La
verità di Selim, boss turco che organizza gli ingressi in
Europa "La mia è un'azienda, non commetto alcun reato" "Io mercante di nuovi
schiavi do un futuro ai clandestini" dal
nostro inviato PAOLO RUMIZ
ORE 12, una botteguccia nel termitaio umano di
Artakoy, sponda asiatica di Istanbul, navi e moltitudini che
vanno e vengono sul Bosforo. Ti fanno togliere le scarpe, poi
ti indicano in fondo, nella penombra, seduto a un tavolino, un
uomo sui cinquanta, bruno e senza baffi. E' Selim -
chiamiamolo così - il mercante di uomini che abbiamo cercato
per sei mesi. Con un gesto ti fa sedere accanto al suo
interprete, spegne il cellulare, lo poggia sul tavolo, accende
una sigaretta, fa venire un caffè. Accetta una conversazione
tesa come una lama, ma corretta. Fino alla fine.
Voi
fate morire la gente, Selim. "Io non faccio morire
nessuno. In Europa fanno notizia solo gli sbarchi che
finiscono male. Fanno notizia solo gli sbarchi organizzati dai
nuovi degenerati che oggi stanno sporcando questo mestiere.
Non vedete le decine di migliaia che arrivano a destinazione
senza un graffio. Il mio è un lavoro serio".
Chi
sono i degenerati? "Quelli che per stracciare i prezzi
si affidano ad avventurieri, non controllano l'affidabilità
dei passeur, comprano pescherecci che affondano, li fanno
guidare a dei pazzi imbottiti di coca che non sanno governare
gli sbarchi".
E' per questo che ha accettato di
parlare? "Anche".
Ma il suo lavoro è comunque
roba di mafia. "Lo chiami come vuole, ma noi non
ammazziamo la gente. Siamo solo organizzati in clan, senza una
cupola unica. Qui, anche se ci conosciamo fra noi, restiamo
indipendenti".
Lavora anche con droga e armi?
"Le pare che l'avrei fatta venire? Quella non è gente
con cui si discute. Altre famiglie, altri canali. Altri
profitti".
Si sente imprenditore? "Esatto,
imprenditore. E non uno qualsiasi. Rispondo a bisogni veri,
non vendo mutande a pallini. Do una risposta alla fame di
alcuni e al bisogno di manodopera di altri. E poiché l'Europa
non offre sponde legali all'immigrazione, ne costruisco di
illegali".
Insomma
una missione. "Ironizzi pure. Tra il mio lavoro e
quello di un operatore umanitario c'è solo la differenza del
profitto. Non offriamo la pietà, che lascia tutto come prima.
La pietà dei ricchi non aiuta. Noi offriamo una via d'uscita,
insciallah".
Perché allora non vuole che si scriva
il suo nome? "Romperei regole d'onore. E non ho dubbi
che lei sia un uomo d'onore".
Perché si fida?
"Lei non sa se io sono io, oppure sono un
intermediario. O una controfigura. E poi, anche lei si è
fidato. Ha accettato di venire da solo".
Si
considera un pezzo grosso del mestiere? "Medio. Ce ne
sono almeno dieci o quindici più grossi di
me".
Quanta gente è passata per la sua...
azienda? "Diciamo diecimila persone in cinque
anni".
E per Istanbul quante ne passano in
totale? "Dalle due alle trecentomila
all'anno".
Organizza viaggi verso
dove? "Diciamo viaggi lunghi. Non mi limito a scaricare
la gente a Rodi o altre isole greche. Io porto la gente a
destinazione. Dentro l'Unione
Europea".
Costo? "Seimila dollari fino in
Inghilterra. E' il prezzo più alto".
Fate espatriare
perseguitati politici curdi? "(Ride) Ecco un altro mito
dell'Europa. I perseguitati. Quelli hanno i loro clan, le loro
reti criminali. Sono gli unici che non hanno bisogno di noi.
Noi lavoriamo per la gente qualunque".
Dicono che la
polizia turca non faccia niente contro di voi. "Questa
è l'idea che si è fatta la polizia italiana, francese e
spagnola. Succede che voi non riuscite a incastrarci, perché
lavoriamo bene e i nostri clandestini non ci denunciano mai.
Così accusate i turchi. Per disperazione. Ma la polizia turca
è impotente".
Perché? "Sa tutti i nostri
nomi, ci conosce uno per uno. Sa i nostri indirizzi, numeri di
telefono, nomi delle residenze dove i clandestini aspettano la
partenza. Ma noi non infrangiamo nessuna legge del nostro
Paese. Far emigrare la gente non è reato, neanche da voi. Non
stampiamo passaporti falsi. Non schiavizziamo
nessuno".
Avete rapporti con la polizia? "C'è
stato un periodo di non belligeranza. Ma oggi è cambiata
l'aria. Nell'esercito, nella polizia e anche nella dogana è
cominciato un repulisti. Dicono di voler buttare fuori chi
avrebbe collaborato con noi. In realtà è tutto un alibi per
condurre una guerra di potere interna".
Perché è
cambiata l'aria? "La Turchia vuole fare le fusa
all'Europa, e così tenta di bloccare il traffico dei
clandestini. Ma è una pia illusione. Questa è la porta
dell'Asia. Sarebbe come fermare il mare".
Com'è
cambiato il traffico? "Gli arrivi dalle zone calde del
Sudest si sono fermati. I curdi dall'Iraq, dall'Iran o
dall'Afghanistan non passano quasi più la frontiera. In
compenso arrivano ondate di africani. Per loro è facile avere
il visto d'ingresso qui. E noi li aiutiamo a entrare in
Europa".
Nell'attesa li stivate nelle case in
condizioni inumane. "Quello lo fanno i nuovi negrieri.
Gli stessi che lavorano in Tunisia. Gangster".
Come
ha cominciato? "Ho aiutato una ventina di amici e amici
degli amici. E loro hanno aiutato me. Ho lavorato bene e si è
sparsa la voce".
Come ci si mette in contatto con
lei? "Ci sono dei posti fissi, quasi tutti nel
quartiere di Fatih, ma anche altrove. Gli emigranti si passano
la voce".
Crede in Dio? "Vado alle preghiere
del venerdì, osservo il Ramadan. E se mi chiede se seguo
strettamente il precetto del Profeta, le dico che la fede dei
turchi non ha niente di ipocrita e tantomeno di
fanatico".
Viaggia? "Mai. La logistica
dell'operazione è troppo complessa per cambiare base
operativa. Qui ho i contatti, qui ho le banche per pagare i
passeur all'estero. La mia azienda sono io e il mio telefono.
E' sempre acceso, anche di notte. Con lei faccio
un'eccezione".
E la polizia la
ascolta. "Ovvio. Non posso permettermi di cambiare
numero. Se lo faccio, tutta la catena si rompe. Ma non me ne
preoccupo. Ripeto: non commetto reati".
Quanto a
lungo si resiste in questo mestiere? "Non lo so. Posso
solo dire che i tempi non sono facili. Si lavora tantissimo
proprio perché non sai quanto dura. Ma finché il business è
superiore al rischio si va".
Ha avuto guai con
l'Italia? "Ah, l'Italia. Grande Paese: un porto
straordinario. Ma anche una carta moschicida per gli
avventurieri di questo mestiere. Li attira
tutti".
In che senso? "Nel senso che è un
Paese che si accanisce con i ladri di polli e non con i
mascalzoni veri. Uno scippatore lo tenete dentro un anno senza
processo. Invece uno che abbandona bambini e donne sulla
spiaggia aspetta solo sei mesi".
E poi?
"Hanno messo su un sacco di norme che criminalizzano
il clandestino e invece danno mille garanzie a chi lo porta.
Sembra tutto costruito per agevolare il nostro lavoro. Altro
che militari alle frontiere. Con le nuove regole l'Italia è
diventata la pacchia per chi fa il mio
lavoro".
Perché si lamenta allora? "Perché
sono cadute quelle griglie minime che una volta separavano
l'immigrazione illegale pulita da quella sporca. Oggi siamo
all'arrembaggio. E temo che vincano i peggiori. La mafia che
ammazza".
Lo sa che se la Turchia entra in Europa il
suo lavoro finisce... "Figurarsi! (segue una lunga
risata) Questa è una commedia delle parti. Il pregiudizio
anti-islamico da voi è tale, e i danni economici da riparare
in Turchia sono tali che avrò tutto il tempo di invecchiare...
E intanto arriva una bella guerra con
l'Iraq".
Arriveranno altri profughi? "Voi
pensate che la gente fuggirà per via delle bombe? Macché. La
paura viene dopo, a bombe finite. E' allora che la gente
scapperà. Con l'anarchia".
(3 dicembre 2002)
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