da Avvenire

del 13 Luglio 2000

SCEGLIERE LA FLESSIBILITÀ MA NIENTE SCONTI

Domenico Rosati

La scienza spiega, quando può, i problemi. L'emergenza li complica. E la politica rimane in sosta vietata. Se non è una regola, certamente è una costante almeno per quel che riguarda il dibattito sull'immigrazione in Italia, in Europa e altrove. Tuttavia la riflessione analitica, come quella avviata dal convegno internazionale in corso a Roma per iniziativa dell'Agenzia per il Giubileo, mette in campo argomenti che rafforzano, dove è necessario, i fondamenti razionali di alcune scelte. Così non dovrebbe, di per sé, produrre panico l'annuncio dell'avvenuto sfondamento del "tetto" dei 63mila ingressi in Italia per l'anno in corso. Chiariscono gli economisti che è in atto un'accelerazione produttiva che incrementa, dove si verifica, la domanda di forza lavoro, mentre i demografi sottolineano che c'è da compensare con immissioni dall'esterno il deficit delle nascite nelle aree dello sviluppo. Se si prendessero alla lettera le suggestioni dell'Onu in materia, la capienza in Italia potrebbe essere persino raddoppiata. In più, e soprattutto, le imprese chiedono rinforzi che non sempre trovano (o cercano) sul mercato interno. Con tali premesse non dovrebbe risultare ardua l'applicazione del teorema, ormai universale, della flessibilità anche al regime dei flussi. La cifra scritta in un decreto non è, dopotutto, un capo di dottrina ma una previsione. Non necessariamente sbagliata se si considera l'effetto di circostanze non apprezzabili al momento della formulazione della stima. Lo spessore delle resistenze, infine, parrebbe ridursi visto che le richieste più intense vengono proprio dai territori dove maggiori erano le manifestazioni di ostilità, fino al referendum abrogativo, ad una disciplina dell'immigrazione che non equivalesse ad una somma di divieti. Che non sia, quella attuale, una congiuntura favorevole per riconsiderare realisticamente tendenze e probabilità senza le angustie ideologiche del "tutti dentro" o del "tutti fuori"? Un approccio di questo genere, che include anche la predisposizione di un sistema trasparente di accoglienza e di inserimento degli immigrati negli ambiti della cittadinanza sociale e della partecipazione civile, esige tuttavia un confronto senza sconti anche con il dato di irrazionalità che è rappresentato dal perdurare, e forse dall'accentuarsi, del fenomeno degli ingressi clandestini, con tutte le variazioni dalla speculazione sui traffici umani alla gestione della "tratta" della prostituzione; e con tutte le ricadute di criminalità che alimentano i circuiti dell'insicurezza e della paura dell'intrusione. Qui l'analisi rammenta che non è solo un fatto italiano; e aggiunge che spesso il Paese da cui partono i carichi della disperazione, navi, gommoni o autotreni, è un mero punto di transito perché le provenienze sono più remote. Ma non indica sbocchi concreti per l'azione politica. Che invece è chiamata ad esercitarsi ancora su almeno tre piste: il rafforzamento della vigilanza sui traffici illeciti, la collaborazione europea, a cominciare dai paesi più esposti (Italia, Spagna, Grecia, Austria), la predisposizione o l'intensificazione dei rapporti con i luoghi effettivi di provenienza in modo da immettere, cominciando dall'informazione, fattori di dissuasione negli ambigui circuiti che alimentano tante false speranze. Chi abbandona la propria terra sceglie tra un vissuto inaccettabile e una prospettiva di miglioramento ritenuta credibile; potrebbe cambiare idea se conoscesse a quali rischi, dallo sfruttamento, al rimpatrio, alla morte, lo espone la pratica della clandestinità; meglio se il tutto venisse avvalorato da concreti sostegni per un'attività da svolgere in patria secondo percorsi legali. Anche su questo versante occorrerà probabilmente accedere - oltre al varo della legge sull'asilo, un tema che vede l'Italia in difetto rispetto al resto d'Europa - a qualche ponderato adeguamento delle norme in vigore. Esse non possono infatti essere considerate intoccabili quando abbiano dato luogo ad inconvenienti gravi come le difficoltà di rimpatrio per chi, dopo tutti gli accertamenti e soggiorni, risulti non aver diritto all'ingresso. Dovranno inoltre intensificarsi le azioni positive per instaurare con i Paesi che "emettono emigrazione", in particolare sull'altra sponda del Mediterraneo, un sistema di relazioni economiche, culturali e sociali che faccia onore al concetto di "partnership", utilizzato nei giorni festivi ma disatteso nei giorni feriali. È accaduto di ascoltare, nel convegno romano, la voce del ministro per gli affari sociali del Marocco: voi europei non avete una politica delle migrazioni perché siete ancora alle prese con i guai di una "non-politica" basata sull'illusione delle "migrazioni zero". Sicuramente spiacevole, forse salutare. Domenico Rosati