Intervento
della Dott.ssa Serrano, dirigente
dell’Ufficio Stranieri della Questura di
Padova
Sono
qui in sostituzione della Dottoressa Marinelli, che non è potuta venire e che
è il dirigente dell’Ufficio Stranieri. Sono qui per darvi qualche cenno sulla
legge dell’immigrazione, ma anche per rispondere ai vostri quesiti su una
materia che è nuova anche per noi, quindi immagino che di domande da fare ce ne
siano parecchie.
Innanzi
tutto vorrei far presente che l’attività dell’Ufficio Stranieri è
un’attività abbastanza ampia, rivolta sia agli stranieri regolarmente
presenti sul territorio nazionale, sia agli stranieri irregolari, e si
estrinseca sia nella regolamentazione della posizione di soggiorno di quelli che
sono entrati regolarmente e sono autorizzati a soggiornare in Italia, sia nei
confronti di quelli che non hanno diritto a rimanervi perché sprovvisti di
un’apposita autorizzazione che, poi vedremo, è il visto d’ingresso, che
consente allo straniero di entrare in Italia e di ottenere il permesso di
soggiorno.
L’attività
dell’Ufficio Stranieri è quindi sia di rilascio delle autorizzazioni e di
rinnovo di quelle già concesse, sia d’adozione di provvedimenti
d’espulsione, che sono poi le attività successive alla verifica della
sussistenza delle condizioni per il soggiorno dello straniero nel territorio
nazionale.
Il
Testo Unico delle leggi sull’Immigrazione, cioè il Decreto Legislativo n°
286/98 è il nuovo Testo, che va ad abrogare definitivamente la Legge 39/90, che
disciplinava la materia dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul
territorio nazionale.
Questo
Testo Unico risponde ad un progetto molto ambizioso del legislatore, quello di
riorganizzare in maniera completa la materia raccogliendo al suo interno la
Legge 40/98 e alcune disposizioni contenute nel Testo Unico delle leggi di
Pubblica Sicurezza.
Il
legislatore si è posto come obiettivi fondamentali quelli di individuare delle
misure più efficaci e più puntuali di lotta all’immigrazione clandestina ma
soprattutto a quei fenomeni criminali che ad essa sono connessi.
In
particolare, introduce nuove ipotesi di reato, come il favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina a scopo di sfruttamento della prostituzione e a
scopo di sfruttamento dei minori, irrigidisce le pene per altri reati, come
appunto quello del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in generale e
dell’impiego di manodopera clandestina.
D’altro
canto, però, il legislatore si è posto un altro obiettivo importante, quello
di realizzare la più ampia integrazione dello straniero regolarmente presente
sul territorio nazionale. In che modo?
Creando
un Testo che sia più facilmente leggibile e non demandi a circolari
ministeriali, o a disposizioni interne che solo gli operatori del settore
possono conoscere, gli strumenti di integrazione di cui lo straniero
regolarmente presente può avvalersi.
Innanzi
tutto, la grossa novità è quella della carta di soggiorno, che permette un
soggiorno a tempo indeterminato sottoposto alle disposizioni contenute nel
Regolamento di Attuazione, che indica alle Questure le modalità del rilascio.
Questa
autorizzazione a tempo indeterminato fa passare lo straniero da una condizione
di temporaneità, quindi di precarietà, a una condizione di maggiore stabilità,
perché non è più soggetto ai rinnovi, annuali o biennali, del suo permesso di
soggiorno: ottiene un permesso di soggiorno che vale a tempo indeterminato e,
con lui, lo ottengono i suoi familiari conviventi fino al quarto grado, purché,
chiaramente, sia in possesso dei requisiti per ottenerlo.
Innanzi
tutto deve avere un reddito sufficiente per provvedere al mantenimento proprio e
del proprio nucleo familiare e un’idonea sistemazione abitativa, oltre
all’assenza di precedenti sfavorevoli, cioè non deve essere né imputato né
condannato per i reati gravi per cui è permesso l’arresto obbligatorio o
facoltativo in caso di flagranza, cioè i reati contemplati negli articoli 380 e
381 del Codice di Procedura Penale.
La
novità contenuta nel Regolamento di Attuazione, rispetto al Testo Unico, è che
lo straniero sarà soggetto ad una sorta di vidimazione decennale, dovrà quindi
chiedere alla Questura un aggiornamento, che ancora non si sa bene in cosa si
concretizzerà, probabilmente nella sostituzione della fotografia, che potrebbe
non corrispondere più all’aspetto del titolare.
Questo
consentirà anche la verifica della sussistenza dei requisiti già verificati al
momento del rilascio della carta di soggiorno.
Questa
carta di soggiorno, nei cinque anni successivi al suo rilascio varrà anche come
documento d’identità e questo sembrerebbe escludere la necessità, per lo
straniero di esibire il passaporto, che come sapete è un documento essenziale
per ottenere un permesso di soggiorno.
Facevo
riferimento all’obiettivo di realizzare la massima integrazione dello
straniero legalmente presente: la si ottiene, ad esempio, anche indicando
espressamente, nell’Art. 34 del Testo Unico, la possibilità di accedere al
Servizio Sanitario Nazionale.
Lo
straniero ha diritto di iscriversi gratuitamente al S.S.N. quando il suo
permesso di soggiorno è rilasciato per motivi di lavoro, di iscrizione alle
liste di collocamento, per motivi di asilo politico o di attesa adozione e di
richiesta della cittadinanza italiana.
In
tutti gli altri casi, lo straniero regolarmente soggiornante ha la facoltà di
ottenere l’iscrizione al S.S.N. a pagamento e, comunque, all’atto del
rilascio del permesso di soggiorno, ha l’obbligo di esibire alla Questura la
documentazione relativa all’iscrizione al S.S.N., oppure una polizza
assicurativa per malattia e infortuni.
Sempre
nell’ambito di questo tentativo di realizzare una reale integrazione, il
legislatore ha voluto garantire allo straniero regolarmente presente l’unità
del proprio nucleo familiare, sancendo, nell’Art. 28 del Testo Unico, il
diritto di mantenere o riacquistare l’unità familiare quando è titolare di
un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ed ha un reddito che gli consenta
di mantenere la famiglia.
Lo
straniero ha diritto di richiedere il ricongiungimento con il proprio nucleo
familiare attraverso una procedura particolare, che prevede la verifica, da
parte della Questura del luogo di domicilio, dei requisiti per l’ottenimento
del visto; poiché, necessariamente, i familiari dovranno munirsi di un visto,
per entrare in Italia per ricongiungimento familiare.
Questa
verifica consiste nell’accertamento della disponibilità di un reddito e di un
alloggio.
Il
contrasto all’immigrazione clandestina e l’integrazione degli immigrati
regolari sono i due obiettivi che il legislatore ha voluto realizzare attraverso
la nuova Legge che però, per quanto riguarda i principi generali vigenti, in
materia di ingresso e soggiorno, ricalca i contenuti della Legge 39/90, perché
ribadisce che nessun straniero (per “straniero” s’intende il non
appartenete all’Unione Europea e il non apolide) può entrare in Italia se
sprovvisto di un passaporto o di un documento equipollente (che potrebbe essere
il documento di viaggio, per i rifugiati politico) e se sprovvisto del visto,
tranne nei casi espressamente indicati in accordi tra stati, accordi di
reciprocità in base ai quali i cittadini di entrambi gli stati contraenti
possono entrare nel territorio dell’altro stato senza passare necessariamente
dalla rappresentanza diplomatica dell’altro stato.
La
necessità di passare dalla rappresentanza diplomatica c’è in tutti gli altri
casi, quindi il cittadino straniero che vuole entrare in Italia deve rivolgersi
alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel proprio paese
d’origine, oppure nel luogo di stabile residenza, e chiedere
un’autorizzazione, che consiste appunto in un visto che viene apposto sul suo
passaporto e gli consente l’ingresso in Italia e l’ottenimento di un
permesso di soggiorno in Italia, che diversamente non potrebbe avere.
La
richiesta alla rappresentanza diplomatica viene inoltrata dimostrando i motivi
dell’ingresso, quindi lo scopo del viaggio, inoltre lo straniero deve
dimostrare di disporre di mezzi di sostentamento sufficienti per il periodo di
permanenza nel territorio italiano, quindi lo scopo e le condizioni di
soggiorno.
La
rappresentanza diplomatica può anche negare il rilascio del visto d’ingresso,
però lo deve fare con un provvedimento motivato.
L’ottenimento
del visto non dà diritto all’ingresso nel territorio nazionale, perché lo
straniero potrebbe anche essere respinto ai controlli di polizia di frontiera;
la sussistenza delle condizioni per l’ottenimento del visto potrebbe non
essere ritenuta sufficiente a giustificare un ingresso nel territorio nazionale.
Ad
esempio, se il cittadino marocchino che entra in Italia munito di un visto per
affari si presenta ai controlli di frontiera e non è in grado di dimostrare il
luogo in cui andrà a soggiornare, oppure non risulta in possesso di mezzi di
sostentamento sufficienti ad affrontare il periodo di soggiorno sul territorio
nazionale, oppure non ha persone che garantiscono per lui, o non ha la
documentazione relativa alla garanzia prestata, per ipotesi, dal titolare della
ditta presso la quale è stato inviato per concludere un accordo commerciale.
In
questo caso lo straniero può essere respinto alla frontiera e rinviato nel
paese d’origine.
Lo
straniero, che entra munito del visto d’ingresso, deve poi richiedere il
permesso di soggiorno quindi, il possesso dell’autorizzazione all’ingresso,
non ne determina la regolarità dal punto di vista delle norme di soggiorno.
L’arte.
5 del Testo Unico prevede, per lo straniero che entra munito del visto
d’ingresso, l’obbligo di inoltrare istanza di permesso di soggiorno entro
otto giorno dalla data d’ingresso.
Otterrà
un permesso di soggiorno contenente identica motivazione e durata del visto
d’ingresso concesso dalla rappresentanza diplomatica.
I
visti d’ingresso si dividono in due grosse categorie: quelli di categoria C,
di breve durata, e quelli di categoria D, di lunga durata.
L’Italia,
dal 26 Ottobre ’97 è entrata nella fase applicativa dell’accordo di Shengen,
assieme a tredici dei quindici stati appartenenti all’Unione Europea: un
accordo in base al quale sono definitivamente aboliti i controlli alle frontiere
interne, quindi si è venuta a costituire un’unica frontiera esterna e,
all’interno del territorio costituito da tutti i paesi aderenti al trattato di
Shengen, è garantita la libera circolazione delle persone.
Questa
novità ha reso necessaria l’adozione di alcune misure compensative da parte
di tutti gli stati che hanno aderito alla convenzione, nel senso di rendere
adeguate le strutture della normativa in materia di circolazione degli
stranieri.
In
primo luogo è stato istituito un nuovo visto, il “visto Shengen”, che
consente allo straniero che entra nello “spazio Shengen” di circolare in
questo territorio per un periodo non superiore ai tre mesi, nei sei mesi che
decorrono dalla data di primo ingresso.
Se
un cittadino marocchino entra in Italia munito di un visto, per motivi di
turismo Shengen – uniforme per fare visita a un proprio familiare, otterrà un
permesso di soggiorno per motivi di turismo che gli permetterà di circolare e
di soggiornare per brevi periodi e, comunque, non superiori a tre mesi, negli
altri stati che hanno aderito alla convenzione d’applicazione degli accordi di
Shengen.
Anche
il visto di lunga durata, ad esempio per ricongiungimento familiare, a seguito
della procedura esperita dal familiare straniero regolarmente soggiornante in
Italia per motivi di lavoro o di studio, per motivi religiosi o di asilo
politico (questi ultimi possono anche non dover dimostrare il possesso dei
requisiti di reddito e alloggio) dà la possibilità di circolare e soggiornare
per brevi periodi nei paesi aderenti a Shengen.
I
visti d’ingresso di tipo C danno la possibilità di ottenere permessi di
soggiorno per periodi inferiori ai tre mesi, mentre quelli di tipo D consentono
di ottenere permessi la cui durata è determinata di volta in volta, in
relazione alla tipologia del visto: quello per ricongiungimento familiare ha la
durata di due anni; quello per studio dà diritto ad un permesso di validità
annuale perché è subordinato alla verifica del rinnovo dell’iscrizione
all’istituto scolastico.
Tutti
questi visti permettono di circolare liberamente nello “spazio Shengen” e di
soggiornare negli altri stati per un periodo non superiore ai tre mesi.
Lo
straniero non ha solo l’obbligo di chiedere il permesso di soggiorno entro
otto giorni dalla data d’ingresso, ma anche l’obbligo di rinnovarlo, quindi
di non lasciarlo scadere; il rinnovo deve essere richiesto almeno venti giorni
prima della sua scadenza, questo termine tuttavia è indicativo, non tassativo,
perché la Questura ha l’obbligo di ricevere la domanda di rinnovo anche
successivamente, purché lo straniero sia in grado di dimostrare le ragioni che
ne hanno impedito l’inoltro per tempo.
La
permanenza in carcere, non è un vincolo sufficiente a giustificare il ritardo
nella presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno?
Coloro
ai quali il permesso di soggiorno va in scadenza durante la detenzione possono
chiederne il rinnovo attraverso il direttore dell’Istituto carcerario.
La
carcerazione può essere un elemento ostativo al rinnovo del permesso di
soggiorno?
La
permanenza in carcere non può essere considerata una causa di forza maggiore
che giustifichi la mancata richiesta del rinnovo. La Legge 39/90 prevedeva
espressamente la possibilità di richiederne il rinnovo, quindi anche
l’obbligo di richiederlo, tramite il direttore dell’Istituto penitenziario.
Il
Testo Unico non lo prevede espressamente, questa possibilità è contemplata nel
Regolamento di Attuazione.
Qual
è la differenza tra la carta di soggiorno ed il permesso di soggiorno?
Il
permesso di soggiorno è l’autorizzazione iniziale, che viene concessa agli
stranieri muniti di visto d’ingresso; può avere una durata massima fino a tre
mesi per chi entra con visto di categoria C e di due anno per chi entra con
visto di categoria D: nel secondo caso è anche rinnovabile.
La
carta di soggiorno viene rilasciata agli stranieri che hanno già soggiornato
regolarmente per un periodo di almeno cinque anni e che devono essere titolari
di un permesso di soggiorno che consenta un numero indeterminato di rinnovi,
quindi sembrerebbe escluso, ad esempio, il cittadino straniero che ha
soggiornato per motivi di studio in quanto, nel momento in cui non si reiscrive
all’istituto scolastico che ha frequentato per cinque anni, non ha più titolo
per chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno.
Quali
conseguenze ha la carcerazione nel percorso dello straniero irregolare?
Appena
esce dal carcere deve essere espulso, perché il mancato rinnovo del permesso di
soggiorno lo pone in una condizione di clandestinità.
Paggi:
mi permetto di intervenire,
perché sembra quasi che il problema non debba venire fuori, invece deve venire
fuori e proprio in questa sede. L’Ufficio Matricola, fino a ieri, ha sempre
ritenuto che lo straniero non potesse presentare la domanda di rinnovo del
permesso di soggiorno presso tale ufficio e, siccome dalla cella all’Ufficio
Matricola ci sono molti cancelli, lo straniero che faceva la domandina per
chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno non veniva ricevuto. Questo
problema lo tiriamo fuori, oppure lo nascondiamo anche quando siamo qui per
ragionare essenzialmente di questo?
Barone:
nel caso della sanatoria,
noi come Direzione abbiamo mandato delle richieste incomplete, ma per colpa
nostra, perché non c’erano i tempi per chiedere i particolari: chi ne
risponde di questo?
Serrano:
intanto bisogna accertare se
sono davvero incomplete, o meno.
Barone:
ce le avete rimandate, perciò vuol dire che erano incomplete.
Serrano:
Rimandate come non accette,
o per altri motivi? Alcuni non avevano il passaporto né un certificato della
rappresentanza diplomatica. Due domande sono state accolte, una delle quali
corredata soltanto da una fotocopia del passaporto, peraltro scaduto, ma che
rimane pur sempre un documento d’identità.
Barone:
Invece, per altri due casi,
non è stato allegato il visto dell’autorità consolare, che era depositato al
casellario.
Serrano:
In questi casi la
responsabilità è di chi ha seguito la pratica e, comunque, si tratta di casi
singoli che si possono rivedere, che vanno vagliati uno per uno. Alcune
richieste sono arrivate anche dopo la scadenza della sanatoria.
Barone:
La mancata conoscenza, da
parte dei detenuti stranieri, delle norme disciplinanti la sanatoria...
Serrano:
Questa mancanza deve essere
colmata da chi gestisce l’Istituto penitenziario, non è pensabile che
l’Ufficio Stranieri della Questura debba garantire direttamente
l’informazione sulle norme riguardanti l’immigrazione.
Barone:
Data la complessità della
materia, mi prendo carico di non aver compreso una disciplina peraltro non molto
chiara, sicuramente non agile.
Serrano:
Comunque, il Regolamento di
Attuazione prevede l’obbligo, per le amministrazioni degli Istituti di Pena,
di mettere a disposizione degli stranieri le norme in materia di rinnovo del
permesso di soggiorno, informazione tradotte in francese, inglese e spagnolo, le
lingue più conosciute, e anche in lingua araba: questo risponde a una necessità,
che voi registrate, di conoscere la materia e di poterla applicare per risolvere
alcune questioni che si vengono a creare all’interno del carcere.
Intervento
esterno: Non penso che
rientri nei compiti dell’amministrazione penitenziaria quello di attivarsi per
il rinnovo del permesso di soggiorno, ma piuttosto penso che l’interessato
debba chiederlo direttamente, oppure tramite un avvocato.
Paggi:
Il problema sulla competenza
dell’amministrazione penitenziaria si è posto in termini equivoci già a
monte, perché è vero che la legge Martelli prevedeva l’obbligo per le
direzioni delle case di cura, istituzioni scolastiche, istituzioni
penitenziarie, di svolgere in nome e per nome dello straniero tutti gli
adempimenti relativi al rinnovo del permesso di soggiorno però, in tema di
espulsione, c’è un equivoco. L’art. 7 della Legge Martelli era così
formulato: “Sono espulsi dal territorio nazionale gli stranieri condannati
per i delitti di cui all’art. 380 commi 1 e 2 del Codice di Procedura Penale”.
La formulazione di questa norma era tale da far pensare che il provvedimento di
espulsione fosse dovuto, quindi senza alcun margine discrezionale; un
adempimento conseguente alla semplice condanna definitiva e dovuto da parte
dell’autorità amministrativa. In altre parole, che fosse una conseguenza
amministrativa di una condanna in sede penale. Questa era l’interpretazione
che “sembrava” la più accreditata, anche perché la norma, effettivamente,
non menzionava competenze da parte dell’autorità giudiziaria. Ma, già nel
’90, erano sorti dei dubbi in proposito, perché quando la legge riconduce ad
una condanna in sede penale una determinata misura, questa si chiama “misura
di sicurezza” e, in quanto tale, deve essere applicata dall’autorità
giudiziaria. Per l’appunto, qualche anno dopo, la Corte Costituzionale, nel
’95, ha dato conferma a questa tesi dicendo che la norma è formulata in
maniera affrettata, però dove riconduce alla condanna in sede penale una
conseguenza, lo fa qualificando questa misura come una misura di sicurezza.
Trattandosi quindi di una misura che deve essere erogata dall’autorità
giudiziaria e che può essere revocata dalla stessa autorità, non entra
minimamente in campo la competenza dell’autorità amministrativa; cioè non è
la polizia che può adottare un provvedimento di espulsione, in questi casi. Lo
può adottare il giudice con una sentenza, lo può revocare il Magistrato di
Sorveglianza con il provvedimento che riesamina la pericolosità sociale. Di
conseguenza, nel caso di condanna per delitti, l’autorità di polizia nulla
deve verificare in ordine alla possibilità di espulsione. Se volete,
paradossalmente, un delinquente conclamato è più tutelato contro
l’espulsione rispetto a uno che, magari, ha commesso una semplice violazione
amministrativa quale, per esempio, la richiesta tardiva del rinnovo del permesso
di soggiorno ma, chi si occupa di diritto, sa che non si sta occupando di
giustizia, perché la legge e la giustizia sono due cose diverse.
Cosa
è successo nel frattempo: ritenendo sempre che l’espulsione conseguente a
condanna fosse una misura amministrativa automatica, per buon senso si era
ritenuto che non fosse possibile chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno
da parte di una persona che, appena scarcerata, avrebbe dovuto necessariamente
essere espulsa. Quindi si considerava la sussistenza di una circostanza ostativa
assoluta, che impediva di prendere in considerazione la domanda di rinnovo: se
lo straniero è in carcere, c’è perché deve espiare la pena e il rinnovo del
permesso di soggiorno non ha ragion d’essere perché, se non fosse in carcere,
bisognerebbe averlo già spedito a casa. A causa di questa interpretazione,
nelle istituzioni penitenziarie non è nata nemmeno la prassi del rinnovo del
permesso di soggiorno, perché le rare domande che arrivavano alle questure
avevano come risposta “non se ne parla nemmeno”. Non è nata un’esperienza
in questo senso ed è stata la sanatoria a provocare il problema da chiarire e
lo ha provocato in pochissimi istituti penitenziari, tra i quali questo di
Padova. Fino ai giorni nostri in problema non si poneva e questo spiega perché
gli Uffici Matricola non hanno mai preso in considerazione le domande,
considerandole addirittura bizzarre.
Le
questure stesse, e qui faccio una considerazione obiettiva, insomma se io fossi
la questura non sentirei il bisogno di facilitare la regolarizzazione degli
immigrati condannati per delitti. A livello di politica dell’interesse
pubblico non ci si può aspettare che la polizia faccia un’opera di
divulgazione, là dove, dal punto di vista amministrativo, si potrebbe sempre
dire che la legge non ammette ignoranza e quindi che ognuno si occupi degli
affari suoi. Vero è, però, che l’istituzione carceraria avrebbe avuto il
dovere di informare le persone, perché oltretutto un ristretto non ha nemmeno
quegli strumenti di conoscenza di cui può disporre normalmente una persona
libera: la Gazzetta Ufficiale, in parole povere, non è disponibile in carcere;
già è difficile tenersi informati per gli addetti ai lavori, figurarsi per i
detenuti.
Vorrei
tentare di arrivare ad un chiarimento che possa essere utile oltre il caso
singolo perché, francamente, io faccio volentieri il mio lavoro per un caso
particolare ma, per un caso che si risolve, ce ne sono altri cento che si
perdono per la loro strada. Mi è capitato di parlare al telefono con
un’assistente sociale del carcere di Venezia, che mi ha detto di aver
informato personalmente un detenuto straniero dell’impossibilità del rinnovo
ed ora non sapeva cosa fare per rimediare all’errore. L’ho consigliato di
mettere per scritto che, non avendo avuto conoscenza della norma, ha ritenuto
erroneamente che il rinnovo non fosse possibile. Questa sarebbe una circostanza
equiparabile alla forza maggiore e permetterebbe all’interessato di rimettersi
nei termini per il rinnovo.
Lui
mi ha risposto: “Ma io, adesso devo chiedere al direttore, non so se posso”.
Ma
come non può? Deve fare una dichiarazione di scienza, riconoscere un fatto che
la espone, in linea puramente immaginaria, a una responsabilità amministrativa,
perché vorrei vedere quale fosse quel direttore che sottopone a procedimento
disciplinare un operatore, che come tutti gli operatori delle istituzioni
carcerarie d’Italia non sapevano una cosa, per quanto basilare, non era una
notizia divulgata all’interno delle carceri. Questa potrebbe essere una mossa
di buona volontà, ma anche di correttezza amministrativa.
Nel
caso di effettuazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno,
l’espulsione non è più automatica, ma diventa discrezionale?
Serrano:
Se c’è la richiesta di
rinnovo del permesso di soggiorno è possibile che ci sia una sospensione di
quei motivi che giustificavano precedentemente la permanenza in Italia e ce ne
siano di nuovi, ad esempio per motivi di giustizia. Allora potrebbe ottenersi un
permesso, ad esempio, di sei mesi in sei mesi, rinnovabile fino al termine della
pena, e che potrebbe poi diventare un permesso per motivi di famiglia, o di
studio, riprendendo la situazione originaria.
In
tal caso, la carcerazione sarebbe da considerare un periodo di sospensione, di
congelamento della situazione di soggiorno. Peraltro, può accadere che il
giudice che ha emanato la sentenza di condanna abbia disposto l’espulsione,
che ha a fondamento la pericolosità all’atto dell’emanazione della
sentenza.
Pericolosità
che può non essere confermata all’atto della scarcerazione ed in quel caso si
potrebbe procedere al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi precedenti
alla carcerazione, ma potrebbe anche avere seguito l’esecuzione del
provvedimento di espulsione, come misura di sicurezza disposta dal giudice. Noi
dobbiamo necessariamente congelare la situazione per poi rivederla all’atto
della scarcerazione dello straniero.
Nel
caso di uno straniero in possesso del permesso di soggiorno, che è detenuto
perché imputato, quindi per il quale non è stata pronunciata alcuna condanna,
è possibile il rinnovo del permesso di soggiorno?
Serrano:
Se l’imputato ha un
permesso di soggiorno per lavoro e continua a lavorare avrà il rinnovo. La
detenzione sospende, però, il motivo di soggiorno quando c’è la restrizione
all’interno di un istituto e l’imputato non può più svolgere il lavoro che
gli dava diritto al titolo di soggiorno. Se invece ha un permesso di soggiorno
per studio, potrà eventualmente continuare gli studi in carcere, ma comunque è
in una condizione che congela la sua posizione di soggiorno, diventando
prevalente sulla sua condizione di lavoratore o studente.
In
caso di assunzione, al termine della pena potrà riavere il permesso?
Serrano:
Il permesso di soggiorno
precedentemente avuto, a meno che sia disposta l’espulsione come misura di
sicurezza, può essere rinnovato all’atto della scarcerazione, per i motivi
che lo straniero sarà chiamato a dimostrare. Se aveva il permesso per motivi di
famiglia, all’atto della scarcerazione gli verrà rinnovato per gli stessi
motivi, sempreché sussistano.
La
maggior parte dei detenuti stranieri sono stati arrestati in frontiera, mentre
cercavano di entrare in Italia: per loro è possibile ottenere un permesso di
soggiorno?
Serrano:
Se lo straniero non è
entrato regolarmente, oppure se è entrato regolarmente e poi si è mantenuto
irregolarmente perché non ha provveduto al rinnovo del permesso di soggiorno,
deve essere espulso, ma si tratta di un’espulsione amministrativa, quindi
adottata sulla verifica della situazione rispetto alle norme che disciplinano
l’ingresso ed il soggiorno sul territorio nazionale degli stranieri. Se è
entrato irregolarmente, non ha titolo a soggiornare in Italia e viene espulso,
quindi è chiaro che non potrà avere un permesso di soggiorno, oppure è chiaro
che il permesso di soggiorno ottenuto per motivi di giustizia non gli dà, poi,
la possibilità di ottenerlo per motivi di lavoro. A meno che non ci sia una
sanatoria; in quel caso lo straniero che è titolare di un permesso per motivi
di giustizia, ad esempio per svolgere il lavoro esterno al carcere, quindi sulla
scorta di una decisione giurisdizionale intervenuta in tal senso, all’atto
della scarcerazione potrà eventualmente “transitare” in una posizione di
soggiorno per motivi di lavoro, o di famiglia, se ha un familiare regolarmente
soggiornante in Italia e poi ottenere un permesso di soggiorno ad altro titolo.
Se
non c’è la sanatoria, non hanno nessuna possibilità di regolarizzarsi?
Serrano:
Nessuna possibilità; devono
tornare nel loro paese e, poi, eventualmente, tornare in Italia muniti di un
visto, se hanno i requisiti per ottenerlo, così come previsto dal Testo Unico
sull’Immigrazione.
Allora,
è sempre conveniente chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi
di giustizia?
Serrano:
In caso di sanatoria, anche
chi non ha il permesso di soggiorno per motivi di giustizia potrà usufruirne:
in sede di sanatoria, il requisito che bisogna avere è la prova della presenza
in Italia, per prima cosa, poi la disponibilità di un contratto di lavoro, o la
possibilità di svolgere un lavoro autonomo, quindi il possesso dei requisiti
per svolgere questa attività.
Paggi:
A
prescidere dalla sanatoria, che è un provvedimento eccezionale ed oramai
chiuso, c’è un’altra possibilità, a regime, che in linea teorica vale la
pena di verificare e potrà verificarla anche il diretto interessato, sempre che
sappia di averla. Il percorso virtuoso del detenuto straniero, come del detenuto
italiano, che dà segni di buon comportamento, è quello per cui ottiene i
permessi, poi la semilibertà, poi l’affidamento in prova; insomma riesce a
uscire dal carcere e a trovare un’attività lavorativa, cosa più difficile
per lo straniero, a causa della mancanza di contatti nel territorio. Per
consentire l’espiazione della pena all’esterno dell’istituzione carceraria
è necessario che gli venga rilasciato un permesso, che si chiama “permesso di
soggiorno per motivi di giustizia”, poiché ha l’obbligo di circolare con
una autorizzazione altrimenti potrebbe essere considerato clandestino ad ogni
controllo. Questo permesso, in base a circolari ministeriali del ministero
dell’Interno e del Lavoro, consente allo straniero un regolare svolgimento
dell’attività lavorativa. Lo straniero, ex detenuto, che sia in possesso del
permesso per motivi di giustizia, può anche iscriversi al Collocamento, a
differenza di chi non ha mai commesso un reato e, magari, ha lo stesso permesso
per motivi di giustizia avendo fatto ricorso contro un rifiuto del rinnovo del
permesso per lavoro. Se volete, c’è una disparità di trattamento tra l’ex
detenuto ed il disgraziato che, magari, ha solo ritardato nel chiedere il
rinnovo del permesso già posseduto.
Serrano:
Per gli stranieri detenuti
c’è uno speciale avviamento al lavoro, che prescinde dall’iscrizione al
Collocamento, se è ancora in vigore una circolare ministeriale del ’93,
concertata tra i ministeri dell’Interno e del Lavoro: il datore di lavoro può
chiederne l’avviamento al lavoro, ma il detenuto non può iscriversi al
Collocamento.
Paggi:
No, no, lo straniero può
anche iscriversi al Collocamento, anche se l’avviamento al lavoro prescinde da
questa iscrizione, perché normalmente il lavoro deve essere trovato prima della
uscita dal carcere: il contratto deve essere esibito al Magistrato di
Sorveglianza, perché conceda la semilibertà, o l’affidamento. Molti
magistrati ancora non hanno capito se viene prima l’uovo o la gallina, cioè
se deve esserci prima il permesso di soggiorno, o prima il contratto di lavoro.
Bisognerebbe quindi spiegargli che, secondo la prassi amministrativa, lo
straniero avrà il permesso di soggiorno “se” potrà uscire dal carcere e
“se” perfezionerà il contratto di lavoro già sottinteso tra le parti.
Serrano:
A me, invece, risulta che lo
straniero possa uscire dal carcere per lavorare, a prescindere sia
dall’iscrizione al Collocamento che dal possesso del permesso di soggiorno,
per cui non c’è l’obbligatorietà di esibire il permesso di soggiorno al
Magistrato di Sorveglianza o all’Ufficio del Collocamento. Il permesso di
soggiorno dovrebbe essere solo lo strumento per agevolare lo straniero che esce
dal carcere, come lei giustamente diceva, quindi per esibirlo ai controlli di
polizia, non per l’ottenimento del lavoro e l’inizio dell’attività
lavorativa, tant’è che il libretto di lavoro non viene rilasciato allo
straniero, ma depositato presso il datore di lavoro, che ha l’obbligo di
riconsegnarlo agli Uffici del Lavoro al termine dell’espiazione della pena del
lavoratore.
Paggi:
Questo riguarda tutti gli
extracomunitari, anche i non detenuti: in base alla legge istitutiva del
libretto di lavoro, del 1934, per tutti gli stranieri il datore di lavoro deve
riconsegnare il libretto di lavoro a fine rapporto.
Serrano:
Sì, però la necessità di
esibire il permesso di soggiorno all’Ufficio del Lavoro, io non la vedo.
Paggi:
Il permesso di soggiorno
viene dopo, cioè quando il detenuto straniero è già messo in libertà su
ordine dell’autorità giudiziaria; allora si verifica il presupposto che
consente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Lo
straniero in possesso di questo permesso può lavorare in regola, anche secondo
il giudizio dell’Ufficio del Lavoro. È chiaro, però, che lo straniero può
presentarsi all’Ufficio del Lavoro solo quando è già libero; il contratto di
lavoro si perfezionerà solo quando la persona ha già le condizioni per poter
lavorare. Di conseguenza, dal punto di vista logico, cronologico e anche del
buon senso, il procedimento dovrebbe essere questo: lo straniero dimostra di
avere una disponibilità d’impiego; a fronte di questo, e di altro, il
Magistrato di Sorveglianza valuta se la misura può essere concessa; a quel
punto lo straniero esce e fisicamente va in questura, dove chiede il permesso di
soggiorno per motivi di giustizia. Se poi trova chi lo assiste, tanto meglio,
anche perché di solito gli stranieri non sono molto informati sulle procedure
da seguire; a quel punto ci sono tutti gli elementi per avere un perfezionamento
regolare del contratto di lavoro. Contratto di lavoro che, riguardando un
extracomunitario, è influenzato da questa prassi, che non sta scritta in
nessuna legge ma sta scritta soltanto in circolari del Ministero dell’Interno
e del Lavoro, e dalle norme generali che riguardano tutti gli stranieri, per cui
verrà autorizzato a svolgere attività lavorativa e il suo libretto di lavoro
può essere consegnato direttamente dall’Ispettorato del Lavoro al datore di
lavoro e, al termine del rapporto di lavoro, a prescindere da quando scade il
permesso di soggiorno, egli dovrà riconsegnarlo all’Ispettorato. La norma
base in materia di lavoro prevede questa discriminazione, che non ha una gran
logica, se vogliamo.
Serrano:
Nella prassi, lo straniero
molte volte è in grado di esibire il libretto di lavoro all’Ufficio di
Collocamento: questo vuol dire che c’è una cattiva interpretazione della
legge?
Paggi:
Vuol dire semplicemente che
questa norma non prevede una sanzione: non è prevista, nel caso in cui il
datore di lavoro non riconsegna all’Ispettorato del Lavoro il libretto,
nessuna sanzione amministrativa o penale. Di fatto, questa norma la conoscono in
pochissimi; anche i consulenti del lavoro normalmente non la conoscono ed è la
cosa più naturale che, alla fine del rapporto di lavoro, il libretto venga
consegnato al lavoratore e, per errore, succede di frequente che anche il
lavoratore extracomunitario se lo veda riconsegnare. C’è da dire che, molto
spesso, l’extracomunitario ci tiene ad avere il libretto di lavoro perché,
dal suo punto di vista, e non ha tutti i torti, il fatto di disporre di un
documento ufficiale in più rappresenta l’essere in regola. Ma c’è anche da
dire che, siccome l’ignoranza è diffusissima non solo tra gli
extracomunitari, ma pure tra i datori di lavoro ed i loro consulenti, molti
extracomunitari che cercano lavoro trovano il datore di lavoro che gli dice:
“Ti dò lavoro solo se hai il libretto di lavoro”. Ed ecco che, nei vari
sportelli di consulenza, arrivano gli extracomunitari che dicono: “Io ho
trovato un lavoro, ma mi assumono solo se ho il libretto, però sono andato
all’Ispettorato e mi dicono che mi danno il libretto solo se ho un datore di
lavoro”. Realtà di tutti i giorni, di tutti gli Ispettorati del Lavoro
d’Italia, che è assurdo, kafkiano, ma è così. La soluzione sarebbe
semplice: il datore di lavoro dovrebbe andare all’Ispettorato a chiedere il
libretto dello straniero che intende assumere, se sapesse che lo deve fare.
Invece lui pensa che, se lo straniero non ha il libretto di lavoro, non è in
regola e non può lavorare in regola: non capisce che, con il permesso di
soggiorno per motivi di lavoro, ha già tutto quello che gli serve per lavorare
in regola, salvo doversi recare, unitamente al datore di lavoro, presso
l’Ispettorato, per ritirare il libretto.
Il
libretto di lavoro è dunque l’ultima cosa da avere, per mettersi in regola?
Paggi:
No, il permesso di soggiorno
viene prima del libretto di lavoro e, comunque, prima del perfezionamento del
rapporto di lavoro, quindi, riepilogando: lo straniero prospetta al Magistrato
di Sorveglianza che avrebbe un lavoro, e lo documenta con una sorta di contratto
preliminare, che diverrà effettivo solo al verificarsi della scarcerazione; il
magistrato valuterà se autorizzare il provvedimento di beneficio richiesto
dallo straniero, a quel punto lo straniero esce, va in questura e chiede un
permesso di soggiorno per motivi di giustizia e poi, con il datore di lavoro, va
all’Ispettorato del Lavoro e, finalmente, può essere avviato al lavoro.
L’avviamento al lavoro, può avvenire con una preventiva iscrizione al
Collocamento, ma anche in questo caso la norma è sfornita di sanzione. Ci
sarebbe sempre l’obbligo di iscrizione prima di iniziare a lavorare, ma non
c’è una sanzione per chi va a lavorare senza prima essere iscritto al
Collocamento. Il datore di lavoro, volendo, può assumere la persona con il
libretto di lavoro e comunicare entro cinque giorni l’avvenuto avviamento al
lavoro al Collocamento: con questo, non incorre in alcuna sanzione.
Un
extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno delinque e viene
condannato; quando è in misura alternativa, è pur sempre in esecuzione della
pena, e allora perché deve chiedere il permesso di soggiorno per motivi di
giustizia, quando potrebbe benissimo non averne bisogno fino al termine della
pena?
Paggi:
Non dobbiamo confondere
quello che sarebbe più bello e più pratico, con quella che è la normativa
vigente, perché altrimenti rischiamo di parlare di giustizia e non di diritto,
mentre bisogna tenere distinte le due cose.
Serrano:
Prima abbiamo discusso sulla
possibilità di iscrizione al collocamento per lo straniero che esce in misura
alternativa: per quanto è a mia conoscenza, questa possibilità non esiste.
C’è la possibilità di un avviamento assolutamente speciale al lavoro, che
viene richiesto dal datore di lavoro che chiede quel determinato lavoratore
straniero ammesso al lavoro esterno; quindi in forza di una decisione
giurisdizionale che consente un avviamento specialissimo, che muore con la fine
dell’espiazione della pena, quindi con il termine della misura alternativa
disposta dal Magistrato di Sorveglianza. Che non dà la possibilità di
iscrizione al Collocamento e costituisce un ostacolo alla trasformazione di quel
titolo di soggiorno in un titolo diverso, per esempio per motivi di lavoro.
Se
fosse iscritto al Collocamento, si potrebbe creare un’aspettativa nello
straniero, che quel permesso per motivi di giustizia possa diventare un permesso
diverso: invece no, questo soggiorno per giustizia è strumentale
all’esecuzione della misura e non gli permette di continuare la permanenza in
Italia.
Quali
sono i mezzi con cui lo straniero può proporre ricorso contro il provvedimento
di espulsione?
Serrano:
Può proporre ricorso al
T.A.R. e può ottenere la sospensione dell’efficacia del provvedimento. Questo
può determinare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia
amministrativa, che però ha il difetto di non consentire lo svolgimento di
un’attività lavorativa e quindi il perfezionamento di un rapporto di lavoro;
speriamo che il Regolamento di Esecuzione preveda qualcosa di diverso.
Un
clandestino, come sono nel 90% dei casi gli stranieri che entrano in carcere,
prende dei contatti, eventualmente trova qualcuno disponibile a dargli lavoro,
inoltra la procedura per la misura alternativa, va in affidamento, ottiene il
permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Quando finisce la pena sta
lavorando, ha trovato una casa, si è reinserito: a questo punto, può fare
richiesta di permesso di soggiorno per motivi di lavoro?
Serrano:
No, non può, perché la
norma non glielo consente.
Allora,
che senso ha la pena?
Serrano:
Ha comunque la sua funzione
riabilitativa, che è una cosa diversa dal consentire allo straniero di
soggiornare in Italia: tutto sommato, lo straniero riabilitato e recuperato può
anche tornare al suo paese di origine. All’atto del fine pena, se non è
entrato regolarmente in Italia, deve uscire dall’Italia, e la regolarità è
data da un visto d’ingresso e da un permesso di soggiorno; se non ha l’uno o
l’altro, non può rimanere in Italia.
Nel
caso di uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, che viene arrestato e
resta in carcere per un breve periodo ed esce che il suo permesso di soggiorno
non è ancora scaduto, quel permesso è ancora valido?
Serrano:
Certo, se non è ancora
scaduto, o se l’ha rinnovato, è ancora valido. Se il permesso era per motivi
di lavoro, mentre è in carcere ovviamente rimane “congelato” e, al momento
della scarcerazione, si ripristina la situazione originaria. Se invece era, ad
esempio, per motivi di famiglia, lo stato di detenzione non ostacola le
condizioni che giustificano il suo possesso e rimane valido senza interruzioni.
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