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Pagina 15

L'Europa con tante razze
rischia un nuovo Medioevo


di FELIPE GONZALEZ

NELL'ambito dei dialoghi culturali svoltisi a Santiago di Compostella, due messicani (Héctor Aguilar e Angeles Mastreta), due tunisini (Hélé Béji e Ridha Tlili), un marocchino (Tahar Ben Jelloun), un europarlamentare francese di origine algerina (Sami Nar) e io stesso, abbiamo dato vita a un acceso dibattito sul problema dell'identità culturale nelle nostre società dopo la caduta del Muro di Berlino e l'esplosione del fenomeno noto come globalizzazione. Lo Stato Nazione, come ambito in cui si realizza la sovranità, la democrazia rappresentativa (quando esiste) e l'identità, andando verso la sovranazionalità e verso l'intranazionalità, vive una crisi strutturale accompagnata da variazioni sostanziali nei contenuti della politica, a qualsiasi livello sia esercitata. Al tempo stesso, gli strumenti istituzionali dai quali dipendeva la convivenza ordinata della comunità internazionale, si dimostrano insufficienti, inadatti o apertamente in crisi nell'affrontare le nuove sfide. In particolare quella dell'integrazione degli emigranti o dei rapporti di cooperazione tra paesi diversi, come quelli del Mediterraneo; in definitiva, della organizzazione democratica della maggior parte delle società, già in origine o sempre più multiculturali, e nei rapporti internazionali.
La rivoluzione nel campo dell'in
formazione - implicata dalla sua globalizzazione - acutizza le reazioni di affermazione di identità di fronte a ciò che si percepisce come una tendenza omogeneizzatrice, che minaccia la personalità propria e differenziata. La quasi scomparsa del sistema comunista fa emergere nello scenario mondiale una diversità di identità nazionali o etnico-culturali precedentemente sommerse. Questa esplosione, carica di tensioni, è stata vista come una regressione, come una minaccia, o è stata disprezzata dai difensori del sistema di pensiero unico. Basandoci su questa semplificazione, potremmo ora commettere l'errore di tentare di costruirne un'altra ancor più pericolosa: liquidato uno dei due sistemi di riferimento, si deve universalizzare il modello "vincente", eliminando qualsiasi ostacolo gli si frapponga. I conflitti di identità che nascono da quest'ultima reazione, intranazionali o sovranazionali, costituiscono la principale minaccia per l'esercizio della democrazia e per la convivenza pacifica tra popoli e nazioni. Scontri civili, movimenti terroristici, guerre regionali, esclusione delle donne, hanno questa origine, dalla ex-Iugoslavia alla regione africana dei Grandi Laghi, dai conflitti in Algeria, nel Chiapas, nel Paese Basco, al problema corso. Ma allora: che fare con i problemi di identità?
Ricordando la brillante e tormentata riflessione di Amin Malouf, su quelle che egli definisce le "identità assassine", proposi di assumere la biodiversità culturale che definisce la specie umana come il movimento ecologista ha ottenuto che fosse assunta la biodiversità della natura: come una ricchezza condivisa. Questo ci imporrebbe di superare l'intolleranza nei confronti di chi non condivide la nostra cultura, la nostra religione, i nostri valori convenzionali e di superare, inoltre, la sufficienza tollerante di chi crede di possedere la verità culturale, religiosa o laica e ammette che altri siano nell'errore, per passare alla comprensione dell'Alterità. Il dialogo, sempre più assente dalla società globale come conoscenza (logos) di questo Altro culturale, è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per trovare la via della convivenza pacifica tra le nazioni e all'interno di ogni Stato Nazione.
L'accettazione e l'integrazione della diversità culturale, di identità differenti che ci arricchiscono come specie, è compatibile con i diritti umani, con l'aspirazione a vivere nella libertà decidendo il proprio destino collettivo, con l'uguaglianza dei sessi, eccetera? Dalla risposta a questa domanda dipenderà che si soddisfi la condizione sufficiente per una convivenza pacifica. Da essa dipenderà anche la possibilità di vivere nella democrazia e nella pace tanto nelle società multiculturali di origine che in quelle sottoposte all'impatto dei flussi migratori, nonché tra le diverse nazioni della comunità internazionale. In società come quella spagnola, con la violenza terroristica dell'Eta, o come quella messicana, con la ribellione nel Chiapas, o quella francese, con il conflitto corso, o quella algerina, con la sua guerra civile, è possibile avere una democrazia funzionante basata sulla cittadinanza e l'integrazione di identità diverse? Gli Stati Nazione si trovano ad affrontare problemi senza precedenti nel tentativo di integrare, accanto ai diritti fondamentali di cittadinanza, diritti comunitari di identità, preesistenti o risultanti da flussi migratori. La democrazia esige che non vi siano interpretazioni discriminatorie nell'incorporazione di questi diritti di gruppi culturalmente differenziati e, ancor meno, interpretazioni dell'identità a carattere esclusivo da parte degli stessi.
Possiamo parlare di un'identità composta di identità diverse nella costruzione della democrazia delle società multiculturali nel XXI secolo. Questa "identità di identità diverse" è la cittadinanza come fondamento della democrazia. Ci possono essere più componenti e, di fatto, vi sono, ma senza questo la democrazia non è possibile ed entra in conflitto con le interpretazioni dell'identità che, per il loro carattere esclusivo, non lo accettano.
Credo, tuttavia, che non esistano identità assassine in se stesse, bensì interpretazioni esclusive dell'identità che, nel loro rifiuto dell'altro, generano un grado più o meno grande di violenza. Questi gruppi che assumono l'identità come esclusione dell'Altro, la concepiscono come un assoluto che, nella loro pazzia, li legittima a disporre della vita e della libertà di quelli che, per motivi etnico-culturali o etnico-religiosi, non condividono la loro interpretazione. Nel caso della nuova sfornata di terroristi dell'Eta, ormai priva della carica ideologizzante marxista rivoluzionaria che alimentava la sua strategia come movimento di liberazione nazionale, il fondamento della sua violenza criminale sta nell'interpre
tazione esclusiva e assoluta dell'identità che dicono di difendere e che pretendono sia oppressa. Questa difesa diviene incompatibile con la democrazia, perché non rispetta il cittadino, chi lo è perché non si sente obbligato ad accettare la stessa interpretazione dell'identità.
Non c'è un problema di "carattere", né esistono identità assassine. C'è un problema di interpretazione esclusiva che porta all'assassinio, all'estorsione, alla lotta nelle strade, all'oppressione dell'altro. E' "basco" ciò che un gruppo di fanatici decide che è "basco", così come, nella Germania nazista, era tedesco quello che decideva il Fuehrer. Questa pazzia criminale pretende di stare al di sopra delle regole del gioco su cui si basa la democrazia, per questo non si fanno scrupoli di metterla in pericolo. E' su questo terreno, sul terreno dell'identità, che dovremo affrontare la più grande sfida all'articolazione democratica delle nostre società, contro la feudalizzazione, la tribalizzazione dei rapporti tra le diverse identità, sempre più esclusive tra sé, sempre più aggressive tra sé. Democrazia inclusiva o barbarie: la sfida è questa.

(traduzione di Luis Enrique Moriones)

L'autore è ex presidente
del Consiglio spagnolo
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