due modi:

‑ molti lavoratori possono essere stati avviati anche più volte a un lavoro di breve durata, cosicché tra gli avviamenti risultano sottorappresentati i settori, come l'industria manifatturiera, in cui le occupazioni stagionali ed a tempo determinato sono molto meno frequenti;

‑ le assunzioni per lavoro domestico, anche al di fuori delle sanatorie, sono registrate sempre più solo in parte dagli uffici di collocamento tra gli avviamenti. Quanto al leggero declino anche nei posti di lavoro registrati dall'Inps dopo il 1996, esso può indicare o una saturazione del mercato o una crescente immersione nell'irregolare oppure essere il frutto di un apparente boom nel 1996, quando farsi assumere come domestico/a costituiva un modo per regolarizzarsi risparmiando sui contributi da versare. (4)

 

Tab. 2. Lavoratori non UE avviati per settore economico. In migliaia

 

 

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Agricoltura

17

16

17

22

21

28

39

41

5 1

Industria ed edilizia

59

52

31

38

49

57

75

75

91

Lavoro domestico

18

21

131

14

171

71

9

101

8

Altri servizi

181

19

11

12

14

20

29

36

50

Totale

1261

124

85

100

M,

129

172

180

223

 

Fonte: ministero del Lavoro.

 

Anche nel 1999 il contributo degli ingressi regolari per motivi di lavoro alla crescita dell'occupazione dipendente regolare è stato molto limitato, pur avendo segnato un significativo aumento rispetto agli anni precedenti. Benché, in assenza del regolamento di attuazione, nel 1999 non siano state ancora adottate le procedure previste dalla nuova legge sull'immigrazione, bensì quelle più restrittive previste dalla legislazione del 1986 e andate a regime nel 1992, il numero di autorizzazioni all'ingresso per lavoro, che per anni aveva oscillato intorno a 20.000, dopo aver superato i 27.000 nel 1998, cresce oltre i 36.000 nel 1999, con un aumento di circa un terzo ogni anno. Nel primo rapporto si era rilevato come la consistenza di quest'unico canale di ingresso legale per i lavoratori immigrati apparisse ancora meno rilevante considerando la sua peculiare composizione. Tuttavia negli ultimi due anni sono avvenuti importanti mutamenti.

Infatti, come mostra la tabella 3, anche nel 1999 le autorizzazioni hanno interessato quasi solo due situazioni: il lavoro domestico e la provincia di Trento, con contratti di lavoro stagionali in agricoltura e nel turismo. Ma questa peculiare concentrazione, (5) pur restando cospicua, appare in progressiva riduzione: la quota di autorizzazioni nella Regione Trentino‑Alto Adige, che aveva superato il 70% nel 1996, era già diminuita al 50% nel 1998 ed ora scende sotto il 44% nel 1999. Quanto al lavoro domestico, già sceso al 23% nel 1997 e nel 1998, nel 1999 non va oltre il 19%. Con quasi il 15% nel 1999 cominciano, invece, ad assumere un discreto peso le autorizzazioni per lavorare nell'industria e nelle costruzioni, in particolare nel Nord­-Est. Un primo segnale premonitore della forte crescita della domanda che si manifesterà nel 2000, come si vedrà. Per le altre occupazioni e nelle altre regioni, pur con una netta tendenza all'aumento, continua a trattarsi di poche centinaia di nuovi ingressi l'anno, per lo più a tempo determinato.

 

Tab. 3. Autorizzazioni all'ingresso per motivi di lavoro

 

 

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Totale

31.629

23.088

22.474

24.246

16.619

20.739

27.203

36.454

Uomini

14.621

11.125

12.086

14.152

11.200

13.235

17.4241

22.765

Donne

17.008

11.963

10.388

10.094

5.419

7.504

9.779

13.68

Tipo di contratto

 

 

 

 

 

 

 

 

Permanente

20.848

16.351

11.775

11.966

4.411

7.447

10.703

14.884

a tempo

10.781

6.737

10.669

12.280

12.208

13.292

16.500

21.570

(di cui Trento)

 

(4.862)

 

(9.990)

(11.227)

(10.981)

(13.024)

(15.040)

Settore economico

 

 

 

 

 

 

 

 

Agricoltura

1.659

2.788

5.777

7.578

8.880

8.449

13.070

16.999

(di cui Trento)

(1.178)

 

 

(7.418)

(8.656)

(7.620)

(10.635)

(11.990)

Industria e costruzioni

3.183

1.479

941

1.050

927

2.258

2.796

5.179

(di cui Veneto)

(981)

 

 

(277)

(235)

(698)

(1.033)

(2.010)

lavoro domestico

21.828

14.555

12.420

10.712

2.591

4.816

6.183

6.795

Turismo

3.398

3.285

2.876

3.762

3.353

4.299

3.952

5.960

(di cui Trento)

(2.474)

 

 

(2.808)

(2.707)

 

(2.442)

(3.171)

altri servizi

295

1.561

981

457

1.135

868

917

1.521

(% Trento)

13,6

23,2

 

43,6

70,3

54,6

50,6

43, 6

(% Trento senza domestici)

43,8

62,7

 

78,1

83,5

71,1

64,7

52,6

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

2. Una leggera ripresa dell'occupazione irregolare?

Nel primo rapporto, si osservava che, parallelamente alla forte crescita dell'occupazione regolare, dal 1995 al 1998 si era andata riducendo molto, pur restando alta, la percentuale di immigrati che lavorano nell'economia sommersa. E, inoltre, che l'occupazione irregolare degli immigrati tendeva a cambiare natura, diventando sempre più simile a quella degli italiani, poiché, grazie alla frequente successione delle regolarizzazioni, aumentavano quelli che lavorano «in nero» pur potendo avere un'occupazione regolare, in quanto titolari di permesso di soggiorno per lavoro, mentre diminuivano quelli che vi sono costretti perché privi di tale permesso. Il 1999 sembra, invece, indicare un'inversione di questa tendenza, come rivelano i risultati delle ispezioni condotte dal Ministero del lavoro presentati nella tabella 3, dove si vede che la percentuale degli occupati irregolari, assestata da tre anni intorno al 31‑33%, risale oltre il 38% e, almeno rispetto al 1998, tale ripresa sarebbe dovuta in larga misura ai lavoratori irregolari senza permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

 

Tab. 3. Percentuale di irregolari tra i lavoratori dipendenti non UE

 

 

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Senza permesso

16,8

27,6

12,9

15,7

11,2

8,8

12,2

Con permesso

31,5

29,2

24,2

15,9

22,7

22,5

26,1

Totale

48,3

56,7

37,1

31,6

33,8

31,2

38,3

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

Tuttavia, se si considerano i limiti strutturali di questi dati (6) occorre essere molto più prudenti. Infatti, nel 1999 il numero delle ispezioni cresce di quasi il 50%, con una molto maggiore concentrazione nel Lazio e nelle regioni meridionali e nelle imprese che occupano pochi immigrati. (7) Mentre non è possibile controllare quest'ultimo effetto, la tabella 4 permette di controllare quello di composizione dovuto alla diversa ripartizione territoriale delle ispezioni.

 

Tab. 4. Percentuale di irregolari tra i lavoratori dipendenti non UE per area socio‑economica

 

 

 

Percentuale di irregolari

 

di cui senza permesso di soggiorno

di cui con permesso di soggiorno

 

1996

1997

1998

1999

1996

1997

1998

1999

1996

1997

1998

1999

Nord‑Ovest

50,5

51,3

51,2

41,5

27,3

20,2

14,8

14,2

23,2

31,1

36,3

27,4

Lombardia

50,5

30,5

47,6

38,1

14,3

9,0

6,8

10,7

36,2

21,5

40,8

27,3

Nord‑Est

14,6

20,3

9,4

22,5

5,9

8,5

3,2

7,5

8,7

11,8

6,2

15,0

Centro

26,1

39,6

41,2

37,3

13,9

10,2

9,8

13,2

12,2

29,4

31,4

24,1

Lazio

47,4

39,5

n. d.

56,9

21,1

5,2

n. d.

9,0

26,3

34,3

n. d.

47,9

Sud

32,2

33,3

42,9

52,3

20,6

12,3

18,4

17,7

11,6

20,9

24,4

34,6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italia

31,6 

33,8

31,2

38,3

15.7

11.2

8,8

12,2

15,9

22,7

22,5

26,1

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

Come si può vedere, soprattutto considerando l'andamento su due‑tre anni, nelle diverse aree socio‑economiche i segni di un'inversione di tendenza nel 1999 sono molto più incerti, se non addirittura inesistenti. Forse l'unico dato rilevante è l'aumento della presenza di irregolari con permesso di soggiorno nel Lazio, nelle regioni meridionali e in quelle dell'Italia nord‑orientale. Ma ciò è in accordo con la tendenza di lungo periodo. Quanto alla distinzione tra lavoratori irregolari con e senza permesso di soggiorno, occorre aggiungere che nel 1999 si è verificata una situazione che ha reso tale distinzione di difficile interpretazione. Infatti, come considerare gli immigrati che alla presentazione della domanda di regolarizzazione avevano ottenuto una ricevuta, che non li autorizzava al lavoro, ma li preservava dal decreto di espulsione e consentiva loro persino di uscire dall'Italia e rientrarvi? La lunghezza delle procedure di esame delle domande ha reso molto diffusa questa posizione, con il risultato di perpetuare l'occupazione irregolare di immigrati che non possono certo restare a lungo senza lavoro. Resta, però, un mistero burocratico come gli ispettori del lavoro abbiano considerato e classificato gli immigrati colti a lavorare irregolarmente che fossero in possesso di tale ricevuta. (8)

Una positiva inversione di tendenza è, invece, segnata dalla riduzione di quell'area da cui provengono più facilmente gli immigrati che lavorano «in nero» pur possedendo un permesso di soggiorno che li autorizzerebbe ad un'assunzione regolare. Infatti, come mostra la tabella 5, nel 1999 non soltanto per la prima dal 1992 diminuiscono gli immigrati che rimangono iscritti al collocamento, ma in particolare diminuiscono, sia pure di poco, gli iscritti di lungo periodo (oltre 12 mesi), che dal 1996 erano aumentati con un ritmo eccezionale. Si può pensare che il forte aumento degli avviamenti nel 1999 abbia interessato anche gli immigrati iscritti da più lungo tempo al collocamento, che peraltro sono relativamente pochi se si escludono gli avviati con contratti inferiori alle 20 ore settimanali o ai quattro mesi, che non vengono cancellati. E’, infatti, ragionevole generalizzare le conclusioni cui sono giunti per il Veneto Anastasia, Gambizza e Rasera [2000], secondo i quali la stragrande maggioranza degli immigrati iscritti al collocamento hanno una bassa anzianità effettiva di disoccupazione, in quanto sono in genere in transizione da un lavoro all'altro e quindi non costituiscono se non per una modesta frazione un'offerta «aggiuntiva» di lavoro.

 

Tab. 5. Lavoratori non UE iscritti al collocamento al 31 dicembre. In migliaia

 

Anzianità di iscrizione

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sino a 3 mesi

270

26

32

32

34

52

52

51

54

da 3 a 12 mesi

37

31

26

30

34

53

67

72

62

oltre 12 mesi

20

15

18

25

30

42

61

83

80

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Totale

84

72

76

87

98

147

180

206

196

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

Alla luce dei risultati delle ispezioni condotte dal ministero del Lavoro non sembra agevole tentare un aggiornamento al 1999 delle stime avanzate nel primo rapporto per dare un'idea dell'ordine di grandezza delle posizioni lavorative (regolari ed irregolari) occupate dai lavoratori immigrati, siano essi dipendenti o indipendenti. Tuttavia, i primi risultati dell'incrocio tra gli archivi contributivi dei lavoratori non UE e l'archivio dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro [Inps 2000] sono troppo interessanti per non rischiare una nuova stima, pur con tutta la prudenza che il caso richiede. Infatti, su circa 830.000 cittadini da paesi non UE in possesso di permesso di soggiorno per motivi di lavoro a febbraio 2000 l'Inps è riuscita ad abbinare quasi 400.000 posizioni contributive, basandosi sugli archivi a fine 1997. L'Inps dichiara che a costoro vanno aggiunti circa 26.000 lavoratori assicurabili presso altri enti e stima che occorre aggiungere altri 60.000 lavoratori entrati in Italia per lavoro nel 1998 e nel 1999. In realtà, molti di costoro sono entrati con contratti stagionali, quindi pare prudente ridurre questa stima a 30.000. Tuttavia, per arrivare a febbraio 2000, quando l'ultima regolarizzazione si è quasi conclusa, occorre aggiungere coloro che si sono regolarizzati per lavoro: si tratta di poco più di 160.000 immigrati, circa l'80% dei quali si può molto grossolanamente stimare abbiano perfezionato l'offerta di lavoro presentata e quindi attualmente abbiano una posizione contributiva. Si raggiunge così un totale di circa 585.000 lavoratori immigrati con un'occupazione regolare, una cifra che risulta in linea con le supposizioni avanzate dall'Inps stessa alla presentazione di un sito web diretto ad informare gli immigrati sui problemi contributivi [Emsden 2000].

Su questa base e sempre tenendo conto dei risultati delle ispezioni, è stata costruita una stima per fine 1999 ‑ inizio 2000. Come si può vedere dalla tabella 6, le differenze sono abbastanza piccole rispetto alla stima tentata nel primo rapporto per fine 1998, cercando di tener conto della regolarizzazione appena avviata. Ciò è motivo di conforto, anche se è bene ripetere ancora una volta che si tratta di valori del tutto approssimativi. E' bene anche ricordare che la ripresa dell'area irregolare‑illegale si fonda sui risultati delle ispezioni condotte dal Ministero del lavoro, di cui si sono rilevati i limiti strutturali e quelli specifici per il 1999.

 

Tab. 6. Immigrati per posizione lavorativa e presenza

 

1994

Occupazione

Soggiorno

Regolare

Irregolare

Totale

Legale

211.000

138.000

349.000

Illegale

---

341.000

341.000

Totale

211.000

479.000

690.000

1996

Occupazione

Soggiorno

Regolare

Irregolare

Totale

Legale

391.000

166.000

557.000

Illegale

---

182.000

182.000

Totale

391.000

348.000

739.000

1998

Occupazione

Soggiorno

Regolare

Irregolare

Totale

Legale

564.000

260.000

824.000

Illegale

---

100.000

100.000

Totale

564.000

360.000

924.000

1999

Occupazione

Soggiorno

Regolare

Irregolare

Totale

Legale

585.000

245.000

830.000

Illegale

---

115.000

115.000

Totale

585.000

360.000

945.000

 

3. Le differenze regionali continuano ad acuirsi all'interno dei settori

Nel primo rapporto si dava gran rilievo al fatto che il crescente inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro regolare non fosse affatto un fenomeno omogeneo sul piano territoriale, ma concernesse alcune regioni in misura molto maggiore di altre. Tutti i dati concordano nell'indicare che questa tendenza si è ulteriormente accentuata nel corso del 1999.

Cominciano con l'andamento dei lavoratori avviati dal collocamento in tutti i settori, agricoltura inclusa. Come si può vedere dalla figura 1, nel 1999 sono ancora aumentati, come avveniva senza interruzioni dal 1994, gli avviamenti in tutte e tre le grandi aree (Nord‑Est, Centro e Lombardia) in cui già si concentrava la stragrande maggioranza delle assunzioni regolari: oltre il 70% sino al 1998, quasi il 75% nel 1999. E se consideriamo solo il Nord‑Est e le regioni centrali, dove si concentra la domanda di lavoro operaio nelle piccole imprese industriali, la percentuale è ancora del 53% sino al 1998 e sale oltre il 55% nel 1999. Nel 1999 in Veneto un'assunzione su dieci concerne un immigrato, e per il lavoro operaio non qualificato siamo ormai ad un'assunzione su cinque [Veneto Lavoro 2000].

 

Figura 1. Lavoratori non UE avviati dal collocamento per area regionale

 

Immagine pag. 175

 

La tendenza dell'occupazione regolare degli immigrati a concentrarsi nelle aree economicamente più dinamiche, dove l'offerta di lavoro locale non riesce a soddisfare le esigenze della domanda, è confermata dalla distribuzione territoriale dei lavoratori dipendenti denunciati all'Inps dalle imprese industriali e di servizi. Come si può vedere dalla tabella 7, in Lombardia e nelle regioni dell'Italia nord‑orientale e centrale si concentra nel 1999 ben l'82% dell'occupazione dipendente nelle imprese industriali e di servizi, mentre sino al 1998 la percentuale si attestava sull'80-81 %.

 

Tab.7. Lavoratori non UE occupati regolarmente alle dipendenze nelle imprese industriali e di servizi (valori percentuali)

 

                                                                                               

 

1995

1996

1997

1998

1999

Nord‑Ovest

9,5

10,1

9,6

9,7

9.9

Lombardia

27,6

27,3

27,4

26,7

26,7

Nord‑Est

27,2

25,2

26,2

26,9

28,1

Centro

26,3

26,7

26,7

27,4

27,2

Lazio

5,6

5,6

5,8

5,5

4,8

Sud

3,8

5,0

4,3

3,7

3,3

Italia

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

                                                                               

Fonte: Inps

 

Una simile tendenza interessa anche il lavoro domestico degli immigrati e delle immigrate, anche se in questo caso le aree di maggiore concentrazione territoriale sono, almeno in parte, diverse. Come mostra la tabella 8, nel 1999 in Lazio e Lombardia, ove ovviamente prevalgono le metropoli di Roma e Milano, si concentra quasi il 55% degli immigrati occupati come domestici, mentre nel 1994 la percentuale superava di poco il 48%. Aggiungendo le regioni dell'Italia centrale, si raggiunge quasi il 66% nel 1994 ed il 73% nel 1999.

 

Tab. 8. Lavoratori domestici non UE per area territoriale (valori percentuali)

 

                                                                                               

 

1994

1995

1996

1997

1998

Nord‑Ovest

8,6

9,0

8,6

8,6

9,4

Lombardia

20,2

21,6

23,2

23,9

24,3

Nord‑Est

7,6

7,5

5,7

5,9

6.4

Centro

17,5

16,4

15,2

16,0

18,1

Lazio

28,2

26,6

25,7

29,6

30,6

Sud

18,0

18,9

21,5

16,0

11.2

Italia

100,0

100,0

100,0

100, 0

100,0

                                                                                               

Fonte: Inps

 

Contrariamente a quanto visto per l'occupazione nell'industria e nei servizi, che in appena cinque anni è quasi raddoppiata, questa tendenza alla concentrazione territoriale nel lavoro domestico avviene in un quadro di sia pur leggero declino a partire dal 1996. In realtà, come si può vedere dalla figura 2, questa tendenza si deve quasi soltanto all'andamento negativo delle regioni meridionali e soprattutto della Sicilia. Ciò si può spiegare vuoi con il ritorno al sommerso, vuoi con un fittizio «picco» nel 1996 in occasione della regolarizzazione, quando dichiarare un'offerta di lavoro domestico fu un modo relativamente poco costoso per avere un permesso di soggiorno per chi era ai margini del mercato dei lavoro. L'arresto della crescita del lavoro domestico nelle aree in cui è più diffuso sembra comunque indicare una certa stabilità in questo settore (forse dovuta alla saturazione della domanda), cui si contrappone una crescente domanda da parte delle imprese industriali, edili e di servizi. Un simile scenario trova conferma da quanto risulta dal confronto tra gli esiti delle due regolarizzazioni del 1996 e del 1998‑'99 a Milano.

 

Figura 2

 

Immagine a pag. 177

 

La tendenza alla concentrazione territoriale dei lavoratori immigrati avviene anche, come è ben noto, grazie alla loro elevata mobilità verso le regioni ove vi sono maggiori possibilità di trovare un'occupazione regolare. Il confronto tra la regione ove è stato rilasciato il permesso di soggiorno per lavoro e quella in cui l'immigrato è occupato consente di dare un'idea più precisa di questo fenomeno [Inps 2000]. All'inizio del 2000, tra i lavoratori immigrati per cui l'Inps è riuscito ad abbinare permesso di soggiorno e posizione contributiva, poco meno della metà lavorava in una regione diversa da quella in cui aveva ottenuto il permesso. Ma questa percentuale scende parecchio sotto il 40% nel Nord‑Est, in Emilia e nelle Marche, cioè nelle regioni di maggiore attrazione per i lavoratori immigrati, mentre sale oltre il 60% e persino oltre il 70% nelle regioni meridionali, che offrono scarse opportunità occupazionali causando una forte mobilità territoriale. (9)

 

4. La struttura dell'occupazione regolare per genere, livello di qualificazione e tipo di contratto di lavoro

Nel primo rapporto si è messo in luce come le donne immigrate fossero sempre più sfavorite rispetto ai maschi nell'avviamento al lavoro regolare. Infatti, come mostra la tabella 9, mentre la percentuale di donne tra gli avviati rimane praticamente costante dal 1992 al 1999 intorno al 20‑23%, quella tra coloro che, non trovando lavoro, restano iscritti al collocamento cresce ininterrottamente da poco più del 20% nel 1992 sino a quasi il 37% nel 1999. Ed è proprio il 1999 a segnare una brusca accelerazione nel divario tra i maschi e le femmine per quanto riguarda le probabilità di trovare un lavoro dipendente regolare. E' probabile, tuttavia, che tale fenomeno sia dovuto in larga misura alla netta riduzione, per meri motivi normativi e statistici, degli avviamenti al lavoro domestico, che ovviamente riguardano in netta prevalenza le donne.

 

Tab. 9. Percentuale di donne tra gli iscritti al collocamento e gli avviati

 

 

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Iscritti al collocamento

20,2

24,0

28,0

30,3

28,9

30,3

33,7

36,8

Avviati dal collocamento

23,9

23,1

23,1

22,2

19,4

18,5

19,6

20,5

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

In compenso, nel 1999 le donne immigrate sono state avviate in maggior misura ad attività non di lavoro domestico. Infatti, pur continuando a costituire la stragrande maggioranza dell'occupazione domestica non UE registrata dall'Inps (poco meno del 75% nel 1994 e il 77% nel 1998), la percentuale di donne avviate come lavoratrici domestiche è scesa dal 20% del 1996 e del 1997 al 17% nel 1998 e addirittura al 12% nel 1999. Occorre, però, ricordare che le assunzioni come domestico/a passano sempre meno attraverso gli uffici di collocamento. Perciò, più significativo è l'andamento del tasso di avviamento (10) in attività diverse da quelle domestiche, che nel 1999 sale fin quasi al 56% dal 46‑47% degli anni precedenti. Dunque, contrariamente a quanto rilevato nel primo rapporto, sembra che per le donne immigrate si stia finalmente avviando quel processo di desegregazione occupazionale che era stato peraltro segnalato da indagini qualitative.

Nel 1999 la qualificazione professionale dei lavori regolari cui sono avviati gli immigrati resta sostanzialmente immutata. Infatti, come mostra la tabella 10, la percentuale di immigrati avviati come operai generici rimane sullo stesso livello, di poco superiore al 77%, così come quella degli operai qualificati e degli specializzati. Unica novità è l'aumento della percentuale degli immigrati avviati come impiegati, che per la prima volta supera la soglia del 2%. Quindi, poiché livelli di qualificazione superiori per il lavoro operaio erano già stati raggiunti in anni precedenti, non è possibile parlare di una tendenza significativa ad una maggiore qualificazione delle occasioni di lavoro per gli immigrati, anche se non si hanno informazioni sulle eventuali carriere interne degli ormai molti immigrati che si sono stabilmente inseriti nelle aziende italiane.

 

Tab. 10. Lavoratori non UE avviati per qualifica del lavoro (valori percentuali)

 

 

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Operaio generico

81,0

79,2

76,7

76,9

75,8

74,5

75,4

77,5

77,3

Operaio qualificato

15,7

17,3

19,2

19,7

19,8

19,8

19,4

17,9

17,9

Operaio specializzato

1,8

1,7

2,3

2,0

3,1

4,0

3,7

2,9

2,7

Impiegato

1,6

1,7

1,8

1,4

1,2

1,7

1,4

1,8

2,1

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

Per quanto riguarda, infine, la consistenza dei rapporti di lavoro, prosegue anche per gli immigrati la tendenza alla riduzione delle occupazioni «tipiche», cioè a tempo pieno ed indeterminato. Come si può vedere dalla tabella 11, nel 1999 vi è un ulteriore netto aumento della percentuale di avviamenti con rapporti a tempo determinato, che sfiora ormai il 50%, mentre continuano ad avere scarsissimo peso i contratti di formazione e lavoro e restano del tutto assenti gli avviamenti come apprendisti, nonostante l'innalzamento dell'età utile che avrebbe potuto aprire maggiori possibilità per gli immigrati, tra cui i giovanissimi sono relativamente poco presenti (solo un quinto degli avviati, infatti, ha meno di 24 ami).

 

Tab. 11. Lavoratori non UE avviati per tipo di contratto (valori percentuali)

 

 

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

Permanente

59,6

62,6

57,5

52,4

51,1

36,5

38,2

37,8

35,9

A tempo determinato

23,3

19,8

27,9

32,2

34,3

54,2

43,9

46,8

48,7

Part time

10,3

13,2

10,4

11,0

9,8

3,8

12,1

10,9

11,3

Formazione lavoro

6,9

4,4

4,3

4,4

4,8

5,6

5,8

4,6

4,1

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Fonte: ministero del Lavoro

 

5. Distribuzione settoriale e modelli territoriali di inserimento lavorativo

Nel 1999 sia l'andamento delle posizioni contributive registrate dall'Inps sia quello degli avviamenti confermano quanto già osservato nel primo rapporto: da qualche anno ormai la distribuzione per grandi settori dell'occupazione dipendente regolare degli immigrati si è assestata su scala nazionale. Come mostrano le figure 3 e 4, che ovviamente misurano l'occupazione dipendente degli immigrati da diversi punti di vista, dal 1997 il peso relativo delle grandi aree occupazionali presenta cambiamenti minimi. Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti registrati dall'Inps, le percentuali oscillano per l'industria manifatturiera intorno al 27%, per l'edilizia al 7%, per i servizi al 20%, per il lavoro domestico al 30% e per l'agricoltura al 16% (vedi anche la tabella 1). (11) Quanto agli avviamenti, dal 1997 restano praticamente stabili le percentuali dell'agricoltura sul 22%, dell'industria (edilizia compresa) sul 41 % e dei ristoranti e pubblici esercizi sull'11 %. Invece, alla riduzione della percentuale avviamenti al lavoro domestico (dal 5% al 3%) si contrappone l'aumento degli altri servizi (dal 17 al 22%). Ma si deve ricordare che per il lavoro domestico nuove disposizioni hanno consentito alle famiglie di assumere senza passare dagli uffici collocamento.

 

Figura 3. Lavoratori non UE avviati dal collocamento per settore economico

 

Immagine pag. 180

 

Figura 4. Lavoratori dipendenti non UE registrati dall'Inps per grandi settori

 

Immagine pag. 180

 

La recente disponibilità di dati Inps ha consentito una più dettagliata analisi della distribuzione settoriale per i lavoratori immigrati dipendenti da aziende industriali e di servizi (vedi anche Cer [2000]). Come si può vedere dalla tabella 12, nell'industria manifatturiera predomina nettamente il settore metalmeccanico (che sfiora ora il 24%) e nei servizi il commercio e la ristorazione (ormai oltre il 29%). Da soli questi due settori raggiungono nel 1999 ben più della metà di tutta l'occupazione degli immigrati nelle imprese industriali e di servizi. E la loro posizione dominante va crescendo poiché insieme hanno coperto oltre il 60% dell'occupazione aggiuntiva dal 1991 al 1995 ed oltre il 56% dal 1995 al 1999. Tra i settori minori, significativo è il forte incremento in termini relativi dei trasporti. Colpisce, invece, la contrazione, persino in valori assoluti, dei servizi di pulizia, che indagini locali ed i risultati dell'ultima regolarizzazione (almeno per Milano, vedi capitolo 3.1 appendice A ) segnalano come un settore che si sta molto etnicizzando, ma è possibile che non poche imprese di pulizia siano state classificate dall'Inps nelle attività commerciali.

 

Tab. 12. Lavoratori non UE dipendenti da imprese industriali e di servizi per settore economico

 

Settore

valori assoluti

distribuzione percentuale

variazioni percentuali

distribuz. % degli incrementi

 

1991

1995

1999

1991

1995

1999

1995-1991

1999‑1995

1995-1991

1999­-1995

Edilizia

13.081

13.579

24.385

16,4

12,6

12,6

3,8

79,6

1,8

12,7

Abbigliamento, tessile

4.257

5.380

10.535

5,3

5,0

5,5

26,4

95,8

4,0

6,0

Alimentare

2.881

3.283

5.841

3,6

3,0

3,0

14,0

77,9

1,4

3,0

Carta, editoria

870

1.013

1.876

1,1

0,9

1,0

16,4

85,2

0.5

1,0

Chimica, gomma, pelli

6.130

9.654

16.785

7,7

9,0

8,7

57,5

73,9

12,5

8,4

Legno, mobili

3.384

4.253

8.146

4,3

3,9

4,2

25,7

91,5

3,1

4,6

Meccanica, metallurgia

18.629

24.831

46.001

23,4

23,0

23,8

33,3

85,3

22,0

24,8

Altre industrie

4.104

4.989

7.375

5,2

4,6

3,8

21,6

47,8

3,1

2,8

Commercio, ristorazione

19.045

29.903

56.340

23,9

27,7

29,2

57,0

88,4

38,5

31,0

Servizi di pulizia

3.496

4.110

2.880

4,4

3,8

1,5

17,6

‑29,9

2,2

‑1,4

Trasporti

2.414

4.703

10.539

3,0

4,4

5,5

94,8

124,1

8,1

6,8

Altri servizi

1.293

2.120

2.339

1,6

2,0

1,2

64,0

10,3

2,9

0,3

Totale

79.584

107.818

193.042

100,0

100,0

100,0

35,5

79,0

100,0

100,0

 

Fonte: Inps

 

Si è già detto che questa sostanziale stabilità nella distribuzione settoriale, a fronte di una crescente concentrazione territoriale, si spiega con il fatto che le regioni in cui più forte è la domanda di lavoro regolare per gli immigrati non sono economicamente omogenee e quindi «utilizzano» la nuova forza lavoro in modi profondamente diversi. Nel primo rapporto si erano delineati i diversi modelli territoriali di inserimento lavorativo degli immigrati utilizzando sia i dati sugli avviamenti per il 1997, sia quelli Inps (rielaborati dall'Istat) sui dipendenti dalle imprese e dalle famiglie sempre nel 1997. Le tabelle 13 e 14 presentano un aggiornamento degli stessi dati al 1998‑1999.

 

Tab. 13. Lavoratori non Ue avviati per settore ed area socio‑economica. 1999 Distribuzione percentuale

 

 

Agricoltura

Industria ed edilizia

Lavoro domestico

Pubblici esercizi

Altri servizi

Totale

Nord‑Ovest

14,9

46,2

2,7

11,2

25,0

100,0

Lombardia

7,9

46,2

2,5

10,4

33,0

100,0

Nord‑Est

20,2

44,4

2,1

12,7

20,7

100,0

Centro

23,6

42,6

4,1

11,7

18,0

100,0

Lazio

25,6

21,8

2,5

3,2

46,9

100,0

Mezzogiorno

56,1

19,0

8,8

6,9

9,1

100,0

Italia

22,8

40,6

3,7

10,8

22,2

100,0

 

Fonte: Ministero del lavoro

 

Tab. 14. Settori dei lavoratori dipendenti non UE. Distribuzione percentuale

 

 

Agricoltura

Industria

Edilizia

Lavoro domestico

Servizi

Totale

Nord‑Ovest

9,2

26,3

11,7

30,7

22,2

100,0

Lombardia

5,7

31,8

5,9

31,0

25,6

100,0

Nord‑Est

22,0

39,7

7,9

8,5

21,8

100.0

Centro

15,4

33,0

9,0

22,2

20,5

100.0

Lazio

7,3

3,1

3,0

71,6

15,0

100,0

Mezzogiorno

38,3

7,6

2,8

39,7

11,6

100,0

Italia

14,9

27,7

7,0

29,7

20,7

100,0

 

Fonte: Rielaborazione su dati Inps 1998 per lavoro domestico ed agricoltura, 1999 per gli altri settori.

 

Gli esiti confermano la tipologia presentata, che ha trovato conforto anche da un recente studio statistico che ha messo in relazione, a livello provinciale, i tipi di avviamento al lavoro degli immigrati con le variabili di contesto del mercato del lavoro [Gallina 1999]. Possiamo, così, rapidamente riprenderla:

1. Nel modello industriale del Nord‑Est e delle regioni centrali (dall'Emilia alle Marche) prevale nettamente la domanda di lavoro proveniente dalle piccole imprese manifatturiere. Importante nel Nord‑Est è anche la domanda di lavoro che proviene dall'agricoltura, per lo più stagionale, mentre il lavoro domestico assume un certo rilievo solo nelle città dell'Italia centrale (Bologna, Firenze).

2. Il modello metropolitano, proprio delle conurbazioni di Milano e Roma, ma presente anche in città medio‑grandi del Centro‑Nord, si caratterizza per la forte domanda che proviene dalle famiglie per il lavoro domestico e di cura e dai servizi necessari alla qualità della vita urbana (dalla ristorazione alle pulizie). La Lombardia, per la sua complessa composizione socio‑economica, comprende realtà simili, oltre che a questo modello, anche al primo.

3. Infine il modello meridionale si articola in due sotto‑modelli: nelle grandi e medie città è presente quasi soltanto la domanda di lavoro domestico da parte delle famiglie, mentre nelle aree rurali la domanda di lavoro proviene per lo più dall'agricoltura stagionale di raccolta o da quella stabile delle serre, della pastorizia o della pesca.

 

6. Previsioni e domanda di lavoratori immigrati: un'accelerazione nel 2000?

Nell'estate 1999, troppo tardi per dame più di un cenno nel primo rapporto, sono stati pubblicati i risultati dell'indagine Excelsior (12) sulle assunzioni previste dalle imprese private dell'industria e dei servizi. Per il biennio 1999‑2000, ormai in piena espansione economica, l'indagine prevede una crescita dell'occupazione del 2,2%, quasi tutta concentrata nelle imprese piccole e piccolissime, e soprattutto mette in luce che ben un terzo delle figure professionali che le imprese dichiarano di ricercare è di difficile reperimento. Tra i lavoratori che le imprese dicono di non riuscire a trovare non vi sono soltanto gli specialisti di alto livello, ma in misura nient'affatto secondaria anche gli operai comuni, quelli che debbono sopportare i compiti più faticosi e dequalificati, e gli operai specializzati, che debbono unire capacità tecniche e personali alla disponibilità a condizioni di lavoro gravose per ambiente e contesto lavorativo. Ciò spiega perché quasi il 7% delle imprese (oltre l'8% nell'industria, con punte oltre l'11% nella metalmeccanica e nella gomma‑plastica) preveda di poter assumere lavoratori immigrati.

Nel complesso per il biennio 1999‑2000 le imprese hanno previsto di poter assumere circa 200.000 lavoratori immigrati, quasi un quarto del totale delle nuove assunzioni. Come opportunamente sottolinea Zanfrini [2000] nel presentare i risultati dell'indagine, si tratta di disponibilità e/o propensioni delle imprese ad assumere lavoratori non comunitari, quindi le valutazioni potrebbero essere sovrastimate. Tuttavia, dall'indagine sono esclusi i fabbisogni di lavoratori stagionali, che sono importanti non solo in agricoltura, ed è esclusa anche la domanda di lavoro domestico e di assistenza da parte delle famiglie. I settori ove maggiormente si concentra la domanda sono l'industria metalmeccanica (il 17%), i servizi operativi alle imprese (oltre il 16%, da intendersi per lo più come servizi di pulizia e facchinaggio), le costruzioni (quasi il 16%), ma rilevante (oltre la soglia del 5%) è anche la percentuale di altri settori: i trasporti, i servizi sanitari e alle persone, l'industria dell'abbigliamento e del cuoio e pellami. Naturalmente la distribuzione del livello di qualificazione è orientata verso il basso. Il peso delle mansioni manuali specializzate (quasi il 27%) appare cospicuo soltanto perché comprende un 7% di muratori. Gli addetti ai servizi di pulizia, i commessi, i camerieri e gli addetti ai servizi di assistenza alle persone raggiungono il 26%, gli operai industriali con un livello di qualificazione medio non arrivano al 22% e il personale non qualificato al 19%. Le professioni non manuali, come era ovvio attendersi, non vanno oltre il 7%.

Tuttavia, l'aspetto più importante da rilevare è che in alcuni settori, in alcune regioni e per alcune professioni la quota di immigrati che le imprese prevedono di assumere raggiunge livelli critici, che si spiegano soltanto con l'estrema difficoltà che ormai piccole e piccolissime imprese, sia industriali sia di servizi, incontrano nel reperire lavoratori italiani. (13) La percentuale degli immigrati sul totale delle persone di cui si prevede l'assunzione sfiora il 35% nelle regioni del Nord‑Est, supera il 44% nei servizi di pulizia alle imprese, raggiunge il 40% nelle costruzioni e supera il 30% in parecchi altri settori: dall'industria del legno all'abbigliamento, dal cuoio e pellami alla gomma e materie plastiche, fino ai servizi sanitari privati. Quanto alle figure professionali, siamo oltre il 50% per il personale non qualificato nell'edilizia e nell'industria manifatturiera (con punte oltre il 55% per i manovali e gli addetti ai servizi di pulizia), quasi al 50% per tutte le mansioni qualificate delle costruzioni (muratori, elettricisti, carpentieri, idraulici), sul 47% per gli operatori di macchine utensili e quasi al 46% per gli addetti ai servizi di assistenza alle persone [Zanfrini 2000]. Nelle piccole imprese del Veneto, il potenziale di assunzioni di immigrati raggiunge il 90% nelle costruzioni e sfiora il 70% nell'industria manifatturiera [Veneto Lavoro 2000].

Ciò spiega perché tra le organizzazioni imprenditoriali del Nord‑Est siano andate crescendo sia le pressioni per aumentare le quote di nuovi ingressi, sia le iniziative per stabilizzare e qualificare i lavoratori immigrati. (14) Entrambe queste iniziative, però, incontrano molte difficoltà. Gli interventi per favorire l'accesso ad un'abitazione trovano ostili le comunità locali, che, chiuse nel loro localismo, vorrebbero gli immigrati relegati all'interno delle fabbriche ed invisibili nella società. D'altro canto, i corsi di formazione professionale sono poco frequentati dagli immigrati, molti dei quali o hanno progetti migratori a breve scadenza e non sono interessati a un investimento formativo o hanno elevati livelli di istruzione ed aspirano ad uscire dal lavoro operaio, anche qualificato.

Che nelle imprese italiane, soprattutto in quelle industriali e nelle regioni più dinamiche, gli immigrati soddisfino ormai fabbisogni strutturali, consentendo ad interi settori di evitare situazioni di crisi, è un'opinione largamente consolidata tra gli esponenti delle associazioni imprenditoriali, come risulta da un'ampia indagine recentemente condotta per la Fondazione Agnelli [Sciarrone e Santi 2000].

La carenza di lavoratori italiani, che spingerebbe le imprese a prevedere di assumere una gran quantità di immigrati per i posti di lavoro meno qualificati, sembra, però, in contrasto con quanto risulta da un'analisi dell'andamento dei tassi di disoccupazione per professione [Istat 1999]. Dal 1993 al 1999, l'aumento della disoccupazione tra gli italiani ha comportato un netto peggioramento delle professioni relative al personale non qualificato rispetto a quelle a più elevato livello di qualificazione, con un ampliamento delle disuguaglianze. Secondo lo studio, questo fenomeno può essere dovuto, oltre che ad una caduta della domanda di lavoro per le mansioni a bassa qualifica, anche ad un aumento dell'offerta dei lavoratori disponibili a tali mansioni, dovuto alla crescente presenza degli immigrati. Perciò, le imprese non

ricorrerebbero agli immigrati in mancanza di lavoratori locali; al contrario, vi sarebbero lavoratori italiani anche per lavori di basso livello, ma subirebbero la concorrenza degli immigrati e resterebbero più a lungo disoccupati.

Tuttavia, due osservazioni mettono in discussione questo quadro. In primo luogo, l'analisi dei tassi di disoccupazione è stata svolta a livello nazionale, mentre è largamente probabile che il peggioramento della situazione di mercato del lavoro dei lavoratori meno qualificati riguardi soprattutto le regioni meridionali. Nelle regioni centro‑settentrionali, e segnatamente nel Nord‑Est, la ripresa economica era già avviata nel 1999 e il mercato del lavoro era prossimo alla piena occupazione, in particolare per il lavoro manuale, il più richiesto dalle piccole imprese industriali ed edili, su cui questa ripresa si fonda. E sono queste le aree che più prevedono di assumere immigrati. In secondo luogo, lo stesso studio in un paragrafo precedente mette in luce l'esistenza in Italia di un serio mismatch tra una domanda di lavoro che resta poco qualificata ed un'offerta, soprattutto giovanile, sempre più qualificata. Poiché una quota rilevante di lavoratori italiani ha un titolo di studio più elevato di quello richiesto dal lavoro svolto, è possibile che chi perda un lavoro dequalificato resti più a lungo alla ricerca di un nuovo posto, nella speranza di trovarlo più adeguato alle proprie aspirazioni professionali. Dunque, il crescente tasso di disoccupazione di costoro può essere dovuto a un elemento che non ha nulla a che fare con la supposta concorrenza dei lavoratori immigrati. Occorre, tuttavia, osservare che una larga disponibilità di lavoro poco qualificato, grazie alla presenza degli immigrati, può aver innescato il ben noto ciclo perverso dei lavori cattivi, per cui le caratteristiche delle attività più povere di contenuto professionale degradano sempre più invece di migliorare per risultare accettabili anche dai lavoratori locali con più elevate aspirazioni.

A conferma della forte segmentazione del mercato del lavoro italiano, Villosio e Venturini [2000] non solo rilevano come gli immigrati siano da sempre localizzati in prevalenza nelle aree territoriali e settoriali a maggiore domanda di lavoro, ma anche come la relazione inversa tra presenza di immigrati e livello di disoccupazione sia andata accentuandosi nel corso del tempo. Più in particolare, grazie ad una complessa analisi econometria, Villosio e Venturini [2000] mostrano che di concorrenza tra immigrati e lavoratori italiani ve ne sia molto poca. Infatti, nel caso di disoccupati italiani giovani e senza esperienza di lavoro, la presenza di immigrati potrebbe aver determinato un debole effetto di piazzamento, probabilmente limitato alle regioni meridionali, subito dopo la regolarizzazione del 1991, mentre più recentemente l'immigrazione non risulta influire in misura significativa sulle opportunità occupazionali degli italiani. Anzi nel 1997 nel Centro‑Nord emerge un effetto di complementarietà. Per quanto riguarda i disoccupati con alle spalle esperienze di lavoro, l'effetto della presenza di immigrati sul mercato del lavoro sembra sempre prevalentemente di tipo complementare, soprattutto nel Centro‑Nord. Infine, per gli occupati, la regolarizzazione del 1996 sembra a prima vista causare una certa competizione tra i lavoratori stranieri e gli italiani, in particolare quelli giovani e poco istruiti nel Centro‑Nord. Ma ulteriori approfondimenti non confermano tale relazione. Tutto ciò non esclude, tuttavia, che la grande disponibilità di una forza lavoro mobile quale quelle degli immigrati abbia contribuito a ridurre la mobilità interna dal Mezzogiorno ad alta disoccupazione verso le regioni dei Centro‑Nord da qualche tempo prossime al pieno impiego. L'alternativa tra ricorso agli immigrati oppure ai giovani meridionali è stata recentemente posta nel dibattito di politica del lavoro a livello regionale ed anche nazionale, a volte trascurando che le due vie possono in larga misura non escludersi, se si tiene conto della qualità dei posti di lavoro vacanti nelle aree più sviluppate.

Merita, infine, di essere segnalato che per la prima volta è stato affrontato anche in Italia il problema della discriminazione subita dai lavoratori immigrati, non pochi dei quali sono in possesso di titoli di studio medio‑alti e svolgono attività lavorative di livello molto basso, con un processo di sotto‑inquadramento ben maggiore di quanto accade per parecchi giovani italiani. Purtroppo il livello di istruzione dei lavoratori immigrati viene largamente sottostimato dalle rilevazioni degli uffici di collocamento, sia perché non è facile far riconoscere un titolo ottenuto in un paese lontano e poco conosciuto, sia perché l'immigrato non ha alcun interesse a dichiarare una laurea o un diploma, quando sa bene che ciò potrebbe addirittura costituire un ostacolo all'assunzione come lavoratore manuale. Per avere informazioni più attendibili siamo perciò costretti [Zanfrini 1999; Reyneri 1999] a passare in rassegna e rielaborare le non molte indagini locali che raccolgono informazioni oltre che sul lavoro degli immigrati, anche sul loro livello di istruzione. La più recente di queste indagini, pur fondata su un campione non rappresentativo, fornisce risultati significativi [Ambrosini 2000]. Tra oltre 2.000 immigrati intervistati in quattro città (Torino, Genova, Brescia e Modena), meno del 25% dichiara un'istruzione inferiore agli otto anni, mentre quasi il 47% si colloca tra i 9 e 13 anni ed oltre il 28% dichiara almeno 14 anni di scolarizzazione.

La scarsa presenza, almeno finora, di processi di mobilità occupazionale nel lavoro dipendente è destinata a porre seri problemi di discriminazione, una volta che la presenza degli immigrati si sia consolidata e comincino a manifestarsi le legittime aspirazioni ad attività lavorative consone alle proprie competenze. Quanto meno gli immigrati sono in concorrenza con i lavoratori italiani, perché svolgono le cattive mansioni che nessun giovane italiano vuole, tanto è più probabile che vi sia una discriminazione nei loro confronti. Questo è il contrappasso di fronte al quale l'Italia si troverà tra qualche anno, come già segnalato nel primo rapporto.

Tornando all'attualità, le previsioni Excelsior forniscono anche indicazioni per la programmazione dei flussi annui di ingresso, che secondo la nuova legge è affidata a un decreto del Presidente del Consiglio e non è più soggetta al vincolo dell'indisponibilità di lavoratori italiani al momento della singola autorizzazione all'ingresso. Assumendo, come gli stessi autori dell'indagine hanno suggerito, che le nuove assunzioni possano essere soddisfatte soltanto per la metà con immigrati già presenti in Italia, si deduce che le imprese industriali e dei servizi avrebbero bisogno, a breve termine, di un flusso di ingresso annuo di circa 50.000 lavoratori. A questi ingressi vanno aggiunti i flussi per l'agricoltura e per il lavoro domestico. Ciò spiega perché la quota annuale fissata in 63.000 si sia esaurita già a metà 2000, anche perché ha funzionato bene la procedura dell'ingresso alla ricerca di lavoro garantito da uno sponsor (per lo più un parente o un amico), cui erano riservati 15.000 ingressi. Si è allora aperta un'accesa discussione, con riflessi politici, sulle dimensioni della domanda di lavoro rimasta insoddisfatta e sulla necessità di nuovi ingressi.

La questione non è di facile soluzione né sul piano sostanziale, né su quello procedurale. Innanzi tutto è ovviamente impossibile programmare un mercato del lavoro così come un sistema economico, tanto più quando la domanda di lavoro per gli immigrati è in larghissima maggioranza espressa da piccole imprese o dalle famiglie, che nei loro processi di assunzione si fanno per lo più guidare da reti di conoscenze personali. Inoltre, se è vero che i mercati del lavoro sono, per definizione, locali e la loro gestione è stata recentemente affidata alle amministrazioni regionali e provinciali, i lavoratori immigrati sono estremamente mobili sul territorio così come tra i settori economici. (15) Pertanto, la decisione sulle quote di nuovi ingressi non può che essere presa a livello nazionale. L'unico livello, tra l'altro, in cui si può tenere conto dei rapporti con i paesi di emigrazione, di una politica di prevenzione degli ingressi irregolari e delle direttive comunitarie, inevitabilmente destinate a diventare sempre più penetranti in questo campo.

Ciò richiede una stretta collaborazione tra le autorità di governo (Presidenza del Consiglio e ministero del Lavoro) e le amministrazioni locali. Collaborazione da realizzarsi anche a livello locale, poiché, mentre i servizi per l'impiego per tutti i lavoratori, senza distinzione di nazionalità, sono ormai gestiti da province e regioni, la richiesta e il rilascio delle autorizzazioni all'ingresso dei lavoratori non comunitari sono compiti rimasti affidati alle direzioni provinciali del ministero del Lavoro. Dopo decenni di centralismo, l'Italia si è data la più decentrata e federalista organizzazione delle politiche del lavoro e dei servizi per l'impiego che esista in Europa. Ciò rafforza l'esigenza della cooperazione tra organismi locali e centrali che devono promuovere, coordinare e indirizzare le politiche del lavoro. La stesura di un Piano nazionale per l'occupazione, annualmente richiesta dall'Unione Europea, ha messo in luce l'ovvia esigenza di uno stretto coordinamento tra le politiche del lavoro ai diversi livelli territoriali. L'altrettanto ovvia esigenza di favorire la mobilità territoriale dei lavoratori impone che le informazioni raccolte da un servizio locale per l'impiego siano disponibili a tutti gli altri servizi locali, in qualunque regione si trovino. E' questa la ragione che sostiene la realizzazione del Sil, (16) di cui si attende l'imminente entrata in funzione. La questione dei flussi di ingresso dei lavoratori immigrati costituisce il terzo momento di una necessaria collaborazione inter‑istituzionale. Ed è anche a questo fine che il ministero del Lavoro sta predisponendo una banca dati unitaria (anagrafe informatizzata), anche per ovviare al fenomeno, spesso verificatosi, di regioni che esauriscono rapidamente la quota di autorizzazioni al lavoro dall'estero e di altre che ne usufruiscono solo in piccola parte [Anastasia, Gambuzza e Rasera 2000].

 

7. Conclusioni

Nell'introduzione sono state riassunte le tendenze che hanno finora caratterizzato l'inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Anche per un fenomeno ad alto tasso di mutamento quale l'immigrazione, a distanza di un solo anno i segni di novità non possono essere molti. Ma ve ne sono.

Innanzi tutto, prosegue la crescita dell'occupazione regolare degli immigrati, grazie anche al fatto che si è di molto ridotto il fenomeno del ritorno al lavoro irregolare dopo l'emersione in occasione di una regolarizzazione. Inoltre, anche prima dell'attuazione delle procedure stabilite dalla nuova legge, sono aumentati gli ingressi regolari per motivi di lavoro. Ed il rapido esaurimento delle richieste di ingresso attraverso l'innovativa procedura dello sponsor così come le quote riservate ai paesi con cui sono stati stabiliti accordi di immigrazione fanno pensare che una politica di prevenzione possa dare qualche risultato. Ciò non esclude, naturalmente che una percentuale non piccola di immigrati continui a lavorare in nero. Ad impedire una più rapida contrazione dell'occupazione irregolare può, però, aver contribuito la lunghezza delle procedure dell'ultima regolarizzazione, per cui molti immigrati sono rimasti in una situazione anomala per più di un anno dal momento della presentazione della domanda a quello del rilascio del permesso di soggiorno.

Quanto alla distribuzione territoriale e settoriale, mentre si acuisce la concentrazione nelle regioni a più alto sviluppo economico e ormai in situazione di pieno impiego, vi sono segnali di una stabilizzazione della domanda di lavoro proveniente dalle famiglie per il lavoro domestico o di assistenza, mentre va crescendo sempre più l'occupazione in edilizia, nell'industria manifatturiera e nei servizi urbani di basso livello. Soprattutto se si considerano le previsioni di assunzione a breve termine, in non poche aree dell'Italia nord‑orientale e centrale la presenza di lavoratori immigrati ha raggiunto una dimensione tale che la caratterizza come un elemento essenziale e strutturale dell'assetto economico locale. Nelle fabbriche di Treviso o Vicenza come nelle stalle di Cremona o Modena senza gli immigrati interi cicli produttivi entrerebbero in grave crisi. E altrettanto ne soffrirebbe la qualità della vita di molte famiglie a Milano e Roma. Il lato negativo non è certo dato dalla concorrenza con i disoccupati italiani, che continua a non esistere, ma dal fatto che gran parte di questi vantaggi sono legati ad una condizione di precarietà, che rende gli immigrati disponibili a qualunque lavoro. Una condizione inevitabilmente destinata a scomparire per chi si integra nella società italiana.

 

Riferimenti bibliografici

 

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2000 Migrazioni Scenari per il XXI secolo. Dossier di ricerca, Convegno internazionale, Roma, 12‑14 luglio (2 voll.).

 

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1999 La discriminazione nel mercato del lavoro, in Ismu (a cura di), Quinto rapporto sulle migrazioni, Milano, F. Angeli.

1999 «Programmare» per competere. I fabbisogni professionali delle imprese italiane e la politica di programmazione dei flussi migratori, Milano, F. Angeli, Unioncamere e Fondazione Cariplo‑Ismu.

 

Note:

 

1) I nuovi dati forniti dall'Inps hanno permesso anche di correggere le stime presentate nella tabella 1 del primo rapporto, in particolare per il lavoro domestico e l'agricoltura dal 1994 al 1997.

 

2) Uno studio citato nel primo rapporto ha stimato, per gli anni dal 1991 al 1993, un numero di lavoratori nati in paesi a forte pressione emigratoria più che doppio rispetto a quanto rilevato nell'archivio delle imprese non agricole. E' probabile, peraltro, che questa valutazione fosse per eccesso e che, inoltre, il fenomeno, dovuto alla scarsa informazione delle imprese, si sia ridotto dal 1996 e non riguardi il lavoro domestico, dato il gran rilievo dei lavoratori e delle lavoratrici non UE in tale settore. In ogni caso, questa discrasia è destinata a scomparire con il progredire dell'incrocio degli archivi contributi con quello dei permessi di soggiorno per lavoro, di cui sono già disponibili i primi risultati, come si dirà più avanti.

 

3) A questa stima si giunge applicando alle 193.000 domande accolte in totale la percentuale di quelle per lavoro subordinato rilevata su quelle accolte entro gennaio 2000 [Caritas Roma 2000].

 

4) Quest'ultima interpretazione sarebbe suffragata dal fatto che, secondo i dati recentemente forniti dall'Inps, la «punta» raggiunta dai lavoratori domestici regolari nel 1996 fu dovuta essenzialmente ai maschi africani, tradizionalmente poco disposti a tali lavori, in particolare in Sicilia, ove più precario è sempre stato l'inserimento lavorativo degli immigrati.

 

5) Anche in questo caso si rinvia al primo rapporto per una spiegazione del fenomeno.

 

6) L'attività di controllo degli Ispettorati del lavoro non solo è scarsa per carenze di organico, ma è anche erratica in quanto dipende da fattori istituzionali ed organizzativi, per cui in alcune regioni è intensa e in altre quasi inesistente, almeno sino al 1998.

 

7) Ciò risulta dalla netta caduta della percentuale di immigrati sull'occupazione totale delle imprese ispezionate.

 

8) Questa situazione è stata sanata solo da una circolare del Ministero del lavoro del settembre 2000.

 

9) In provincia di Treviso negli ultimi anni il 15‑20% degli immigrati avviati per la prima volta risulta proveniente dal Centro‑Sud [Anastasia, Gambuzza e Rasera 2000].

 

10) Dato dal rapporto tra il numero degli avviamenti annui e quello dei lavoratori rimasti iscritti alla fine dell'anno, il tasso di avviamento costituisce una misura della probabilità di trovare un lavoro regolare per gli immigrati iscritti al collocamento.

 

11) Le leggere differenze rispetto al primo rapporto si devono alla revisione dei dati.

 

12) L'indagine è stata condotta da Unioncamere e Ministero del lavoro ed è disponibile in cd‑rom.

 

13) Anche se per il Veneto Anastasia, Gambuzza e Rasera [2000] sospettano che in qualche caso il vero motivo stia nel calmierare le eccessive richieste salariali dei lavoratori locali.

 

14) Articoli che illustrano questi problemi compaiono frequentemente sul quotidiano della Confin­dustria: da ultimo, si può ricordare Pasqualetto [2000].

 

15) Né è pensabile limitarne la mobilità territoriale, poiché l'effetto sarebbe soltanto quello di ricreare irregolarità, come mostra la lezione dei paesi (la Spagna, ad esempio) che hanno rilasciato permessi di lavoro limitati ad una data regione.

 

16) Il servizio informazioni lavoro è una grande banca dati, cui dovrebbero confluire in tempo reale tutti gli archivi delle persone in cerca di occupazione e dei posti di lavoro vacanti raccolti dai servizi locali per l'impiego, in modo da consentire la loro consultazione su tutto il territorio nazionale.