Incontro in Redazione
con Giovanni Palombarini, Sostituto Procuratore
Generale in Cassazione e Coordinatore del
“Gruppo Immigrazione” di
Magistratura Democratica
L’incontro con il
dottor Palombarini in Redazione,
dedicato agli stranieri e alle leggi che ne regolano l’immigrazione nel nostro
paese, è iniziato subito dalla politica, o meglio dalla cattiva politica di chi
cerca il consenso e basta: “Come necessaria premessa ai discorsi che vogliamo
fare oggi, è necessario considerare la condizione culturale di questo paese e,
di conseguenza, l’atteggiamento degli operatori politici, perché essi curano
in maniera particolarmente intensa il consenso, basandolo soprattutto su
sentimenti, risentimenti, false informazioni, ideologie e cattiva coscienza. E
così, sono passati dei teoremi,
che sono difficili da smontare, secondo i quali l’immigrazione è uguale alla
criminalità e la criminalità, anche per reati leggeri, è uguale
all’espulsione. Teorie che sono diventate parole d’ordine nelle convinzioni
collettive e questa è un’ideologia che rientra molto bene nella politica che
l’Italia e l’Europa hanno fatto, a partire dall’inizio degli anni ‘80,
di fronte al fenomeno dell’immigrazione. Un atteggiamento, di sostanziale
chiusura, che si è affermato con la Legge Martelli e poi con quelle successive,
compresa l’ultima, che pure tra tutte è la migliore perché, con riferimento
ai “regolari”, contiene l’esplicito riconoscimento di una serie di diritti
importanti. Nonostante questo, però, rimane una legge che non vuole
l’ingresso degli immigrati. Proprio come nel 1994, quando i Ministri degli
Interni e della Giustizia di tutti i Paesi membri della Comunità Europea hanno
sottoscritto una dichiarazione di princìpi, il cui primo principio è: Non è
consentito l’ingresso nella Comunità per fini d’occupazione. Questo è il
principio che dà il segno dell’atteggiamento generale, poi sono contenute
delle eccezioni, nel senso che ogni Paese può consentire degli ingressi per
motivi di lavoro e, queste eccezioni, sono destinate ad aumentare perché oggi
si comincia a fare i conti, in termini d’economia, con quelle che saranno le
condizioni dello sviluppo. Noi, paesi europei, siamo paesi che non fanno più
figli: siamo in fase di rapida decrescita della natalità e, quindi, di
cambiamento del rapporto tra popolazione ed esigenze di lavoro, quindi le
“importazioni di braccia” in futuro saranno favorite, più di quanto lo sono
state in passato. Però, questo sempre in una logica eccezionale, cioè nella
misura in cui uno Stato ha bisogno di manodopera. Rispetto a questa situazione, riuscire
a far passare il messaggio, in controtendenza, delle opportunità di
regolarizzare gli immigrati irregolari già presenti in Italia, è una cosa
importante”.
E’ sulla necessità
di dare a tanti stranieri una prospettiva concreta di “emergere” dal
sottosuolo della clandestinità che punta l’attenzione il dottor Palombarini,
anche perché, se si parla di sicurezza per la società, si dovrebbe finalmente
capire che dare una opportunità chiara di regolarizzazione vuol dire tagliare
la fonte primaria che alimenta la criminalità diffusa, che è la vita di strada
di tanti irregolari senza documenti e senza possibilità di un lavoro alla luce
del sole: “Quello che mi pare un punto importante, su cui insistere, e che io
porto nelle sedi in cui vado a parlare, è l’introduzione nella Legge 40 del
1998 di un meccanismo di regolarizzazione
costantemente aperto. Questo è un punto decisivo, che riguarda tutti, anche
i detenuti, perché apre un passaggio attraverso il quale, secondo me, si
possono risolvere molti problemi.
Uno dei grossi
difetti della Legge 40, che ne ha tanti, è che contempla la possibilità di
regolarizzarsi solo per chi era in Italia prima del marzo ‘98, mentre tutti
coloro che sono arrivati dopo sono, per definizione, clandestini, quindi da
espellere. La Legge 40 non prevede il diritto di voto per gli immigrati, nemmeno
a livello amministrativo, ed anche questo è frutto della logica di chiusura che
sottolineavo prima. Ma il difetto più grave, che è proprio un difetto di
realismo, è che in questa Legge manca lo strumento per governare la situazione,
uno strumento che è rappresentato dal meccanismo di regolarizzazione. È
inutile che stiamo a dire, a chi vuole regolarizzarsi, che dev’essere arrivato
prima del marzo ‘98, o che deve fare la domanda entro un certo termine: di
fronte ad una situazione, nella quale i presupposti per la regolarizzazione
concretamente ci sono, si dovrebbe concedere il permesso di soggiorno.
Questo consentirebbe di risolvere molti problemi anche per gli immigrati
detenuti, indipendentemente dal fatto se siano finiti in carcere avendo in tasca
un permesso di soggiorno, oppure no. Perché, finora, in un caso o nell’altro,
alla fine della pena si viene espulsi, non c’è una regolarizzazione. Nemmeno
per coloro che, pur essendo regolari al momento dell’inizio della carcerazione
e avendo svolto un normale percorso dentro il carcere, tanto che su di loro è
stato espresso un giudizio positivo sulle possibilità di reinserimento, si
trovano poi di fronte al paradosso che vengono espulsi, perfino se c’è
qualcuno che fuori del carcere li
accoglie e gli dà da lavorare.
La Legge 40 è
stata fatta con l’intenzione di rappresentare il punto d’equilibrio fra il
riconoscimento dei diritti fondamentali, come la tutela della persona, e le
esigenze della sicurezza e della difesa della società. Ma
le esigenze di sicurezza e di difesa non c’entrano nulla con il fatto
che non ci sia un meccanismo di regolarizzazione, di fronte ad una situazione
che ha già tutti i requisiti per essere di regolarità. Nell’ottica, più
contenuta, rispetto a quella della generalità degli immigrati, che riguarda i
detenuti, anche in questo caso credo convenga spingere nella medesima direzione.
Perché, se venisse accettato a livello legislativo un meccanismo di
regolarizzazione costante, aperto, da applicare concretamente, caso per caso,
quando le condizioni essenziali, il lavoro, il domicilio, fossero realizzate,
questo risolverebbe i problemi anche per i detenuti che terminano la pena”.
Nel rapporto
con la giustizia, gli stranieri regolari e quelli irregolari sono tutelati allo
stesso modo?
“Ci sono delle differenze, perché i regolari se
hanno la possibilità di avere un difensore di fiducia, si trovano in una
situazione nettamente più favorevole. Ma la generalità dei casi che capitano
riguardano gli irregolari e, per loro, le misure alternative al carcere come
custodia cautelare (arresti domiciliari o obbligo di firma), non vengono quasi
mai date. Una delle ragioni, per cui questo non avviene, è che l’imputato non
è in grado di dare un domicilio; l’altra è che esiste il rischio di una sua
fuga, perché quando una persona è entrata irregolarmente, non ha domicilio,
non ha lavoro, se esce dal carcere nessuno lo trova più.
Poi, diciamocelo chiaramente, c’è il grosso
problema dei cosiddetti sedicenti, cioè di persone che hanno tante identità:
questo è un problema reale, che la giustizia deve risolvere, perché molte
volte i tribunali si trovano di fronte persone delle quali non sanno niente, che
magari sono state giudicate la settimana prima da un altro tribunale, che le ha
rimesse in libertà con una condanna.
Tanti giudici giudicano lo straniero considerandolo
incensurato, il che molte volte non è vero: questo problema è serio e va
risolto seriamente, per avere domani delle identificazioni reali. Io sarei
disposto ad accettare anche un’attenuazione delle garanzie della persona, pur
di assicurare un accertamento dell’identità, dentro una politica
dell’accoglienza. Il problema di fondo è però che questa legge produce
clandestinità e, in una simile condizione, in Italia arriva di tutto: chi cerca
lavoro, chi vuole riunirsi alla famiglia o cambiare esistenza, ma anche chi ha
interessi di tipo diverso.
A proposito di quote e sanatorie
D’altra parte, tutti si lamentano delle sanatorie,
ma dalla Legge Martelli in poi, queste sanatorie, hanno di fatto regolarizzato
una buona parte dei lavoratori immigrati presenti oggi in Italia. La questione
delle quote d’ingresso è stata, infatti, gestita in maniera grottesca: ci
sono stati anni nei quali nemmeno furono stabilite, in altri anni, come il
‘96, le quote furono stabilite a novembre: da gennaio a novembre, tutti quelli
che erano entrati erano “ovviamente” clandestini.
La politica delle quote è pure discutibile, ma se la
si fa, bisogna farla seriamente, cioè in termini realistici e adesso sembra si
stia iniziando a farlo, prevedendo cifre di sessantamila nuovi ingressi. Si
tratta di numeri ancora inferiori al reale bisogno, ma pure superiori ai
ventimila, previsti negli anni scorsi, e cominciano ad avvicinarsi, se non a
coincidere, con quello che è la realtà. Perché, nell’ultimo decennio,
sappiamo quanti immigrati sono arrivati, complessivamente, in Italia e anche da
quali Stati provengono.
Che spazio di
manovra ha la politica italiana sull’immigrazione, nell’ambito degli accordi
stretti a livello europeo?
L’accordo europeo del giugno ‘94, che comincia
con la dichiarazione del principio che ricordavo prima “non sono consentiti
ingressi al fine di occupazione”, in realtà, per ragioni di mercato, prevede
delle eccezioni: se è stato dimostrato che in uno dei settori produttivi, per
la concreta situazione del mercato del lavoro, c’è bisogno di trovare
lavoratori, nell’ambito di questa esigenza si può consentire l’ingresso di
immigrati, o con occupazioni temporanee, o con occupazioni tendenzialmente
definitive, impegnandosi poi a non farli andare negli altri Stati dell’Unione
Europea. Questa strada, secondo me, consente di arrivare ad una politica dei
flussi che sia realistica. A parte il fatto, come dicevo, che il rapporto tra
popolazione e sviluppo ci porta a calcolare che nel 2025 in Europa gli
“indigeni” saranno molto vecchi e quindi alcuni settori di produzione, o
saranno dislocati altrove, come qualcuno fa già da tempo, oppure richiederanno
di far venire manodopera. Pur rimanendo in questa logica puramente economica,
qualsiasi governo saggio metterebbe nelle proprie leggi la possibilità della
regolarizzazione permanente.
Cosa ne pensa
della proposta di fare corsi di formazione professionale agli immigrati
direttamente nei paesi d’origine, prima di farli venire in Italia?
Se ci fosse una
politica di accoglienza e fosse una politica governata, che vuol dire contraria
alla clandestinità e favorevole ad un’integrazione, che non è solo economica
ma anche culturale, allora andrebbe anche accompagnata da iniziative di questo
genere. Gli stati da cui proviene il maggior numero di immigrati li conosciamo
bene, allora si tratta di organizzare per loro un percorso ragionevole,
ordinato, civile, non la bagarre terrificante che c’è oggi, per cui non si può
pretendere di contrastare la criminalità. Certo, davanti alla gente, sempre con
quella logica falsa che dicevo prima, risulta più conveniente dire “facciamo
il reato di illecito ingresso”. La clandestinità, comunque, non potrà essere
eliminata, si tratta di ridurla entro limiti ragionevoli: ci saranno sempre
soggetti che, non potendo entrare attraverso le vie regolari, cercheranno di
entrare in altra maniera. Organizzare il flusso degli immigrati comporta impegno
e responsabilità da parte delle autorità italiane, per evitare una serie di
rischi: cominciando dal curare l’opera d’informazione nei Paesi di
provenienza degli immigrati, invece di affidarsi alle autorità amministrative
locali.
Per quel che
riguarda gli immigrati, che oggi lavorano “in nero”, sarebbe possibile
pensare ad una regolarizzazione?
Mi sono meravigliato che non sia stata fatta una
sanatoria, dopo l’entrata in vigore della legge Turco – Napolitano. Penso
che, volendo correggere l’attuale politica sull’immigrazione, la sanatoria
è assolutamente necessaria, per contrastare la clandestinità. Tutti sanno
perfettamente, a cominciare dalle autorità di governo, che c’è un numero
sterminato di persone (anche italiane, non solo straniere) che vivono lavorando
in nero. Bisognerebbe, quindi, essere spregiudicati, cioè non chiedere troppo,
perché i presupposti dell’ultima sanatoria erano eccessivamente pesanti.
Tanta gente, poi, si è arrangiata e tramite le associazioni di volontariato, le
associazioni cattoliche, è riuscita ad avere i documenti necessari. Quando
avremo una politica dei flussi realistica e la possibilità della
regolarizzazione individuale permanente, una sanatoria coraggiosa porterebbe a
conoscenza dei sindaci tutte le persone presenti sul territorio del comune e
questo servirebbe a contrastare la criminalità. Poi, per quanto riguarda il
lavoro, si vedrà, perché l’occupazione “in nero” è un fenomeno che
riguarda anche molti italiani. Il nostro Paese è di fronte alla realtà di
questa popolazione, che nessuno riuscirà mai ad espellere, perché è già un
problema convincere uno stato a riprendersi cento persone espulse, figurarsi a
prenderne decine di migliaia. Di fronte alla questione della sanatoria, c’è
la difficoltà che i sentimenti complessivi di questo paese sono nettamente
ostili ad una soluzione del genere. Però, un atto di governo, prima o poi, andrà
fatto e bisognerà dire, a chi ha paura dell’invasione, che queste persone
sono già qui e nessuno riuscirà mai a mandarle via.
Com’è la
situazione dell’immigrazione negli altri Paesi europei?
Magistratura Democratica ha organizzato, poco più di
un anno fa, un incontro a Torino tra studiosi, giudici, politici, dei paesi
della Unione Europea, dove sono stati affrontati alcuni problemi: il diritto
d’asilo, gli ingressi e i permessi di soggiorno, le espulsioni, la tutela dei
diritti fondamentali e la tutela nel processo penale. Si è visto che c’è una
larga coincidenza, su tutti questi aspetti. In Francia, stato che pure ha una
storia d’accoglienza alle spalle, si è diffusa una paura dell’invasione. In
Italia, questa ha risvolti paradossali: la media europea di presenze degli
stranieri, è del 4,5 % sul totale della popolazione; in Italia siamo al 2,5 %,
mentre ci sono Paesi che hanno il 6 % d’immigrati, eppure da noi c’è la
falsa convinzione e le false notizie su una presunta invasione. La situazione in
Europa non è per niente buona e, se alcune modifiche potranno esserci, è perché
dei paesi si muoveranno e l’Italia, potrebbe essere uno di questi, proprio
perché è il paese più esposto, gli immigrati arrivano qui e, se non cambia la
politica, non può far fronte alla clandestinità. Quindi ci sono ragioni
materiali, oltre che quelle ideali, perché la politica cambi.
Gli stranieri
detenuti in Italia spesso non possono incontrarsi con i familiari residenti
all’estero perché a questi ultimi non viene rilasciato il permesso di
soggiorno per “visite parenti”. Come si può risolvere il problema?
Non ho conoscenza diretta della questione, però ho
sentito, da qualche tempo, che vengono rilasciati dei visti per consentire le
visite ai parenti detenuti in Italia.
Può darci una
sua opinione sui Centri di Permanenza Temporanea? Lei legittima l’esistenza di
queste strutture?
Io credo che siano del tutto illegittimi, credo che
siano una sfacciata violazione alle norme fondamentali del nostro ordinamento.
Sono, praticamente, una conseguenza della politica di chiusura: mettendo in
piedi politiche del rifiuto, del respingimento, ci si trova poi di fronte a
risultati come questi. Se le persone che vengono in Italia devono essere
espulse, i casi sono due: o facciamo finta di cacciarle e queste, poi, se ne
vanno sul territorio; oppure cerchiamo di cacciarle sul serio, e allora
ricorriamo a questi Centri. Il ministro degli Interni dice: “Non sono né
alberghi né prigioni”. Ma sono certamente dei luoghi nei quali viene limitata
la libertà delle persone al di fuori delle previsioni fondamentali del nostro
ordinamento. Persone che molte volte non hanno commesso alcun reato, ma sono
costrette a stare lì. Quindi è un istituto assolutamente illegittimo e
l’unica soluzione è chiuderlo, ragionevolmente, bisogna cambiare politica,
perché con questa politica di oggi i Centri continueranno ad esserci e non sono
un fatto solamente italiano, ma sono presenti in tutta Europa e, in alcuni
stati, anche in numero maggiore rispetto all’Italia.
Qual è la sua
opinione, sul dibattito in materia di depenalizzazione delle droghe?
Io credo che in
questo Paese, se si volesse affrontare davvero il problema della criminalità,
anche quella cosiddetta di strada, ma non solo quella, alcune iniziative
dovrebbero essere fatte. Una di queste è quella di cui abbiano parlato oggi,
della riduzione al minimo del fenomeno della clandestinità. L’altra è
certamente una logica ribaltata in materia di stupefacenti. Credo che Emma
Bonino abbia perfettamente ragione su questo versante. In questo nostro Paese
abbiamo scelto la politica del proibizionismo, ed allora ad un certo punto vanno
fatti i bilanci, e i bilanci sono implacabili sotto tutti gli aspetti, dalla
microcriminalità alla criminalità grande dei clan, dalle morti, all’AIDS.
Sono dati che alla fine qualcuno dovrà valutare e dire in termini di bilancio:
questa scelta mi ha portato a questi risultati. E trarre quindi le conseguenze,
laicamente, valutando se non sia il
caso di scegliere una regola diversa, tutto qui: anche senza volersi cacciare
dentro a delle ideologie.
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