|
IMMIGRAZIONE, SICUREZZA, FORTEZZA
EUROPA
Le frontiere del disincanto
Enrico Pugliese
Un libro sulla frontiera è una positiva
novità nel panorama degli studi e delle inchieste sull'immigrazione
italiana. È pertanto molto apprezzabile il lavoro di Galieni e Patete
(1), che documenta quello
che avviene in cinque significative aree di frontiera italiana: la costa
adriatica pugliese - in particolare Otranto, che dista solo settanta miglia
dalla città albanese di Valona; la costa ionica calabrese, improbabile
zona di sbarco da «carrette di mare» e (temporaneo) insediamento
di migranti provenienti da molto lontano; Trapani, punto di arrivo di tunisini
e di altri immigrati provenienti da quella costa; la città di Ventimiglia,
dove gli immigrati si affollano per recarsi clandestinamente in Francia
e proseguire il proprio viaggio; e infine Gorizia, una città divisa
in due, già abituata alla irrealtà e alla crudeltà
di un confine chiuso. Naturalmente questi non sono affatto i principali
posti di frontiera per tutti coloro che vengono in Italia: sono le frontiere
della povera gente, di chi cerca di penetrare la Fortezza Europa in mancanza
di documenti validi per l'ingresso e il soggiorno regolare. Per gli altri
le frontiere sono le grandi città e i grandi aeroporti internazionali.
È da questi posti che entra chi ha le carte in regola, chi può
esibire documento regolare alla polizia di frontiera, attentissima al portamento
della gente che entra, al paese di provenienza, al colore della pelle.
Ma le frontiere delle quali si parla nel libro non sono solo luoghi di arrivo,
più o meno felici: sono tristissimi luoghi di partenza, luoghi nei
quali tragicamente finisce l'esperienza migratoria di molti. Ed è
proprio questo uno degli aspetti più interessanti di questo libro
che racconta le peripezie dell'arrivo, con l'angoscia e la paura di essere
acciuffati dalla polizia di frontiera ed essere rispediti indietro. Ma indietro
dove? Il libro illustra la varietà delle provenienza di questi immigrati
e la complessità dei percorsi da essi seguiti. Per alcuni la frontiera
italiana è l'ultima di tante attraversate. (...) Le storie del viaggio
e dell'arrivo - certamente drammatiche e a volte tragiche - non sono mai
chiare. Ed è anche difficile trovare la documentazione adatta a ricostruire
queste vicende. Da una parte i racconti dei protagonisti danno più
l'idea della drammaticità dell'esperienza che non la possibilità
di ricostruzione accurata. D'altra parte ci sono le fonti giudiziarie, sicuramente
utilissime, ma che si riferiscono a casi singoli e pertanto non sono generalizzabili,
anche perché si riferiscono ai casi più gravi. Da quello che
se ne sa i modelli sono diversi e diverso e mutevole è il tipo di
organizzazione. Soprattutto diverso è il grado di coinvolgimento
della malavita organizzata.
C'è insomma una situazione drammatica, ma c'è anche una grande
retorica sul tema che non aiuta a far chiarezza.
La frontiera - quest'ultimo pezzo di frontiera per molti, che già
di confini ne hanno passati molti - è il luogo dell'impatto con l'Italia
e con l'Europa: è il luogo di penetrazione della fortezza. È
il luogo dove si ha più paura perché è qui che si infrangono
i sogni e i programmi ed è qui che essi cominciano nel bene e nel
male a concretizzarsi.
Alla frontiera c'è chi ti respinge o ti arresta e chi ti soccorre.
Prima le cose erano un po' più disorganizzate, ma più umane:
si veniva presi, magari si veniva rifocillati per un po' e poi si veniva
rilasciati con un bel foglio di via, con il quale si iniziava la carriera
di clandestino in Italia: la onesta carriera lavorativa della stragrande
maggioranza di coloro i quali sono venuti in Italia attraversando le frontiere
di cui parla il libro. Già: perché se si somma il numero totale
di coloro i quali hanno beneficiato negli ultimi quindici anni di sanatorie,
cioè degli immigrati clandestini e degli altri irregolari, si raggiunge
una cifra prossima al milione: tanti quanti sono gli immigrati in Italia
oggi, se si prescinde dai ricongiungimenti familiari e da qualche minoranza
di lavoratori entrata legalmente soprattutto per lavoro domestico.
La frontiera è un luogo tanto più rischioso quanto più
elevata è l'efficienza dei controlli. E insieme all'efficienza dei
controlli è andata crescendo per gli immigrati la necessità
di affidarsi a organizzazioni illegali e criminali. Ma poi alla fine si
è comunque soli. E la solitudine dell'immigrato alla frontiera -
che non deriva certo dall'ostilità della gente - è uno dei
temi ben trattati nel libro, uno degli aspetti di maggiore interesse.
La gente alla frontiera non è ostile, anzi semmai è benevola
e particolarmente lo è stata in passato. Il paradosso - se di paradosso
si tratta - è che proprio che nei luoghi dovrebbe verificarsi l'invasione,
non si sente una preoccupazione del genere. Certamente sono finiti grandi
slanci di solidarietà del passato, quando la gente di Brindisi e
di Puglia si mobilitò per gli albanesi che erano arrivati in massa
in condizioni terribili. Ora gli arrivi non sono più di massa: ci
sono gli arrivi alla spicciolata, come a Gorizia; c'è ogni tanto
l'arrivo di qualche carretta di mare sulla costa ionica o qualche sbarco
da gommoni sulla costa salentina. Gli autori raccontano le forme di solidarietà
sia della gente comune, sia soprattutto dei volontari impegnati a rendere
più vivibile la condizione degli immigrati ad aiutarli a trovare
opportunità di vita in Italia. A volte c'è indifferenza, ma
raramente c'è fastidio o aggressività. Evidentemente la loro
presenza non è così fastidiosa come spesso si assume. D'altra
parte gli immigrati - arrivati come si è detto in massima parte come
clandestini o irregolari - hanno mostrato di essere utili alla economia
e alla società italiana (come operai, come addetti ai servizi domestici
e all'assistenza, tanto per citare solo alcuni campi di occupazione). Per
qualche strano e perverso meccanismo in Italia si è sviluppata negli
ultimi quindici o venti anni una sorta di sindrome da invasione non giustificata
né da dati demografici né da dati economici. La presenza degli
immigrati sul totale della popolazione italiana è ancora di gran
lunga al di sotto della media europea. Essi inoltre hanno mostrato di essere
una risorsa ma sono stati trattati solo come se fossero un problema. L'attenzione
è stata invece posta sul controllo anziché sulla solidarietà
e l'integrazione.
È stata prodotta e propagandata l'identità immigrato clandestino
(o irregolare)= criminale senza pensare alle implicazioni che una tale presa
di posizione potesse avere. Tutti le forze di governo che si sono succedute
negli ultimi quindici anni hanno tuonato contro le sanatorie che avrebbero
reso regolari i clandestini; e tutte le forze di governo - a prescindere
dal colore politico - le hanno praticate: una contraddizione non da poco,
che però è stata pagata dagli immigrati con l'aumento delle
difficoltà di vita alla frontiera. Il libro - per altro molto ben
scritto - ha il merito di mostrare cos'è e come è nata l'esperienza
della frontiera: un'esperienza drammatica , per altro conosciuta dagli italiani
anche in tempi non lontani.
Si pensi al film di Germi Il cammino della speranza, dove gli italiani fanno
la parte che ora sarebbe dei kurdi o degli albanesi.
note:
(1) Questo testo è tratto
dall'introduzione al libro di Stefano Galieni e Antonella Patete Frontiera
Italia, Città Aperta, 2002, 11 euro.
|
aa
|