BRESCIA - L'unica luce è quella dei lampi, sul crinale dell'Appennino.
Dia Mbaye si è svegliato per i tuoni, e per la grandine che picchia
sulla lamiera del pullman. "Vede, noi 'sans papier' non chiediamo
troppo. Vorremmo potere dormire di notte, essere svegliati solo dal temporale.
Non da qualcuno che bussa alla porta, e pensi subito: è la polizia,
sono venuto a prendermi per mandarmi via". In viaggio con i fantasmi,
da Brescia alla Capitale. Dia Mbaye dice che questo è uno dei due
viaggi più importanti della sua vita. "Il primo è stato
tanti anni fa, quando sono andato via dal Senegal. Non ero solo io, a
partire. Ognuno di noi porta sulle spalle le speranze di tutta la sua
famiglia, ed il peso a volte è insostenibile. Oggi vado a Roma
a dire che ci sono anch' io, a mostrare la mia faccia. Gli altri sono
come me. Senza un documento, non hai il diritto di esistere".
I fantasmi di Brescia riempiono un pullman. Altre centinaia di fantasmi
restano in piazza della Loggia, quella della strage. Stanno stesi su materassini
di gommapiuma, e sono lì da venti giorni e venti notti. "Permesso
per tutti", hanno scritto su uno striscione. Quasi tutti vestiti
di bianco, il colore dei pakistani. L'altro giorno uno ha tentato di darsi
fuoco, è stato fermato da un poliziotto. Altri si sono messi una
benda nera sugli occhi, ed hanno mimato il suicidio per impiccagione.
"Senza soggiorno, meglio morire". Qualcuno si arrabbia, ai tavoli
del ristorante lì vicino. "Ancora qui? Ma non dovevano farli
spostare?". Nessuna protesta, invece, per il ragazzo indiano che
esce dal retro del ristorante e va a buttare i sacchi dei rifiuti.
C'è qualcosa di nuovo, nell' aria di Brescia. Gli uomini e le donne
senza faccia hanno deciso di avere un volto. Hanno deciso di esistere
non solo per il datore di lavoro che li tiene in fonderia per dieci ore
al giorno, cinquemila lire all'ora; o per il proprietario delle stalle
che alle quattro del mattino li vuole nella buca della mungitura. Uno
alla volta, in questi ultimi mesi, sono andati in questura a chiedere
se c'era qualche novità, per il loro permesso di soggiorno. "Quattordicimila
e 146 domande presentate, 8.198 accolte". Hanno fatto presto a fare
i conti: 5.948 domande "rigettate", perchè non complete,
o con documenti falsi.
"Per - messo per tut - ti", scandiscono indiani, pakistani,
senegalesi e cingalesi. Sarà lunga, la notte, e senza sonno. "Certo,
tanti di noi - dice Roy Ganga, dello Sri Lanka - hanno pagato per avere
documenti falsi. E cosa potevano fare? Se lavori in nero, non puoi dimostrare
nulla. Se chiedi di essere messo in regola, il padrone si mette a ridere
e chiama un altro. E poi, la sanatoria è stata un affare per tanti.
Per avere il soggiorno, bisognava dimostrare di avere una casa, una residenza
ed un lavoro. Le mafie italiane e straniere - la mafia non ha certo confini
- si sono messe al lavoro. C'è chi ha dichiarato che l'amico abitava
sotto il suo tetto, e si è fatto pagare. C'è chi invece
- e questo è stato il vero affare - d'accordo con un italiano ha
inventato un'impresa, che ha preparato cento dichiarazioni di assunzione.
Due milioni per ogni foglio di carta. Non è stato certo difficile,
per l'ufficio stranieri, scoprire l'inganno, ed a pagare sono gli immigrati".
Hanno detto basta, i fantasmi di Brescia. "Non siamo spacciatori
- racconta Hamid, arrivato dall' India - non siamo delinquenti. E allora
non dobbiamo avere paura. Il padrone della stalla dice che noi siamo i
più bravi, perchè rispettiamo gli animali. Stiamo con la
vacca che deve partorire una notte intera, diamo il biberon al vitellino.
I padroni sanno che noi rifiutiamo soltanto di accompagnare le vacche
al macello. Certo, quando ci hanno visto in piazza, i cittadini di Brescia
si sono meravigliati. Noi dovremmo lavorare, e sparire. Ma questa terra,
ormai, ha bisogno di noi. Lo ha detto anche il nostro vescovo: 'Non siete
qui certo per capriccio'".
Corre il pullman nella notte. Si va a Roma con una proposta: un "permesso
di soggiorno provvisorio" per un anno, per potere uscire alla luce
del sole e mettersi in regola con il lavoro. Altrimenti - dicono i sindacalisti
di Cgil, Cisl e Uil che hanno organizzato il viaggio - il serpente si
morde la coda. Hamid non può dire dove lavora perchè non
è in regola, il padrone non lo mette in regola perchè non
ha i documenti. "In tanti casi, basterebbe un permesso di pochi giorni".
Al check point del Giubileo, sull'Aurelia, senegalesi e pakistani mettono
i vestiti tradizionali. Una buona notizia, via cellulare. "Il governo
ha deciso una cosa di sinistra". Arrivano un furgone e due macchine
della polizia, per scortare il pullman e farlo filare liscio fra i divieti
e ingorghi. Ogni tanto accendono anche la sirena. "Una scorta per
noi clandestini diretti al Viminale. È bellissimo".
Peinda Kebe, senegalese, ha indossato un abito color fuoco. È lei
che spiega ai partiti del centro sinistra (quelli del Polo non hanno accettato
incontri) e poi al ministero, cosa significhi vivere senza il "permesso".
"Il muratore va a costruire case, ed ha paura di essere trovato con
il metro o la cazzuola. L'uomo che esce dalla fonderia si toglie subito
la tuta, per non essere riconosciuto. Insomma, dobbiamo vergognarci della
nostra voglia di fare. Loro, quelli che ci fanno vivere così, sanno
benissimo che noi siamo i nuovi schiavi. Non possiamo continuare così,
non è vita".
In una stanza del Viminale, solo tre immigrati, i sindacalisti ed il sottosegretario
Aniello Di Nardo. "La legge va rispettata, ma il governo valuterà
al più presto la vostra proposta. Non tutti gli immigrati sono
come voi. Tanti clandestini portano delinquenza, droga e prostituzione.
Certo, voi siete diversi...".
Peinda Kebe, alla fine, è contenta. "L'uomo del governo ha
detto che si deve pensare soprattutto alla sicurezza degli italiani. Io
ho spiegato che è meglio pensare alla sicurezza di tutti coloro
che vivono in Italia. Ha detto che era d'accordo con me". Aspettano
notizie, in piazza della Loggia. Altri giorni e notti di digiuno e di
attesa. Cinquantamila stranieri che lavorano, e fra questi 5.948 che non
hanno ancora nessun diritto. Ma i fantasmi, adesso, hanno trovato il coraggio
di portare i loro volti in piazza.
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