ESTERI
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LA STORIA
La banlieue parigina in fiamme
di TAHAR BEN JELLOUN

NON È la prima volta che dei giovani delle periferie francesi si rivoltano. Non si tratta di "ribelli senza causa": reagiscono di fronte a un dramma o a un'ingiustizia macroscopica come quella che si è verificata a Clichy il 27 ottobre, quando due giovani minorenni inseguiti dalla polizia sono morti folgorati. Certo, si è trattato di un incidente, ma se gli agenti della polizia non si fossero lanciati all'inseguimento non sarebbe successo. Questo tragico avvenimento è stato il detonatore di una rivolta che ha le sue radici in una storia che la Francia fatica a scrivere, a riconoscere e a inserire nell'immaginario collettivo.

Questa volta sono esplose le tensioni politiche e sociali, e non solo a Clichy-sous-Bois. Nel giro di qualche giorno sono state incendiate un centinaio di automobili, una settantina delle quali nel dipartimento della Seine-Saint-Denis, che non era direttamente coinvolto dal dramma del 27 ottobre. Ci sono stati feriti in entrambi i campi, sono state pronunciate condanne nei confronti di tre giovani e altri aspettano in prigione di essere giudicati.

Al centro di questa rivolta, la rabbia di una gioventù francese figlia dell'immigrazione. Una gioventù povera, mal considerata e tenuta sotto sorveglianza dalla polizia. Infatti il ministro degli interni Nicolas Sarkozy tiene a dimostrare ai Francesi di essere lui a garantire la loro sicurezza. È lui a dar prova di fermezza e qualche volta si spinge anche oltre, con minacce dirette ai giovani. Ed è sempre lui che ha usato l'espressione "pulire col Karcher" (una marca di idropulitrici professionali, ndt) il rione di Courneuve, un sobborgo difficile. Subito prima del dramma di Cliché, la notte del 25 ottobre Sarkozy era andato ad Argenteuil e aveva chiamato "plebaglia" i giovani in agitazione.

Questo modo di fare e soprattutto le parole che usa provano che Sarkozy non sa dominarsi o che vuole lanciare dei messaggi agli elettori dell'estrema destra in prospettiva delle elezioni presidenziali del 2007. Come gli piace affermare: "Io non faccio discorsi: io agisco e vado sul campo".

Questo ha fatto dire ad Azouz Begag, ministro delegato alle pari opportunità: "non è privo di interesse osservare che due ministri non hanno la stessa Francia nel mirino". Azouz Begag si è opposto ai metodi e al linguaggio di Sarkozy senza che il primo ministro trovasse da ridire. Semplicemente perché Azouz Begag conosce perfettamente i giovani dei sobborghi: è nato nella zona di Lione e sa di che cosa soffrono quei giovani che la Francia non ha saputo vedere né riconoscere. Ogni volta che si esprimono, gli mandano contro la polizia. Quei giovani non sono degli stranieri, non sono degli immigrati, sono Francesi declassati, con il destino minato dalla povertà, da un habitat malsano e da una storia che è diventata un handicap. Sono Francesi di seconda categoria perché nati da genitori immigrati, perché non sono proprio bianchi di pelle e non vanno bene a scuola.

Appena il 5% dei figli di immigrati riescono ad arrivare all'università. Gli altri vengono scoraggiati dalla nascita; alcuni se la cavano, altri si lasciano tentare dalla deriva della delinquenza. Sanno di non essere accettati, sanno che il colore della loro pelle, le loro origini, la loro condizione non gli permetteranno di accedere alle scuole migliori o di avere una carriera professionale normale.

Il 26 ottobre, Nicolas Sarkozy ha organizzato al ministero un convegno sulla "discriminazione positiva alla francese" per lottare contro il razzismo nelle assunzioni o semplicemente nelle scuole. Mi ha chiesto di fare il discorso d'apertura del convegno. Io non sono d'accordo con la discriminazione, sia essa positiva o negativa; ho sostenuto l'idea che bisogna lavorare sull'opinione pubblica perché i Francesi accettino questa nuova realtà: la Francia è un paese il cui panorama umano è cambiato, il suo avvenire sarà nella mescolanza di diversi colori, di diversi sapori e di spezie diverse. Ho dimostrato che non è necessario ricorrere ai curricula anonimi. Al contrario, il funzionario dello Stato francese deve sapere che la persona che si è presentata da lui per ottenere un lavoro si chiama Mohamed, è francese e va considerata solo per le sue capacità. Altrimenti si farebbe una concessione al razzismo.

Ma il ministro ha fretta; vuole lanciare delle formule e andare sul campo per impressionare i Francesi, perché sta già facendo la sua campagna elettorale.
La repressione non risolve il problema di questi giovani, anzi, li provoca e li spinge verso una rivolta più grande. Occorre una nuova politica, una politica che riconosca la realtà e si impegni a integrare questa popolazione nell'avvenire del paese, perché questi giovani lo proclamano e lo reclamano: il loro paese è la Francia. Ma non sempre la Francia li ascolta.
traduzione di Elda Volterrani

(3 novembre 2005)